di Sergio Rizzo
Nelle ricostruzioni delle mappe del potere grillino in questi giorni successivi alle amministrative prevale la caratteristica familiare. Lunghissimo e sorprendente risulta l’elenco di consiglieri, assessori, presidenti di circoscrizione e presunti loro collaboratori che hanno fra di loro vincoli di parentela, senza dire dei rapporti coniugali o equipollenti. Succede nelle migliori famiglie politiche, si sa. E spesso sono gli stessi esponenti del Movimento 5 stelle a stigmatizzare (giustamente, aggiungiamo) la commistione fra relazioni parentali e amministrative, come nel recente caso del figlio del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, quando si è profilato il suo approdo alla giunta comunale salernitana con un importante incarico. A maggior ragione, quindi, la straordinaria rete di relazioni familiari in quella che ormai è una vera e propria nomenclatura grillina non può non suscitare qualche riflessione.
La prima è la già mancanza di una classe dirigente, conseguenza in parte della rapidità con cui il Movimento si è affermato, ma anche della inesistenza di palestre dove formarla (la rete a questo serve a poco). Carenza che costringe a curiosi ripescaggi di figure anche piuttosto usurate nei ruoli tecnici, e in mancanza di alternative può innescare la suggestione di ricorrere alle uniche persone di cui ci si può fidare, in un clima di generale diffidenza verso tutto ciò che non è il Movimento.
E chi se non i familiari, che magari condividono pure la medesima fede politica. Ma indipendentemente, temiamo, da capacità e competenze. Chi fa l’esame al marito per stabilire se è adatto a fare il capo di gabinetto della moglie? Eliminare una classe dirigente considerata in larga misura corrotta, collusa e inadeguata è il primo passo se davvero si vogliono cambiare le cose. Ma sostituirla con le fidanzate, i figli o i congiunti dei colleghi di partito non ci sembra il modo migliore.
Anche con le migliori intenzioni si chiama sempre allo stesso modo: nepotismo.