ROMA – “A ciascuno il suo: agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell’esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare, la collettività”. È il monito della Corte di Cassazione, chiamata ad esaminare un caso di diffamazione. Secondo la Suprema corte, in particolare, “rientra nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagini e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tale attività“.
“È quindi in stridente contrasto con il diritto/dovere di narrare fatti già accaduti (…) l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire“, perchè “in tal modo – aggiunge la Cassazione, facendo riferimento al caso in esame – egli, in maniera autonoma, prospetta e anticipa l’evoluzione e l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali nè iniziate nè concluse“. Il caso su cui si è pronunciata la Quinta Sezione Penale riguardava un procedimento per diffamazione nei confronti del giornalista Peter Gomez (attuale direttore del sito www.ilfattoquotidiano.it ai danni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
La Corte di Appello di Roma, nel 2009, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione del reato per diffamazione aveva ritenuto fondata la tesi secondo cui il giornalista in un articolo sui presunti finanziamenti della mafia al gruppo Fininvest, oltre a riportare le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia contenute nelle indagini, aveva aggiunto “ulteriori considerazioni tratte da altre dichiarazioni di altri soggetti, che apparivano dirette ad avvalorare la credibilità del collaboratore di giustizia realizzando così una funzione di riscontro» che però non può fare il giornalista ma solo l’autorità giudiziaria”.
Nel ricorso in Cassazione il giornalista ha chiesto che nonostante la prescrizione venisse lo stesso riconosciuto l’esercizio del diritto di cronaca, ma i supremi giudici con sentenza 3674 hanno respinto la richiesta. Scrivono infatti i giudici che “è interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penali e civili, conoscere e controllare l’andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello Stato davanti all’illegalità per poter effettuare valutazioni sullo stato delle istituzioni e il livello di legalità di governanti e governati“; ugualmente, “è diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilevo nella vita sociale, politica o giudiziaria“.
Ma, precisa la Cassazione, è “in stridente contrasto con il diritto-dovere” di cronaca l’azione del giornalista che “confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire“. Nel caso specifico, “il giornalista ha integrato le dichiarazioni della fonte conoscitiva con altri dati di riscontro, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all’esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria“. E l’articolo pubblicato, sostiene la Suprema Corte, “non può ritenersi un’asettica riproduzione di dichiarazioni (…) ma un articolato discorso che, comprendendo altri dati storici, tende inequivocabilmente a sostenere la verità del contenuto di queste” dichiarazioni, “a fronte di indagini in corso proprio per l’accertamento di questa verità“.
Questo il commento di Sabrina Peron, avvocato in Milano.
“La cronaca giudiziaria è quel particolare ramo della cronaca che riguarda l’esposizione di avvenimenti criminosi e delle vicende giudiziarie ad essi conseguenti, al fine di consentire alla collettività di avere una retta opinione su vicende penalmente rilevanti, sull’operato degli organi giudiziari e, più in generale, sul sistema giudiziario e legislativo del Paese. Difatti come ricordato dalla Cassazione (Cass. pen., 1 febbraio 2011, n. 3674, Pres. Calabrese, Rel. Bevere) nella sentenza che qui si pubblica l’esimente delle cronaca giudiziaria riguarda il “diritto di informare i cittadini sull’andamento degli andamenti giudiziaria a cario degli altri consociati”, dato che “è interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penali e civili, conoscere e controllare l’andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello stato dinanzi all’illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello i legalità caratterizzante governanti e governati, in un determinato momento storico”.
Continua sempre la Corte osservando come il “diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell’ambito della vita associata. E’ diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria”. Ne segue che “in pendenza di indagini di polizia giudiziaria e di accertamenti giudiziari nei confronti di un cittadino, non può essere a questi riconosciuto il diritto alla tutela della propria reputazione: ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la lesione perde il suo carattere di antigiuridicità”.
Ciò posto, nell’ambito della cronaca giudiziaria si ritiene che sia certamente legittima l’esposizione di fatti recanti discredito all’onore ed alla reputazione altrui, purché i “fatti in questione trovino rispondenza in quanto espresso dalle autorità inquirenti ovvero nel contenuto degli atti processuali, dovendosi altresì considerare che per il cronista giudiziario il limite della verità delle notizie si atteggia come corrispondenza della notizia al contenuto degli atti e degli accertamenti processuali compiuti dalla magistratura, con la conseguenza che il fatto da dimostrarsi vero, al fine dell’accertamento della scriminante, è unicamente la corrispondenza della notizia agli atti processuali a prescindere dalla verità dei fatti da questi desumibili” (Tribunale di. Roma, 09.05.2003, in RCP, 2005, 232)
Nella narrazione di tali atti è tuttavia necessario che venga rispettato il diritto dei soggetti coinvolti in tali fatti, cosicché l’opinione del consesso dei cittadini, si formi su notizie aderenti a quelle che sono le effettive risultanze processuali a loro carico. E’ dunque di tutta evidenza che la cronaca giudiziaria può collidere con il contrapposto interesse di tutela della riservatezza del soggetto coinvolto negli accadimenti giudiziari oggetto della cronaca.
