di ANTONELLO de GENNARO
ROMA – L’Ilva è una vera e propria “mina” a cielo aperto sociale, con Arcelor Mittal in evidente disimpegno e fuga da Taranto che gli costerà, in base alle clausole dell’accordo transattivo raggiunto, soltanto 500 milioni. L’ennesima applicazione della strategia “mordi e fuggi” delle multinazionali che sbarcano in Italia, mentre il gruppo Arvedi che compare in quasi tutti i dossier siderurgici compresi Ilva e Ast, mentre anche il cavaliere Arvedi è alle prese con la crisi globale.
Il vergognoso piano industriale di ArcelorMittal per l’Ilva che prevede quasi 5.000 esuberi e gli obiettivi di produzione ridotti di un terzo ha dimostrato la inesistente autorevolezza di un Governo “grillino” rappresentato prima dagli incapaci ministri Luigi Di Maio e poi Stefano Patuanelli “Ormai è saltato il banco, che tristezza…” è il commento a caldo al quotidiano La Repubblica di uno degli sherpa dell’interlocuzione tra lo Stato e la multinazionale franco-indiana. Una “tristezza” che sì è diffusa nel settore siderurgico italiano, il cuore d’acciaio dell’industria nazionale, oltre 30 mila lavoratori diretti, più di 40 miliardi di fatturato complessivo , alla base di tutte le filiere produttive fondamentali nel nostro Paese, dall’auto all’edilizia, dagli elettrodomestici all’impiantistica.
Tutte acciaierie italiane sono praticamente immobili, da Taranto a Piombino, da Terni al bresciano: la domanda di acquisto della produzione è stato soddisfatto con la merce giacente nei magazzini ed adesso il futuro è buio. Il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, degno…erede di Di Maio, mentre respinge al mittente le proposte di Arcelor Mittal parlando di “accordi violati” dimenticando che è stato proprio il suo predecessore, revocando la malleva dello scudo penale, a consentire ai Mittal di aprire le danze per la fuga dall’ Italia, è tornato ieri a parlare di un “piano strategico della siderurgia“, ma come succede per l’automotive sono solo e soltanto i soliti proclami degli esponenti del Movimento 5 Stelle, quando non sanno come risolvere i problemi che creano.
Non una sola parola, una smentita, niente di niente sul conflitto d’interessi , scoperto prima da Marco Bentivogli il segretario generale della FIM-CISL e poi rilanciato dal nostro giornale, con Lucia Morselli prima alla guida della cordata Jindal, Arvedi & compagnia bella, per poi diventare consulente di Di Maio al MISE sul “dossier ILVA”, diventando poi amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia. Una manager che non ha mai gestito realmente alcuna azienda, specializzata esclusivamente in “tagli” di fornitori e personale. E per la sua appartenenza (o vicinanza) ad ambienti della massoneria internazionale.
Nel frattempo all’ ILVA di Taranto crescono le perdite operative ed il ricorso alla cassa integrazione. Il ministro Patuanelli, insieme alle sottosegretarie Todde (M5S) e Morani (Pd), parlano di una strategia che per far sedere intorno al tavolo del MISE tutti gli operatori del settore, per un confronto di idee, problemi, alla ricerca di possibili soluzioni. Ma nel frattempo al MISE si naviga nella nebbia a luci spente, con difficoltà di condivisione politica tra i responsabili delle istituzioni, che le posizioni divergenti su Ilva tra il Mise ed il ministero Tesoro ne sono la più evidente manifestazione
Mentre il dossier Ilva è stato messo in mano da mesi a Invitalia, il ministro Patuanelli sta agevolando l’uscita di Arcelor Mittal, sperando di poter chiamare in causa la Cassa Depositi e Prestiti, contando di poter dire l’ultima parola e decidere se l’intervento pubblico dovrà essere solo finanziario o anche industriale, e tutto ciò mentre continuano a restare ai margini della partita.
I tedeschi di ThyssenKrupp hanno messo in vendita l’ acciaieria Ast di Terni (guidata in un recente passato proprio dalla Morselli) , che il gruppo Marcegaglia vorrerebbe acquistare, dove sarà necessaria una profonda ristrutturazione, un piano industriale con possibili costi occupazionali. Il sottosegretario Alessia Morani è andata a Piombino per confrontarsi sul futuro della ex-Lucchini che gli indiani della Jindal (portati in Italia sempre dalla Morselli) non sono ancora riusciti a rilanciare e che vorrebbero fare affiancare Cdp in vista di un’altra ristrutturazione dolorosa. Jindal si è presentata al tavolo di governo come commentano i sindacati, “senza presentare uno straccio di piano industriale, un accenno di linea guida un progetto per il futuro dello stabilimento, ma si è seduta con il solo e unico intento di chiedere aiuti economici al Governo”.
La Morselli adesso guida la gestione dello stabilimento Ilva di Taranto per conto della famiglia Mittal, ma è proprio lei la causa della parabola dell’intera siderurgia italiana. E basta vedere la fuga da Taranto dei manager di stretta osservanza Arcelor Mittal, e la nomina di alcune consulenti di preoccupante provenienza e competenza, a partire da una “food blogger” tarantina spacciata come comunicatrice….per finire ad un avvocatessa tarantina legata ad un manager del Gruppo Arvedi, ed in passato legata notoriamente ad un noto malavitoso tarantino ben noto dalla Direzione Investigativa Antimafia pugliese.