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22 Novembre 2024 05:07

Il comandante generale dei Carabinieri Nistri : “Sì all’Arma parte civile nel Caso Cucchi”

Ilaria Cucchi: "Bellissima l'ipotesi che l'Arma sia parte civile sul depistaggio. E' stata per me un momento emotivamente molto forte. Perché è arrivata dopo anni in cui io e la mia famiglia ci siamo sentiti traditi", adesso "la lettera del generale Nistri è tornata a scaldarmi il cuore. A scacciare il senso di abbandono che ho vissuto in questi nove anni. Oggi finalmente posso dire che l'Arma è con me".

ROMA – Una vera e propria svolta nel “caso Cucchi“. Lo rende noto il quotidiano La Repubblica, che allega la prima pagina della missiva, datata 11 marzo, con la quale il comandante dei Carabinieri, il generale Giovanni Nistri, si è rivolto a Ilaria Cucchi in una lettera di quattro pagine inviatale quasi un mese fa, scrivendo:

Il Generale Giovanni Nistri

Gentile Signora Cucchi,

ho letto con grande attenzione la lettera aperta che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. Sabato scorso a Firenze, nel rispondere alla domanda di un giornalista, pesavo a Voi e alla Vostra sofferenza, che ho richiamato anche nel nostro ultimo incontro. Pensavo alla Vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai Suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi sia mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà.

La abbiamo perché il Vostro lutto ci addolora da persone, da cittadini, nel mio caso mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi – la stragrande maggioranza dei Carabinieri, come Lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio – crediamo nella Giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria.

Proprio il rispetto assoluto della Legge ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Non possiamo fare diversamente perché, come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Per questo abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, “chi” ha fatto “che cosa“. Nell’episodio riprovevole delle studentesse di Firenze il contesto era definito dall’inizio. C’erano due militari accusati, con responsabilità sin da subito impossibili da negare, almeno nell’aver agito all’interno di un turno di servizio e con l’uso del mezzo in dotazione, quando invece avrebbero dovuto svolgere una pattuglia a tutela del territorio e dei cittadini.

In questo caso abbiamo purtroppo fatti nei quali discordano perizie, dichiarazioni, documenti: discordanze che saranno però risolte in giudizio. Le responsabilità dei colpevoli porteranno al dovuto rigore delle sanzioni, anche di quelle disciplinari. I tre accusati di omicidio preterintenzionale sono già stati sospesi. Non sono stati rimossi, è vero. Ma è vero che, se ciò fosse avvenuto, si sarebbe forse sbagliato. Faccio al riguardo due esempi. Oggi emerge che uno dei tre – secondo quanto egli ha dichiarato, accusando gli altri due – potrebbe essere innocente. Erano innocenti gli agenti della Polizia Penitenziaria, che pure erano stati incolpati e portati in giudizio.

Comprendiamo l’urgenza e la necessità di giustizia, così come lo strazio di dover attendere ancora. Ma gli ulteriori provvedimenti, che certamente saranno presi, non potranno non tenere conto del compiuto accertamento e del grado di colpevolezza di ciascuno. Ciò vale pre il processo in corso alla Corte d’Assise. E ciò varrà indefettibilmente anche per la nuova inchiesta avviata dal Pubblico Ministero, ora nella fase delle indagini preliminari, nella quale saranno giudicati anche coloro che oggi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita per quei Valori che fin qui ho richiamato, soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell’essere accostati a comportamenti che non ci appartengono.

Con sinceri sentimenti,

Giovanni Nistri

LETTERA CUCCHI-compresso

Il Comandante Generale si impegna a procedere in via disciplinare. Positivo il commento di Ilaria Cucchi  intervistata da Repubblica, sulla lettera che il Generale Nistri le ha inviato “Bellissima l’ipotesi che l’Arma sia parte civile sul depistaggio. E’ stata per me un momento emotivamente molto forte. Perché è arrivata dopo anni in cui io e la mia famiglia ci siamo sentiti traditi”, adesso “la lettera del generale Nistri è tornata a scaldarmi il cuore. A scacciare il senso di abbandono che ho vissuto in questi nove anni. Oggi finalmente posso dire che l’Arma è con me“.

Ilaria parla anche della possibilità che l’Arma si costituisca parte civile, in un eventuale processo per depistaggio: “So che nulla è ancora deciso. E che in ogni caso bisognerà attendere la richiesta di rinvio a giudizio per gli otto ufficiali indagati per il depistaggio. Ma ne ho parlato con il generale Riccardi, portavoce del Comandante che mi ha assicurato come l’ipotesi sia concreta – spiega -. Sarebbe bellissimo. E soprattutto, vero. Perché, come scrive Nistri, mio fratello è morto ma ad essere lesa, insieme alla sua vita e a quella della mia famiglia, è stata anche l’Arma e i suoi centomila uomini cui la lettera fa riferimento“.

 

 

il pm Giovanni Musarò

È il giorno della verità. Sono passati quasi 10 anni dalla morte di Stefano Cucchi, ma finalmente qualcosa sta cambiando. Ha deposto oggi in aula il vicebrigadiere dei Carabinieri Francesco Tedesco davanti alla prima Corte d’assise di Roma,  il militare brindisino super teste e contestualmente imputato per omicidio preterintenzionale che ha accusato i colleghi (coimputati) nel processo per la morte di Cucchi, dovrà ribadire quanto già affermato nel corso dei tre interrogatori resi nei mesi scorsi davanti al procuratore Giuseppe Pignatone e al pm Giovanni Musarò.