Altresì (e soprattutto) la cronaca giudiziaria si colloca in potenziale conflitto anche con i principi espressi dall’art. 27 della Costituzione, ai sensi del quale sono vietate affermazioni anticipatorie della condanna o, comunque, pregiudizievoli della posizione dell’indagato e dell’imputato: la ratio della norma è volta a tutelare detti soggetti contro ogni indicazione che li accrediti come colpevoli prima di un accertamento processuale definitivo che effettivamente li riconosca come tali (cfr. Cass. pen., 21.03.1991, in RPen, 1991, 912; Trib. Roma, 06.04.1988, in DInf, 1988, p. 837).
Tanto premesso, d’altro canto, è parimenti ovvio che il diritto di cronaca (e, più in generale, di manifestazione del pensiero) non può venire del tutto sacrificato neppure nei confronti del principio di presunzione di innocenza; ciò sul presupposto che a favore dell’imputato o dell’indagato non militi alcuna ragione volta a riconoscere loro una tutela della reputazione maggiore di quanto non spetti ad altri soggetti. Date queste premesse, vediamo che la cronaca giudiziaria incontra i medesimi limiti delle altre forme di cronaca (verità della notizia, pubblico interesse alla conoscenza dei fatti narrati, e continenza), sui quali però sono state svolte doverose specificazioni.
E difatti, quanto al limite della verità, esso viene inteso in senso restrittivo, poiché il sacrificio della presunzione di innocenza non deve spingersi oltre quanto strettamente necessario ai fini informativi. Ciò comporta che il giornalista non deve narrare il fatto in modo da generare un convincimento su una colpevolezza non solo non ancora accertata, ma che poi potrà rivelarsi anche inesistente (cfr. App. Roma, 20.01.1989, in GPen., 1991, II, c. 519); inoltre, se la notizia viene mutuata da un provvedimento giudiziario, occorre che essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza illazioni, allusioni, alterazioni o travisamenti (cfr. Cass. pen., 10.11.2000, Scalfari, in CPen, 2001, p. 3045) e senza ricostruzioni, o ipotesi giornalistiche, autonomamente offensive (cfr. Cass. pen., 20.09.2000, in CPen, 2001, p. 3405).
Altresì si richiede che non venga omessa la narrazione di aspetti idonei a scagionare l’imputato: i fatti vanno, dunque, riferiti in termini di problematicità (Trib. Roma, 5.11.1991, in DInf, 1992, p. 478), chiarendo le opposte tesi dell’accusa e della difesa (c.d. principio dell’equilibrio), dando voce in ugual misura alle parti contrapposte senza tacere aspetti salienti delle tesi difensive, al fine di inculcare nel lettore la convinzione di una inevitabile pronunzia di condanna. Inoltre, nel dare la parola agli indagati, agli imputati ed ai loro difensori, il cronista giudiziario non deve raccogliere sfoghi ed invettive, ma elementi concreti di difesa o di accusa, atti a mettere il lettore di farsi una propria opinione sui fatti, sui criteri di gestione dei processi, sul ruolo della magistratura così da consentire il controllo diretto della collettività sull’operato delle istituzioni (L. BONESCHI, Etica e deontologia del giornalista nella cronaca giudiziaria: qualche regola da rispettare, in DInf., 1999, p. 569, ss).
In questo contesto la Cassazione nella sentenza qui pubblicata ha precisato che i giudizi critici manifestati su una persona coinvolta in indagini devono porsi in correlazione con l’andamento del processo, perché “rientra nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti giudiziari e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività”.
Secondo la Corte quindi è in contrasto con il “diritto / dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni «a futura memoria», l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire. In tal modo egli, in maniera autonoma, prospetta e anticipa l’evoluzione e l’esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali né iniziate né concluse, senza essere in grado di dimostrare la affidabilità di queste indagini private e la corrispondenza a verità storica del loro esito. Si propone ai cittadini un processo agarantista. Dinanzi al quale il cittadino interessato ha, come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione”.
Conclude così la Corte: “a ciascuno il suo: agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell’esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare la collettività”.