di REDAZIONE POLITICA
Dopo il Tar del Lazio anche la la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso dell’ex magistrato (ora pensionato) Piercamillo Davigo contro la sua decadenza da consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura, votata a maggioranza dal plenum il 19 ottobre scorso a seguito del suo pensionamento dalla magistratura.
Per il presidente della 5a sezione di Palazzo Spada Carlo Saltelli, il consigliere estensore della sentenza Giovanni Grasso, i colleghi Raffaele Prosperi, Angela Rotondano, Elena Quadri , “L’appello non è fondato e va respinto”. L’ex magistrato del Pool Mani Pulite della Procura di Milano eletto nel 2018 nell’organo di autogoverno dei giudici come consigliere più votato con 2.522 consensi sostenuta dalla corrente Autonomia e indipendenza, da egli stesso fondata, che non avevano pensato al momento del voto che Davigo, il 20 ottobre dell’anno scorso, avrebbe compiuto 70 anni, e quindi automaticamente sarebbe andato in pensione.
Davigo secondo la maggioranza dei consiglieri del Csm, essendo stato eletto come togato conseguentemente doveva lasciare il Consiglio, ed infatti lunedì di ottobre 13 consiglieri hanno votato per il suo allontanamento dal Consiglio mentre 6 si erano espressi a favore della sua permanenza in Consiglio. 5 gli astenuti. Hanno sicuramente pesato contro Davigo il voto contrario non solo del consigliere Nino Di Matteo eletto nella sua corrente, ma anche quelli del vice presidente David Ermini, del Presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio ed Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi.
Davigo il giorno dopo il voto contrario del plenum , assistito dal costituzionalista Massimo Luciani si era rivolto al Tar con un ricorso chiedendo una sospensiva, che non è stata accolta. Pronunciandosi in seguito nel merito rigettando il ricorso, confermato oggi dal Consiglio di Stato con delle valutazioni giuridiche pressochè allineate senza entrare nel merito della decisione.
In parole più semplici il Consiglio di Stato nonostante il rigetto del ricorso di Davigo non ha stabilito se un magistrato, una volta raggiunta l’età pensionabile e pur essendo membro togato del Csm, eletto dai suoi colleghi, non possa continuare a farne parte, e debba lasciare l’incarico.
Come si può dedurre dalle valutazioni conclusive del provvedimento: “Il giudice della giurisdizione ha costantemente affermato che il diritto all’elettorato passivo costituisce un diritto soggettivo perfetto, che non è sottratto alla giurisdizione ordinaria per il solo fatto che sia stato dedotto in giudizio mercé l’impugnazione di un apparente provvedimento amministrativo” differente il parametro di valutazione del Tar Lazio e del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato spiega con la propria decisione che la questione riguarda il diritto elettorale passivo e quindi un diritto soggettivo pieno, che è materia del giudice ordinario.
Quindi Davigo se vorrà continuare in questo “muro contro muro” con i suoi ex colleghi del Csm, dovrà rivolgersi al giudice ordinario per ottenere un giudizio, se da magistrato in pensione, aveva diritto di restare nel Csm oppure doveva lasciare questo incarico. Davigo era convinto di poter restare nel plenum nonostante fosse andato in pensione dalla magistratura, mentre i vertici della Cassazione ed il vicepresidente del Csm Ermini, nonché la maggioranza del plenum, hanno ritenuto che il pensionamento facesse cadere anche il suo diritto di essere un componente togato, in quanto aveva perso la toga.
Le decisioni allineate del Tar e Consiglio di Stato fondamentalmente hanno chiarito di non essere entrambi competenti a decidere nel merito. Legittimo quindi porsi un quesito: perchè Davigo si è rivolto a loro ?