Tedesco ha anche accettato di essere ripreso televisivamente. Sono cinque i carabinieri sotto processo nel procedimento bis in corso davanti alla prima Corte d’Assise: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Tedesco i quali rispondono dell’imputazione di “omicidio preterintenzionale”. Tedesco risponde anche di “falso” nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e “calunnia” insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della Stazione Appia dei Carabinieri di Roma, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anch’egli carabiniere, risponde dell’ accusa di “calunnia” con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

Altri otto carabinieri sono indagati nel fascicolo sui presunti depistaggi sul caso, e rispondono di reati che vanno dal falso, all’omessa denuncia, la calunnia e il favoreggiamento. Si tratta del generale Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del Gruppo Roma, il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della Stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato dopo il pestaggio, Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio quando arrivò il geometra, il colonnello Francesco Cavallo all’epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo Carabinieri Roma, il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, ed il carabiniere Luca De Ciani.

 

Il pestaggio di Stefano Cucchi

Chiedo scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile” è iniziato così il processo Cucchi-bis con la deposizione davanti alla Corte d’Assise del carabiniere Francesco Tedesco, il supertestimone che a nove anni di distanza ha rivelato che Stefano, 31 anni, venne ‘pestato’ da due suoi colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, imputati come lui di omicidio preterintenzionale. L’imputato-superteste ha raccontato le fasi del pestaggio nella caserma della Compagnia Casilina la notte dell’ arresto di Stefano Cucchi a Roma, avvenuta il 15 ottobre del 2009, dopo essersi rifiutato di sottoporsi al fotosegnalamento.

“Al fotosegnalamento Cucchi si rifiutava di prendere le impronte, siamo usciti dalla stanza e il battibecco con Di Bernardo è proseguito – racconta Tedesco –  Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D’Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: ‘Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete‘. Ma Di Bernardo proseguì nell’azione spingendo con violenza cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbattè anche la testa. Io sentii il rumore della testa, dopo aveva sbattuto anche la schiena. Mentre Cucchi era in terra D’Alessandro gli diede un calcio in faccia, stava per dargliene un altro ma io lo spinsi via e gli dissi a ‘state lontani, non vi avvicinate e non permettetevi più. Aiutai Stefano a rialzarsi, gli dissi ‘Come stai?’ lui mi rispose ‘Sono un pugile sto bene’, ma lo vedevo intontito“.

Le annotazioni sparite del carabiniere Tedesco sul pestaggio di Stefano Cucchi

“Non era facile denunciare i miei colleghi. Il primo a cui ho raccontato quanto è successo è stato il mio avvocato. In dieci anni della mia vita non lo avevo ancora raccontato a nessuno” ed  aggiunge: “Ho scritto una annotazione il 22 ottobre parlando dell’aggressione ai danni di Cucchi e della telefonata a Mandolini ma non che era stato Nicolardi a consigliarmi di fare questa relazione“. “Ho fatto due originali delle mie annotazioni – ha spiegato  – sono andato in questo archivio al piano di sotto della caserma. Ho protocollato un foglio scrivendoci ‘Cucchi annotazione’, poi ho preso i due fogli e li ho messi nel registro per la firma del Comandante, di colore rosso, che poi era destinata all’autorità giudiziaria. L’altra copia era destinata alla ‘piccionaia’, come la chiamavamo in gergo, dove conservavamo tutti gli atti dell’anno corrente“.

Tedesco ha anche spiegato:Non dissi nulla di questa cosa a nessuno, pensavo di essere convocato da solo. Invece nei giorni successivi andai nel registro e vidi che nella cartella mancava la mia annotazione. Mi sono reso conto che erano state cancellate due righe con un tratto di penna

Cucchi, il verbale già pronto da firmare

“Quando arrivammo in ufficio alla caserma Appia il verbale era già pronto e il maresciallo Roberto Mandolini (imputato per calunnia n.d.r. ) mi disse di firmarlo. Cucchi non volle firmare i verbali“. E ha spiegato: “Mentre stavamo in auto per rientrare alla caserma Appia Cucchi era silenzioso, si era messo il cappuccio e non diceva una parola, chiedeva il Rivotril“. Subito dopo avere assistito all’aggressione di Cucchi, Tedesco ha testimoniato questa mattina di avere chiamato Mandolini l’allora capo della stazione Appia e “gli raccontai cosa era accaduto. Mandolini mi chiese ‘Come sta?’. Io replicai: ‘Dice che sta bene ma è successo questo, questo e questo. Cucchi sentì quella telefonata perchè lo avevo sotto braccio. Quindi salii dietro sul defender con lui, mentre Di Bernardo e D’Alessandro stavano davanti. Cucchi non disse una parola, teneva la testa abbassata, io ero turbato e lui era sotto shock più di me“.

Di Bernardo e D’Alessandro imputati entrambi per omicidio preterintenzionale,  invece “erano tranquilli, non erano spaventati più di tanto. Non erano preoccupati della telefonata che avevo fatto a Mandolini e mi dicevano: ‘Non ti preoccupare parliamo noi con Mandolini’. Arrivati alla stazione Appia, Mandolini chiamò D’Alessandro e Di Bernardo, io stavo con Stefano Cucchi, che era ancora stordito anche se cominciava a parlare un pochino con me” Mandolini poi chiamò me e Cucchi, disse: ‘Fateli venire che bisogna fermare il verbale d’arrestò. Presi il verbale e mi disse: ‘Firmalo che tra un paio d’ore devi andare in tribunale. Io lo firmai senza nemmeno leggere. Con me Mandolini faceva pesare il suo grado. Se dovevo entrare in ufficio io dovevo chiedere permesso, mentre se lo facevano D’Alessandro e Di Bernardo no. Cucchi non voleva firmare il verbale di perquisizione nè il verbale d’arresto“.

“Dire che ebbi paura è poco Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro – ha raccontato Tedesco –  Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato. Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C’era agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l’ho vissuta come una violenza”.

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