Una valanga di pensionamenti tra i magistrati dal primo gennaio prossimo: il plenum del Csm ha deliberato la cessazione dalle funzioni, per raggiunti limiti di età, di 84 toghe per effetto della riforma, varata lo scorso anno, che ha riportato a 70 anni il limite massimo di età per restare in servizio in magistratura.
Il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio (73 anni), che dal 2008 guida la Procura di Taranto, ha impugnato dinanzi al Tar il bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia che alcune settimane fa ha messo a concorso il suo posto. Lo si apprende da fonti giudiziarie. Il ricorso sarebbe stato presentato nello scorso mese di novembre. Oggi c’è stata l’ultima infornata dei “forzati” della pensione deliberati in blocco dal : più di un’ottantina i collocamenti a riposo . Avendo ora il Csm deliberato a partire dal prossimo primo gennaio il suo pensionamento, il procuratore Sebastio impegnato nel processo all’ ILVA sarebbe intenzionato a perfezionare l’impugnativa.
Franco Sebastio è uno dei magistrati che ha deciso di resistere, impugnando davanti al Tar il bollettino ufficiale del ministero della Giustizia che alcune settimane fa ha messo a concorso il suo posto. Il tribunale amministrativo regionale sinora non è entrato nel merito in quanto il provvedimento che dispone il suo pensionamento anticipato dal prossimo primo gennaio non era ancora scattato, ma Sebastio ha deciso di continuare la sua “battaglia” personale, perché afferma “è una questione di principio”.
Tarantino, Franco Sebastio nato nel 1942, è cancelliere in Tribunale già nel ’62, ad appena 20 anni , seguendo le orme di suo padre e suo nonno. Sette anni dopo entra nei ruoli della magistratura. Prima pretore a Gallarate, quindi a San Pietro Vernotico e infine nella sua città Taranto, dove svolge una lunga carriera. Nel 1982, da pretore, è sua la prima sentenza di condanna per i vertici del siderurgico di Taranto , all’epoca di Stato (Italsider poi trasformatasi in ILVA) , per “inquinamento”. Una sentenza, ci ha detto ieri Sebastio, “che a ben vedere sembra scritta oggi. La triste conferma che non è cambiato molto”.
Procuratore aggiunto a Taranto per otto anni, Sebastio nel novembre 2008 a 65 anni diventa procuratore della Repubblica di Taranto, conquistando quello che ha sempre sognato: concludere la carriera nella sua città. Nel 2012 ottenne la riconferma a capo della procura tarantina per altri quattro anni.
Il procuratore capo di Taranto non è il solo magistrato ad essere pronto a ingaggiare con il Governo il braccio di ferro in punta di “diritto”: identica decisione è stata adottata anche dal presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli dr. Carminantonio Esposito . Tra i magistrati che ha hanno deciso di rispettare la nuova norma sul pensionamento, vi è il dr. Marcello Maddalena, che laconicamente ha commentato “tutto quel che posso dire è che da gennaio farò il pensionato“. Tra i numerosi magistrati costretti al pensionamento compaiono anche Giuseppe Gennaro e Mario Cicala entrambi ex presidenti dell’ Associazione nazionale magistrati .
I numeri sembrano quelli di un vero e proprio esodo: solo quest’anno tra capi degli uffici giudiziari e loro vice andranno in pensione 500 magistrati a seguito della riforma del Governo che ha riportato a 70 anni l’età della pensione delle toghe, e che rischia di cambiare gli equilibri interni e le carriere nella magistratura. A dover passare la mano una vera e propria generazione di giudici e pm, titolari di inchieste che hanno lasciato il segno.
Tutti magistrati che hanno superato i 70 anni. Un provvedimento che fa seguito a tante uscite centellinate nel tempo, tra le più recenti quella di uno degli storici pretori di assalto, Gianfranco Amendola, procuratore di Civitavecchia, la cui ultima inchiesta è stata sul rogo all’aeroporto di Fiumicino. Tanti i nomi di spicco tra chi è obbligato a appendere la toga al chiodo a partire dal primo gennaio prossimo. Si va da Raffaele Guariniello, titolare di tante inchieste sulla tutela della salute e dell’ambiente, tra cui il processo ThyssenKrupp e Eternit, al Pg di Torino Marcello Maddalena, che si è occupato di Telekom Serbia e del caso Moggi-Pairetto. Da Ferdinando Pomarici, pm del caso Abu Omar, avvenuto all’indomani delle Torri Gemelle. L’imam milanese fu oggetto di una extraordinary rendition (un rapimento) da parte della Cia e dell’ex Sismi, per costringerlo a rivelare notizie sul terrorismo islamista. Durante il processo i governi Berlusconi e quello Prodi opposero il segreto di Stato sugli accordi segreti intercorsi tra Italia e Usa sulle extraordinary rendition.
