di Silvia Signore
L’ultima opera di Giovanni Valentini in passato direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore del quotidiano la Repubblica al fianco di Eugenio Scalfari , attualmente editorialista del Fatto Quotidiano racconta nelle 334 pagine un viaggio articolato in 20 capitoli nel giornalismo italiano con oltre 250 personaggi tra giornalisti, scrittori, editori e politici. Barese e figlio d’arte di suo padre Oronzo Valentini che è stato il più “autorevole” direttore nella storia del quotidiano pugliese La Gazzetta del Mezzogiorno.
Pubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo, in libreria da oggi 31 ottobre, Il romanzo del giornalismo italiano è un “viaggio” in cui il giornalista racconta in prima persona le sue varie esperienze professionali che si incrociano con le vicende della vita pubblica del nostro paese: dal quotidiano Il Giorno al quotidiano Repubblica (di cui è stato fra i fondatori) ; passando dalla direzione del settimanale L’ Europeo a quella del L’ Espresso, dopo quella dei quotidiani veneti del Gruppo (Il Mattino di Padova, la Nuova Venezia, La Tribuna di Treviso) ; dalla direzione editoriale di Tiscali fino all’incarico di Portavoce dell’Autorità Antitrust.
Il suo viaggio giornalistico racconta e descrive una trama di episodi, aneddoti, retroscena e anche pettegolezzi, in gran parte inediti e sconosciuti, che riguardano personaggi noti e meno noti: da Eugenio Scalfari a Umberto Eco, da Antonio Padellaro a Marco Travaglio, da Carlo Caracciolo a Carlo De Benedetti, dal presidente Sandro Pertini a Francesco Cossiga, da Silvio Berlusconi a Carlo Azeglio Ciampi, da Rosy Bindi a Giorgia Meloni, da Antonio Di Pietro a Renato Soru.
Questi che vi proponiamo di seguito per gentile concessione dell’ autore e dell’ editore, sono alcuni estratti che riguardano in particolare il quotidiano la Repubblica ed il settimanale L’Espresso. Fu Scalfari, dopo aver assunto già due volte Giovanni Valentini al quotidiano La Repubblica e averlo nominato capo della redazione milanese, a volere che il giornalista tornasse a Roma, nel luglio del 1984, per dirigere L’Espresso all’età di 36 anni.
L’assemblea di redazione, fedele al vecchio direttore Livio Zanetti sotto il controllo dei “tupamaros superstiti capeggiati da Paolo Mieli”, manifestò un parere contrario, pur escludendo pubblicamente riserve di natura personale. Ma, trattandosi di un parere consultivo, l’editore confermò la nomina con il consenso del Comitato dei garanti.
Nel suo “Romanzo del giornalismo italiano”, Giovanni Valentini rivela un retroscena conosciuto da pochi. Due anni prima, l’editore Carlo Caracciolo era andato a Padova – dove Valentini dirigeva i quotidiani veneti del Gruppo – e gli aveva già fatto una proposta. “L’Espresso è in difficoltà,” esordì il Principe-editore. “Zanetti comincia ad avere la sua età e il giornale ha bisogno di un ricambio.” E, parlando anche a nome di Eugenio Scalfari, aggiunse: “Vorremmo che tu tornassi a Roma, a settembre, per fare il caporedattore e prepararti dall’interno a prendere il suo posto.”
Per correttezza professionale e personale, e per verificare che il direttore del settimanale L’ Espresso fosse favorevole a quella soluzione, prima di accettare l’incarico Valentini volle incontrare personalmente Zanetti il quale si negò più volte. Alla fine, in piena estate romana, i due giornalisti si incontrarono a pranzo a Roma al ristorante “Il Passetto” .
Dopo aver chiacchierato del più e del meno per un buon quarto d’ora Zanetti, facendosi schermo del “corporativismo” redazionale, ammise abbassando gli occhi: “Sì, sono al corrente della proposta di Carlo (Caracciolo n.d.r.) . Anche a me farebbe piacere averti come caporedattore. Ma, vedi, mi sembra che non tutta la redazione sia d’accordo” ed aggiunse “Prendiamo un po’ di tempo e magari ne riparliamo più avanti”. A quel punto Valentini irritato dall’ipocrisia e dalla falsità di Zanetti, reagì con la sua nota veemenza e franchezza: “Chiudiamo qui il discorso, non parliamone più”, gli rispose a muso duro: “Lasciami solo dire che il tuo è stato un comportamento da vigliacco”. E l’autore del libro aggiunge “prima che mi alzassi e me ne andassi, lui biascicò: “È vero, hai ragione…”.
Giovanni Valentini dedica tre capitoli, ai suoi sette anni trascorsi nella “storica” sede di via Pò a Roma, alla direzione del settimanale L’Espresso (1984-1991) dal titolo “L’Espresso amaro”, “Il fortino di via Po” ed infine “Venduti e comprati” dall’insediamento all’ideazione della “Bustina di Minerva” di Umberto Eco, dalla campagna sulla concentrazione televisiva e pubblicitaria di Silvio Berlusconi al filone dell’ambientalismo, fino all’avvento di Carlo De Benedetti ed alla “Grande spartizione” con la Mondadori che mise fine alla “Guerra di Segrate”. 53 pagine piene di aneddoti e retroscena che raccontano da “dietro le quinte” di vicende pubbliche vissute dall’interno della redazione di via Po, passando dal “caso Malindi” ai “sassolini di Cossiga” fino ai segreti di Gladio e all’operazione “Stay-Behind” contro il pericolo di un’invasione nemica.
