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22 Novembre 2024 02:24

Il rapporto 2016 sull’economia tarantina sempre più disastrata

L' introduzione del Presidente della Camera di commercio di Taranto alla Giornata dell' Economia 2016

di Luigi Sportelli*

Il 2015 è stato un anno complesso sotto il profilo economico e sociale per la nostra provincia. Il Rapporto Taranto 2016, elaborato dal Centro Studi della Camera di commercio di Taranto in collaborazione con l’Istituto G. Tagliacarne, restituisce la fotografia puntuale di questa complessità, attraverso l’analisi dei principali elementi strutturali dell’economia locale, delle criticità presenti, delle potenzialità ancora largamente sottostimate.  L’anno scorso auspicai per Taranto la capacità di risollevarsi dai vincoli di un sistema economico non più adeguato alle attuali esigenze di benessere, per iniziare finalmente ad autodeterminare il proprio futuro.

Ad oggi quell’auspicio non si è trasformato in realtà, innanzitutto perché non c’è ancora nessun piano strategico per l’area tarantina, nessuna vision integrata, e la coesione e la capacità di dialogo fra le componenti istituzionali, sociali ed economiche del territorio restano totalmente insufficienti.
Non abbiamo fatto grandi passi in avanti, nonostante sia positivo qualche segnale, tutto da interpretare, come ad esempio: un aumento del valore aggiunto e dell’export, le localizzazioni imprenditoriali in lieve crescita (nei numeri). Incrementi che pur dimostrando una certa reattività di Taranto rispetto all’andamento del ciclo economico nazionale, continuano, tuttavia, ad essere legati prevalentemente ad un modello di sviluppo e ad un’economia che hanno dimostrato limiti e pericoli.

nella foto il Cav. luigi Sportelli
nella foto il Cav. Luigi Sportelli

Perché l’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla crescita severa del tasso di disoccupazione, drammatica con riferimento a quella giovanile, dall’innalzamento delle sofferenze bancarie, dal progressivo processo di invecchiamento demografico e produttivo, dall’aumento della pressione tributaria, da un basso livello di innovazione (export ancora molto tradizionale, pochissime startup innovative), dalla scarsa incidenza delle imprese operanti proprio in quel sistema produttivo culturale di cui tanto parliamo come possibile vivaio di rinascita! Senza considerare i perduranti e negativi riflessi che il dissesto del Comune capoluogo continua a dispiegare su imprese, professionisti e famiglie. Dissesto non ancora chiuso a quasi un decennio dalla sua dichiarazione! Una situazione già gravemente compromessa sulla quale si è innestata la crisi dell’Ilva e la conseguente crisi del tessuto industriale, che ha, a sua volta, seriamente condizionato la stabilità del sistema socio – economico tarantino. E poi l’annosa ricerca di soluzioni alle problematiche ambientali ed un immaginario nazionale ed internazionale compromesso che, con sforzi indicibili e non sempre con successo, molti di noi cercano di modificare positivamente.

Proviamo a cercare delle spiegazioni: c’è qualcosa che non torna e il mero aumento della “ricchezza” non è sufficiente per comprendere lo stato di salute di questo territorio.  La crescita del valore aggiunto in termini reali è dovuta ad una combinazione di fattori esogeni ed endogeni positivi. Ad esempio il recupero del settore delle costruzioni, come pure la ripresa del mercato immobiliare, la crescita gli impieghi bancari. Mostrano, poi, una buona vitalità l’agricoltura e l’agroalimentare, le cui esportazioni crescono, a differenza del complessivo andamento incolpevolmente condizionato dalle difficoltà del settore industriale.

Certo, Taranto cresce meno di altri contesti e ciò dipende soprattutto dal fatto che la struttura produttiva è caratterizzata dalla presenza di grande industria che continua ad essere in crisi e condiziona negativamente la creazione di ricchezza complessiva. Anche il turismo, che dovrebbe essere un altro fattore forte di impulso per l’economia, continua in provincia a non esprimere il suo pieno potenziale e, quindi, il contributo alla creazione di ricchezza è modesto. Né c’è da stupirsene, considerata, fra l’altro, la condizione di inaccessibilità della nostra area, con un aeroporto incomprensibilmente e colpevolmente chiuso ai voli commerciali e i treni ridotti al minimo sindacale.