E se alcuni nomi non sono noti al grande pubblico, sono comunque legati a inchieste importanti: è il caso di Corrado Carnevali, procuratore di Monza e che da pm a Milano ha sostenuto l’accusa nel processo contro il banchiere Roberto Calvi e altri dirigenti del Banco Ambrosiano e nel processo per l’omicidio del giornalista Walter Tobagi. Tra le i magistrati a cui è stata anticipata la pensione, compare anche Mario Barbuto, che è stato presidente del tribunale di Torino, dove ha adottato prassi per velocizzare l’iter dei procedimenti giudiziari, è l’ attuale capo dell’Organizzazione giudiziaria del ministro Orlando, e Melita Cavallo, attuale presidente del tribunale per i minorenni di Roma e tra i maggiori esperti in materia di adozioni.
Marini: “Irrisolto l’attentato a papa Wojtyla. Brigatisti ancora impuniti”
Fra i magistrati “colpiti” dal pensionamento anticipato vi è anche Antonio Marini, avvocato generale presso la Corte d’appello di Roma, titolare nella sua lunga carriera delle inchieste sull’attentato al Papa, sulla strage di via Fani e sull’omicidio di Massimo D’Antona. Marini non si dà pace. “In questo momento non me la sento di abbandonare il campo. Sono intenzionato in qualsiasi sede istituzionale a mettere la mia esperienza di 40 anni di lotta antiterrorismo al servizio dello Stato“. Dopo essere stato uno dei pm che ha sostenuto l’accusa più di vent’anni fa nei processi contro le brigate rosse per il sequestro Moro, è sua l’inchiesta aperta nell’aprile scorso per identificare i due personaggi presenti nell’agguato di via Fani a bordo di una moto Honda. “La nuova ipotesi investigativa – spiega il magistrato – è che quei due misteriosi personaggi fossero agenti dei servizi segreti alle dipendenze del colonnello Guglielmi del Sismi, anch’egli presente al momento della strage”. “Ma i buchi neri del processo sul sequestro Moro – continua Marini – sono anche altri. Manca all’appello, ad esempio, l’uomo che guidava il furgone utilizzato per trasferire il politico da via Massimi a via Bitossi. Quel che mi dispiace di più è che restino impunite persone che hanno partecipato a un fatto così grave“.
“Il mio cruccio, la verità monca sull’attentato a Wojtyla“. “Dopo l’assoluzione dei bulgari – ricorda Marini – fui ricevuto da Giovanni Paolo II che mi chiese, ‘E allora, chi è stato…?’. ‘È stato un complotto’, gli risposi. E allora sua Santità mi interrogò: ‘ Sì, lo so. Ma di chi?‘. ‘Non lo sapremo mai‘, gli dissi. La corte ha assolto i bulgari per insufficienza di prove. E così cadde il teorema della pista internazionale, del complotto ordito dal Kgb, ed eseguito dai servizi bulgari. Purtroppo quell’attentato del 1981 è rimasto un gigantesco punto interrogativo“.
“Alla prima udienza capii che avrei perso il processo”. “Tutto il processo s’è giocato durante la prima udienza, quando il presidente della Corte decise di interrogare subito, e non alla fine, l’imputato principale. Ali Agca arrivò, si sedette, e cominciò un delirio dicendo di essere Gesù e cose di questo genere. In quel momento mi sentii crollare il mondo addosso, volevo nascondermi sotto lo scranno della pubblica accusa. Agca per me, oltre che imputato, era anche testimone d’accusa contro i bulgari, era lui che aveva parlato del complotto del Kgb con il lavoro ‘sporco’ affidato agli 007 bulgari. Ma con quel numero al primo interrogatorio, crollò del tutto la sua credibilità. E i bulgari finirono assolti per insufficienza di prove“.
“Il Papa vide un miracolo”. “Non era mai successo che un proiettile calibro nove, sparato a breve distanza, non uccidesse un uomo. Una mano sparò, e forse un’altra deviò il colpo, attutendolo. E il Papa in quella casualità fortuita che lo salvò ravvisò il miracolo. Per questo mi chiese alla fine del processo di avere il proiettile che lo colpì: quel frammento di piombo fu incastonato nella corona della Madonna di Fatima. Mi attirai delle polemiche perché mi accusarono di aver dato via un reparto giudiziario. In realtà ai fini processuali non serviva più“.