Allorquando il settimanale L’ Espresso pubblicò lo “scoop” sull’organizzazione paramilitare Gladio rimasta fino ad allora segreta, il Capo dello Stato Francesco Cossiga telefonò all’Ingegnere-editore Carlo De Benedetti per protestare, come se fosse lui l’autore dell’inchiesta o il direttore del giornale: “Con questo articolo, hai fatto peggio che se avessi stuprato mia figlia!” inveendo contro De Benedetti, come lo stesso racontò poi a Valentini: “Finché ci sarò io, non metterai più piede al Quirinale. E domani ti farò restituire i telefonini che mi hai regalato.”
L’ex direttore del settimanale L’ Espresso racconta nel suo libro : “De Benedetti, pur senza lamentarsi o recriminare, rimase turbato da quello scontro con il presidente della Repubblica. Avvezzo agli ambienti felpati dell’alta finanza, lui non aveva né l’aplomb né l’esperienza di un editore come Caracciolo. Ho motivo di ritenere che il caso Gladio fu all’origine della mia rottura con l’Ingegnere che sarebbe arrivata appena un anno dopo”.
Rimosso nel luglio del ’91, dopo sette anni dalla direzione dell’Espresso per volere di De Benedetti che insedia Claudio Rinaldi, in autunno Valentini rientra ancora una volta a La Repubblica. A dicembre di quell’anno, come racconta l’ex direttore nel suo libro “Il romanzo del giornalismo italiano” (editore La Nave di Teseo), Eugenio Scalfari gli annuncia che intende nominare un “pacchetto” di vicedirettori, tra cui lui, ma il giornalista barese riesce a dissuaderlo: “Per quanto mi riguarda, ti ringrazio di aver pensato a me. Ma, come ti avevo detto fin dall’inizio, ho bisogno di ricaricarmi, di leggere, di andare al cinema e al teatro… Per un po’ di tempo, preferisco dedicarmi a scrivere”.
In relazione alla nomina di cinque vice direttori, Valentini aggiunse: “Poi, se me lo consenti, vorrei sconsigliartelo. Passerebbero la maggior parte del tempo a farsi la guerra tra di loro, rallentando il lavoro e la programmazione del giornale”. E il direttore Eugenio Scalfari lo ascolta e gli dà retta. Siamo alla fine del ’94, quando Scalfari per rilanciare la testata a quasi vent’anni dalla fondazione, fa un appello alla bandiera e decide di nominare tre vicedirettori: Mauro Bene, Antonio Polito e lo stesso Giovanni Valentini che a quel punto non si può più tirare indietro. I “tre fratellini” (come li chiamavano al giornale) si rimboccano le maniche, riformano il “timone” del giornale e la grafica, raddoppiano le pagine dei Commenti, e la “nuova Repubblica” passa dal bianco e nero al full color e riprende quota nelle vendite.
Nella primavera del ’96, Giovanni Valentini viene incaricato anche di coordinare il gruppo di lavoro che fonda il sito repubblica.it e il direttore, in tono tra lo scettico e l’ironico, gli chiede: “Ma tu mi devi spiegare perché dobbiamo cannibalizzarci le vendite in edicola…”. Una mattina di maggio è lo stesso Scalfari ad annunciare nella riunione di redazione l’avvicendamento alla guida del giornale. “L’editore,” esordisce, “mi ha chiesto una rosa di tre nomi. Io ho domandato: una ‘rosa’ interna o esterna? Mi è stato risposto: esterna, per favorire una discontinuità. E allora, ho fatto i nomi di Ezio Mauro, Claudio Rinaldi e Paolo Mieli”.
Nessuno ha l’ardire di chiedere a Scalfari il motivo per cui la nuova proprietà pretende una “discontinuità”. Valentini chiosa nel suo “romanzo”: “Caracciolo e De Benedetti si divertirono poi a dire che Scalfari s’era convinto di essere stato lui a scegliere Ezio Mauro”. Giampaolo Pansa nel suo libro “La Repubblica di Barbapapà” scriverà: “Scalfari aveva immaginato una scelta sorprendente: Bernardo Valli. Ad affiancarlo da condirettore poteva impegnarsi Valentini, già direttore dell’Espresso e molto legato a Eugenio”. Ma l’interessato nel suo volume pubblicato per l’editore La Nave di Teseo commenta: “Non so se fosse vero o meno“.
Ma racconta Valentini, “onestamente, Scalfari non mi parlò mai di quell’ipotesi. E comunque, la vendita a Carlo De Benedetti aveva cambiato le carte in tavola”. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con il passaggio del Gruppo L’Espresso alla Fiat di John Elkann, sotto l’egida editoriale della Gedi.
Oltre a un capitolo intitolato “Mani ferite, la vera storia di Tangentopoli” raccontata dall’ ex magistrato Antonio Di Pietro; a quello sul “Mistero della Sapienza“, dedicato al delitto di Marta Russo all’Università La Sapienza di Roma, il “romanzo” di Giovanni Valentini ne comprende uno più personale intitolato “Una vita con Barbapapà”, uno sul “Giornalismo on line” e infine si conclude con quello che risponde all’interrogativo sul futuro della professione, fra social network e intelligenza artificiale: faremo a meno dei giornalisti ? Un libro questo che ci sentiamo di consigliare vivamente a chiunque faccia il giornalista o voglia diventarlo.
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