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21 Novembre 2024 21:58

Il Csm ha radiato Luca Palamara dalla magistratura

La sezione disciplinare lo ha condannato alla massima sanzione. Annunciata una conferenza stampa nel pomeriggio. La difesa: 'Non è una sentenza politica" ed espresso "massimo rispetto" per la decisione. Una sentenza a nostro parere più mediatica che giuridica, per non portare alla luce e mettere in discussione antichi vizi, usi e costumi dell’intera magistratura, e delle sue varie rappresentanze correntizie, presenti nell’Anm e nel Csm

di REDAZIONE POLITICA

L’ ex presidente dell’ Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara ex consigliere del Csm, è stato radiato dai ruoli della magistratura. La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura lo ha condannato alla sanzione massima prevista, accogliendo la richiesta della Procura generale della Cassazione .  Palamara ha lasciato il Csm senza fare dichiarazioni, annunciando una conferenza stampa per le 16 di oggi presso la sede del Partito Radicale.  A margine del verdetto ha rilasciato una stringata dichiarazione all’AdnKronos: “I valori che mi hanno portato ad essere magistrato – equità senso civico e amore per la giustizia – sono gli stessi che connoteranno il mio operato da oggi in poi”.

La sentenza è arrivata dopo una camera di consiglio durata due ore e mezza. Erano stati ieri i rappresentanti della procura generale della Cassazione a chiedere la sanzione massima – impugnabile davanti alle Sezioni Unite della Cassazione – accusando Palamara soprattutto di aver “pilotato” per interessi personali la nomina del procuratore di Roma e contestandogli una strategia di discredito a danno del procuratore aggiunto Paolo Ielo.

La vicenda al centro del processo è la riunione notturna all’hotel Champagne del 9 maggio del 2019, nella quale secondo l’accusa Palamara, cinque consiglieri del Csm (tutti dimessi e ora a processo disciplinare) e i parlamentari del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri discussero le strategie sulle future nomine ai vertici delle procure. Riunione intercettata grazie ad un trojan nel cellulare di Palamara, che era finito sotto inchiesta a Perugia dove è imputato per corruzione. 

l’ hotel delle riunioni notturne con i parlamentari del Pd, attualmente chiuso

Palamara ha cercato di difendersi anche con interviste e dichiarazioni tese a dimostrare di non aver commesso niente di strano ed illegale, sostenendo di essersi semplicemente adeguato al ruolo esercitato dalle correnti della magistratura nella spartizioni dei posti, che ad onore del vero ci sono sempre state e sempre ci saranno, praticate all’interno dell’organo di autogoverno dei giudici.

L’ormai ex-magistrato aveva chiesto alla Sezione disciplinare del Consiglio nel tentativo legittimo di sostenere la propria tesi difensiva, di poter introdurre ed ascoltare 133 testimoni, fra i quali presidenti emeriti della Corte costituzionale, magistrati, ex ministri e politici di ogni partito, per portare alla luce nel processo disciplinare a suo carico l’intero sistema delle correnti e di gestione del Csm. Ma tutto ciò come facilmente prevedibile non gli è stato consentito. Il “palazzo delle toghe” si è blindato.

La Procura generale della Cassazione ed il Csm hanno ritenuto invece che i testi citati dalla difesa esorbitassero dal perimetro delle contestazioni, limitate ai discorsi registrati quella notte e ad alcune altre conversazioni intercettate attraverso il virus trojan inoculato nel telefono cellulare di Palamara a seguito dell’indagine penale aperta a Perugia, dove l’ex-magistrato è imputato di corruzione, che di fatto l’ha fatto diventare una microspia inconsapevole.

Nel corso delle udienze della sezione disciplinare, guidata dal giurista laico (nominato dal M5S) Fulvio Gigliotti, sono stati ascoltati come testimoni solo gli investigatori della Guardia di Finanza che avevano intercettato i dialoghi tra Palamara ed i cinque ex consiglieri togati, con i parlamentari Ferri, Lotti nell’incontro notturno all’hotel Champagne di Roma, dove tra l’8 e il 9 maggio 2019 si pianificavano le nomine incriminate, più un altro paio di testimoni.

Le altre registrazioni e soprattutto le famose chat ( 60.000 pagine) di Palamara con centinaia di suo colleghi, intercorse tra il 2017 e il 2019, quando era al Csm ed al vertice della sua corrente, Unicost-Unità per la costituzione , sono state escluse dal giudizio. “Abbiamo applicato le norme e le regole che ogni giorno applicano i magistrati in tutta Italia“, ha affermato nel chiedere la condanna il vice-procuratore generale Pietro Gaeta, rappresentante dell’accusa.

Il magistrato Stefano Giaime Guizzi, difensore di Luca Palamara ha risposto “assolutamente no alla domanda se la pronuncia del Csm sul suo assistito sia una sentenza politica, ed ha anche espresso “massimo rispetto” per la decisione, in attesa dei ricorsi che certamente ci saranno, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo come già annunciato. 

Palamara ed il suo difensore hanno sostenuto l’inutilizzabilità delle intercettazioni, considerate illegittime perché coinvolgevano due deputati coperti dall’immunità parlamentare, ma la Sezione disciplinare le ha considerate pienamente utilizzabili, in quanto casuali . Un punto fondamentale questo su cui proseguirà la battaglia legale di Palamara, per tentare di ribaltare il verdetto del Csm che l’ha portato fuori dalla magistratura, e cercare di dimostrare di essere stato trattato come un capro espiatorio sacrificato per salvare l’intero “sistema” delle toghe.

Una sentenza a nostro parere più mediatica che giuridica, per non portare alla luce e mettere in discussione antichi vizi, usi e costumi dell’intera magistratura, e delle sue varie rappresentanze correntizie, presenti nell’Anm e nel Csm.

Adesso il Csm dovrà valutare ancora varie posizioni di altri magistrati, a partire da tutti gli ex consiglieri del Csm che hanno partecipato alla riunione all’hotel Champagne con Palamara, Lotti e Ferri, e decidere se sanzionarli o no.

Da risolvere la “questione morale” che ha coinvolto l’intero sistema di gestione del potere giudiziario nella sua interezza. Come ha ricordato Palamara alcuni mesi fa: “Non ho agito da solo. Ero parte di un sistema”. Un sistema che vige tuttora e prolifera, all’interno del quale non si intravedono verginità morali.

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