CdG porto taranto

Arriverà il turismo crocieristico? Bene, purché intanto si costruiscano il prodotto e l’accoglienza, altrimenti resteremo transhipment anche per questo segmento. Un modello di sviluppo che non funziona più, sottolineavo, e azioni che hanno risultati parziali perché continuiamo a voler fare cose nuove con strumenti vecchi. Il 2015 è iniziato con la speranza che la legge n.20/2015, nella parte riguardante la riqualificazione e la rigenerazione della città di Taranto, le bonifiche ambientali, la portualità, in un quadro complessivo di sviluppo sostenibile e basato sulle naturali vocazioni dell’area, potesse almeno parzialmente risolvere certe questioni cristallizzate, apparentemente insormontabili. Come Ente camerale abbiamo portato nel Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) sottoscritto in dicembre le irrinunciabili istanze della nostra economia reale: clausola sociale, attenzione alle imprese locali, reperimento di ulteriori risorse a supporto della riqualificazione, del consolidamento e del riavvio delle imprese.

nella foto Palazzo Chigi
nella foto Palazzo Chigi, sede del Governo Italiano

Siamo grati per l’attenzione del Governo che ha messo in sicurezza oltre 870 milioni di euro di risorse già da tempo assegnate, ma purtroppo ancora non spese nel corso di questi ultimi anni e, quindi, potenzialmente revocabili, e che tanto continua ad impegnarsi tramite le proprie strutture tecniche perché il CIS trovi piena applicazione. Dobbiamo, però, evidenziare che la speranza sugli effetti della legge n.20, lungi dall’essersi spenta, è divenuta più realistica.

Ad esempio, inspiegabilmente non parte ancora l’Accordo di programma per la riconversione e riqualificazione industriale, sollecitato in ogni modo dall’intero mondo economico e sociale e vanamente atteso sin dal 2012. Inoltre, accanto agli interventi di “emergenza” (tutto appare emergenza in questa nostra provincia) ancora non c’è la vision che invochiamo e sulla quale lavoriamo come Camera di commercio da tanto tempo.  Non c’è perché insieme non siamo riusciti a costruirla.

È un punto che si deve fissare molto bene nella coscienza e nella memoria di chi avrebbe il compito di decidere e non lo fa: ancora nel 2016 Taranto non sa quale sarà il suo futuro ed è inutile continuare a cercare altrove i colpevoli o invocare e attendere soluzioni completamente eterodirette, se non siamo noi stessi capaci di discutere – men che meno di decidere – quali sono le priorità di crescita con una prospettiva strategica e di lungo periodo.

Cose nuove con strumenti vecchi, dicevo. Ma la Camera di commercio di Taranto sta ragionando da anni proprio sugli strumenti. Ha detto Stefano Zamagni, anche qui nella Cittadella delle imprese, che l’economia civile è un berillo intellettuale, un prisma attraverso il quale guardare diversamente l’economia. Un approccio diverso, con l’uomo e la reciprocità al centro. La stessa differenza che passa (per richiamare un altro tema caro alla Camera di commercio di Taranto) fra pensare digitale e scansionare un foglio di carta credendo che quella sia digitalizzazione.

L’economia civile, dunque, è oggetto di attenzione sempre maggiore e di provvedimenti che mirano a diminuire il gap fra profit e non profit, a far comprendere che la crescita non è niente se non c’è la “felicità”. Mi riferisco alla legge sulle Società benefit, alla riforma del Terzo settore, all’inserimento degli indicatori del Benessere equo e sostenibile nel documento di programmazione economica e finanziaria dello Stato (DEF). Molte volte ne abbiamo parlato in questa sede e ci siamo impegnati perché impresa sociale, CSR, BES non restassero temi da convegno, investendo, invece, sulla costruzione delle competenze.

Abbiamo dato il nostro piccolo contributo a questa “rivoluzione non troppo silenziosa” come la definisce Mauro Del Barba, primo firmatario della legge sulle SB. Comunque la si pensi, guardare attraverso questo prisma ci consente una visione sfaccettata e differente dell’economia tradizionale, quella che ormai solo parzialmente risponde tanto ai bisogni delle persone, quanto a quelli delle imprese profit. Perché la sostenibilità, la responsabilità sociale, l’inclusività non possono più essere irruzioni accessorie e volontaristiche nell’attività delle imprese più attente.

Dobbiamo cambiare l’approccio, guardare nel berillo e vedremo un modello, forse più modelli, che spero ispireranno un cambiamento di atteggiamento, soprattutto a livello istituzionale: scrivere finalmente policy di sviluppo condivise, non orientate dall’esterno né informate alle logiche obsolete che perpetuano la condizione di soggezione ed emarginazione del nostro territorio, ma invece ai valori di un mercato equo e rispettoso del benessere delle persone.

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