di REDAZIONE ECONOMIA
Il presidente del consiglio Draghi invece di diffondere comunicati stampa e video sui socialnetwork, ha deciso di riportare il necessario rigore ed efficienza nel governare il Paese, decidendo di scrivere personalmente il nuovo Recovery Plan italiano da presentare entro la fine di aprile alla Commissione di Bruxelles all’ Unione Europea. Poi non potrà più essere cambiato.
Le prime erogazioni dell’ Europa per l’Italia arriveranno entro l’estate e saranno il 13 per cento del totale. Complessivamente saranno circa 209 miliardi entro il 2026, rispettando i tempi e le condizioni fissati dalla Commissione Ue. Dopo gli errori commessi dal precedente governo, restano 60 giorni per disegnare il nuovo modello di sviluppo del Paese spinto da quello che l’Europa ha appunto chiamato Next Generation Eu.
E’ un’ occasione irripetibile, sicuramente la più importante operazione dal dopoguerra ad oggi di politica economica , per rimettere in piedi l’ Italia che ha ridotto la propria ricchezza nazionale nel 2020 di quasi il 9 per cento, lasciando a terra circa di mezzo milione di lavoratori con la chiusura di centinaia di migliaia di piccole-medie imprese.
Bisognerà attendere sino alla fine del 2022 per recuperare le percentuali di attività produttiva economica pre-Covid . le due priorità di Draghi che marciano parallele di pari passo sono la lotta al virus, attraverso un piano di vaccinazioni di massa, e il rilancio economico, attraverso il Recovery Plan.
Bruxelles si sente più garantita grazie alla presenza ed impegno personale del presidente del Consiglio nel riscrivere il Piano . L’ Unione Europea, durante l’iniziale imbarazzante stesura del progetto da parte del governo Conte bis aveva ripetutamente lamentato i ritardi nella definizione e l’assenza di un disegno strategico da parte dell’ Italia.
Anche perché le risorse stanziate dall’ Europa all’ Italia, maggiore beneficiario dal momento che è il Paese che più è stato danneggiato in termini economici dalla diffusione del Covid 19, per la prima volta devono essere utilizzate in una logica di condivisione del debito, secondo criteri ben definiti e sotto il costante controllo della Commissione Europea. Sarà necessario indicare non soltanto i progetti ma sopratutto indicare le conseguenze economiche sull’intero sistema e sui livelli occupazionali, altrimenti l’ Italia non potrà ricevere le successive tranches alla prima.
Un complesso e articolato processo di Governo che è stato affidato al ministero dell’Economia, dove il ministro Daniele Franco ha già avviato le consultazioni e il monitoraggio necessari ai vari livelli, esattamente hanno fatto altri Paesi europei a cominciare dalla Francia. Si “blinda” così l’asse Draghi-Franco. Un’accoppiata cresciuta nella Banca d’Italia, con un passato dentro la “macchina” del Ministero dell’ economia e Finanze (che ha assorbito le vecchie competenze del Ministero del Tesoro) , Draghi come direttore generale negli anni Novanta, Franco come Ragioniere generale dello Stato dal 2013 al 2019.
Il premier Draghi con accanto il ministro Franco, vuole rilanciare la capacità di elaborazione del Mef e della Ragioneria generale dello Stato, in virtù della competenza e conoscenza che ha di quella struttura amministrativa. Il lavoro della Ragioneria, in particolare, negli ultimi decenni, si è dovuta concentrare sulle operazioni di copertura finanziaria, cioè tappare i buchi provocati da alcune scelte scriteriate della politica.
Basti ricordare ad esempio allo scontro avuto tra Daniele Franco, allora Ragioniere generale dello Stato, e il Governo Conte 1 (M5S-Lega) sulle coperture finanziarie per “Quota 100” per il pensionamento anticipato e per reperire i fondi del reddito di cittadinanza. Adesso invece si richiede al Mef di modificare le manovre ed occuparsi di cercare le coperture finanziarie alle nuove prossime proposte di politica economica. In pratica di offrire il proprio contributo tecnico per progettare e gestire la politica economica di cui il Recovery Plan gioca un ruolo fondamentale.
Un cambio di rotta molto apprezzato dai dirigenti del ministero coinvolti in questa operazione e che nel recente passato si erano sentiti accantonati ai margini sia dal precedente ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che aveva lasciato troppo spazio ai “desiderata” dell’allora premier Giuseppe Conte, che dal precedente titolare degli Affari europei, Vincenzo Amendola, nell’interlocuzione fondamentale con la Commissione di Bruxelles.
Pochi della precedente maggioranza di governo a tre (M5S, Pd e LeU) ricordano che l’ex-premier Conte aveva messo in piedi una governance imperniata su un vertice a quattro (Conte più i ministri Gualtieri, Amendola e Stefano Patuanelli), sotto dei quali sei manager responsabili delle sei differenti del piano, e sotto di loro ulteriori 300 manager, con un modello piramidale successivamente bocciato dalla maggioranza del Conte bis.
Draghi nel suo discorso programmatico al Senato ha annunciato che punta a coinvolgere i privati accanto alla struttura pubblica che risente di anni di limitata progettazione nonchè dell’assenza di un ricambio generazionale del personale. Serviranno quindi delle partnership con i grandi gruppi, molti dei quali sotto il controllo pubblico (dall’Eni all’Enel, dalle Poste alla Snam) per selezionare i progetti e poi presentarli.
Una sfida senza precedenti per la pubblica amministrazione italiana che non può che fare bene al Paese, e restituire credibilità alle politiche di Governo .