di Roberto Arditti
Tra le poche certezze del dopo elezioni, una va facendosi largo con forza piuttosto considerevole: non vi sarà spazio per un accordo di governo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, se lo intendiamo come derivante da iniziativa autonoma presa da loro due (cui magari aggiungere sostegni parlamentari numericamente necessari). Ciò è sempre più evidente sia per ragioni politiche che di “compatibilità” con il sistema nel suo complesso, dove agiscono poteri più o meno forti (in fondo questa è la democrazia).
A ogni buon conto è lo stesso Berlusconi che da diversi giorni va chiarendo ai suoi interlocutori privilegiati che lo schema FI-PD, per mesi dato per certo da quasi tutti gli osservatori più avveduti, non può funzionare forzando le cose: il Cavaliere è innanzitutto un gran pragmatico e non mancherà di dimostrarlo anche stavolta. Poi ci sono le vicende sul lato sinistro dell’eventuale accordo per il “governissimo“.
Renzi stesso ha ormai compreso che quella strada non è percorribile innanzitutto per ragioni politiche, poiché finirebbe per produrre una ulteriore frattura nel PD (molti, anche tra i ministri in carica, sono fermamente contrari) e poi lo consegnerebbe ad un accordo di governo con il Cavaliere di difficilissima gestione, esposto al bombardamento di tutti quelli che ne resterebbero fuori, a cominciare da gran parte della “nobiltà”, più o meno in sella, della sinistra italiana. È però vero che per diverse settimane questo schema ha impegnato le energie di molti, sino al punto di generare persino ipotesi di suddivisione dei ministeri.
Proprio qui è scattato il campanello di allarme e così questo mese di febbraio si è visto incaricato di mandare ai naviganti tutti (e a due in particolare) segnali ben precisi di dissenso. Sono così emersi due elementi che hanno raffreddato gli entusiasmi e chiarito con nettezza che occorre cambiare schema di gioco. Il primo è l’ingarbugliarsi della vicende relative alla vendita del Milan, croce e delizia delle emozioni e degli affari di famiglia del Cavaliere.
Prima una dettagliata inchiesta pubblicata da La Stampa, poi un puntiglioso approfondimento di Milena Gabanelli sull’edizione web del Corriere della Sera: quella storia non è in ordine e continuerà a far parlare di sé anche nei prossimi mesi. Il secondo segnale è arrivato (con metodi giornalistici su cui andrebbe aperto un serio dibattito a parte) al più potente uomo politico del Sud che non ha mai tentennato nel sostenere Matteo Renzi, cioè il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.
Ebbene è noto a tutti che la partita del 4 marzo si gioca al Sud ed è anche ben evidente l’aria che tira in Puglia o in Sicilia, dove gli amici del segretario si contano su poche dita. Oggi quindi un problema di De Luca è, inevitabilmente, anche un problema di Renzi: per questo la vicenda campana dell’ultima settimana fa il paio con quella del Milan.
Possiamo quasi affermare con pacatezza che il messaggio è stato forte e chiaro, nonché ben recepito dai diretti interessati. Si può quindi procedere nel lavoro per il dopo elezioni su basi rinnovate, come emerge dalle parole di uomini che mai parlano a caso come Romano Prodi e Giorgio Napolitano. Molto probabilmente servirà un ampio accordo di governo e difficilmente ne saranno esclusi il PD e Forza Italia.
Ma sarà un accordo ampio, ben diverso (nella forma e nella sostanza) da un governo con due soli “riferimenti”.
*editoriale tratto dall’ Huffington Post