di Mario Calabresi
L ’ITALIA è al 77esimo posto nella classifica della libertà di stampa, dietro Paesi africani come Burkina Faso e Benin. Il motivo? Non quello che pensano i detrattori del nostro giornalismo, ovvero l’asservimento al potere, ma il contrario: troppi sono i giornalisti minacciati dalle mafie e dalla criminalità organizzata per le loro inchieste su malaffare e corruzione. Come se non bastasse abbiamo il record delle cause contro i giornali intentate dai politici, che mal sopportano l’idea che qualcuno faccia loro le pulci o li critichi e così ricorrono ai tribunali con evidente scopo intimidatorio.
Non da ieri si è aggiunto alla schiera dei politici che vorrebbero mettere la museruola ai giornalisti anche Beppe Grillo. Evidentemente infastidito dall’idea che qualcuno rompa l’incantesimo a 5 Stelle e denunci corruzione, incapacità e opacità delle amministrazioni a lui legate, come sta accadendo a Roma.
Sarebbe sbagliato orchestrare una difesa d’ufficio del giornalismo italiano, senza dubbio non esente da pecche e peccati, ma nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli. La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza, per cui chiunque può concionare su vaccini, scie chimiche, chemioterapia o cellule staminali con la pretesa di avere in tasca una verità popolare, da nulla suffragata se non da un sentimento di massa.
I danni che questo nuovo conformismo della Rete sta facendo al dibattito pubblico sono incalcolabili. Grillo propone una giuria popolare di fronte alla quale trascinare i direttori per far loro ammettere gli errori a testa bassa. Se l’idea della giustizia popolare non facesse venire alla mente precedenti storici drammatici, sarebbe da riderci sopra. E quanto ai tribunali, esistono già e continuamente si occupano di direttori chiamati a rispondere per quanto scritto sui loro giornali. A Grillo piace l’idea di una giustizia fai da te, come quella che decide espulsioni e ammende all’interno del movimento.
A noi, però, preoccupa di più il danno che la propaganda grillina arreca al tessuto sociale, alla fiducia nell’informazione il farsi strada dell’idea che il giornalismo sia establishment a cui contrapporre il popolo. Il nostro popolo è la comunità dei lettori, che è anche il nostro unico giudice. Il suo verdetto lo emette ogni mattina, decidendo se leggerci o no
*direttore del quotidiano La Republica