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22 Novembre 2024 05:14

Il ruolo delle poliziotte nell’arresto del congolese accusato degli stupri di Romini

"Sono rimasta impressionata dalla ferocia di questi ragazzi. Sono molto giovani, eppure hanno tirato fuori una carica d'odio enorme. Forse li ha scatenati il fatto di muoversi in branco. Quando li abbiamo interrogati si sono mostrati mansueti. E invece il racconto delle due donne, le lesioni che hanno inferto loro, dimostrano che sono riusciti a tirare fuori una forza brutale"

ROMA – Ha uno sguardo dolce, ma nello stesso momento freddo e determinato Francesca Capaldo, la donna poliziotta, capo della sezione dello SCO (il Servizio Centrale Operativo) della Polizia di Stato, che si occupa dei reati della violenza di genere.

E’ lei la poliziotta che dallo scorso 28 agosto ha preso (è il caso di dirlo) armi e bagagli e si è trasferita presso la Questura di Rimini lavorando giorno e notte lavorando insieme alla collega Roberta Rizzo della Squadra Mobile, per arrivare alla cattura del branco autore di una serie di stupri (e tentati) a Rimini.

Una presenza la loro che ha sicuramente aiutato le vittime una ragazza polacca ed una trans peruviana, per farle sentire al sicuro, comprese. “Questo certamente ha aiutato – ha detto oggi la Capaldo alla collega Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Serasopratutto nella volontà di collaborazione della transessuale peruviana che ci ha fornito elementi precisi e ci ha messo sulla strada giusta. Ha capito che poteva fidarsi ed ha parlato con noi senza imbarazzi. Grazie alle sue parole siamo riuscite a ricostruire ogni dettaglio. E’ stato come vedere con i suoi occhi che cosa era accaduto quella notte. ed è stato davvero impressionante.

“Mi occupo da tempo di questo tipo di reati, seguo numerose indagini su episodi di violenza – ha aggiunto la CapaldoSono rimasta impressionata dalla ferocia di questi ragazzi. Sono molto giovani, eppure hanno tirato fuori una carica d’odio enorme. Forse li ha scatenati il fatto di muoversi in branco. Quando li abbiamo interrogati si sono mostrati mansueti. E invece il racconto delle due donne, le lesioni che hanno inferto loro, dimostrano che sono riusciti a tirare fuori una forza brutale.”

“Erano accaniti in maniera bestiale, non mi era mai capitatto di vedere una cosa del genere tra estranei. Può accadere nelle violenze in famiglia, quando c’è un rancore pregresso. Così è assurdo, non dimenticherò facilmente il terrore che ho letto sul volto della ragazza polacca“.

Alla domanda finale dell’intervista, se la Polizia avesse ricevuto aiuto anche dai cittadini, la funzionaria dello SCO rivela “abbiamo ricevuto moltissimi messaggi di solidarietà da tutt’ Italia, le donne di Rimini ci hanno spronato ad andare avanti. Anche oggi (ieri n.d.r.) quando siamo arrivati in Questura, ci hanno gridato parole di incitamento. Noi stiamo lavorando – conclude  Francesca Capaldoaffinchè queste due vittime possano avere giustizia. Andiamo avanti fino a che tutti i tasselli del quadro nn andranno a posto. E posso dire che molti sono già a posto.”

La Polonia vuole l’estradizione dei quattro arrestati.  presunti autori della violenza sessuale nei confronti della  turista polacca e nell’aggressione del suo compagno (e nel corso della stessa serata, come noto, anche lo stupro di una trans di nazionalità peruviana), avvenuta sulla spiaggia di Miramare di Rimini nella notte fra il 25 e il 26 agosto. Il viceministro della giustizia polacca,  Patryk Jaki aveva già dichiarato, dopo i terribili episodi, che per i quattro si doveva applicare “la pena di morte e torture” per scoraggiare gli altri a commettere tali crimini.

Davanti al pm per i minorenni di Bologna, Silvia Marzocchi, che ha condotto l’interrogatorio la scorsa notte con gli inquirenti di Rimini, i due fratelli minorenni marocchini costituisi ai Carabinieri di Montecchio di Vallefoglia, il paese dove vivono con la famiglia, si sentivano braccati: “Abbiamo visto quelle immagini e ci siamo spaventati“. Era il fotogramma di una telecamera di sorveglianza diffuso dai media, nel quale i due ragazzi marocchini vengono ripresi di spalle. hanno cercato di minimizzare il loro ruolo: “Avevamo bevuto diverse birre, io tenevo la donna ma era lui a fare il resto”, hanno dichiarato nella sostanza.

Il congolese  Guerlin Butungu a sua volta  sostiene di non toccare le donne, è stato accusato di essere il responsabile due stupri brutali. “Era lui a comandare, organizzava i colpi, noi eravamo come i suoi cani“, l’hanno scaricato i giovanissimi complici, soprattutto il più grande dei due fratelli magrebini che l’altra sera, assistito dall’avvocato Paolo Ghiselli, è stato forse probabilmente il più loquace, negando però di avere partecipato alla violenza. Il ‘capo’ invece sarebbe andato oltre, sostenendo invece che non è mai avvenuta. Di pentimento, neanche l’ombra.

Il 17enne ha raccontato al pubblico ministero, del potere che Butungu aveva su di loro. Era il più grande e il più “esperto”, ed era quindi naturale che si fosse autoproclamato “leader” della banda. L’avevano conosciuto mesi prima, ed è facile che prima della violenta scorribanda della notte del 25 agosto abbiano messo a segno qualche colpo. Furti, ricettazioni di cellulari, tutti reati di cui i ragazzini si erano già macchiati in precedenza. Piccole cose, ma quella sera con lui hanno fatto il salto di qualità. Secondo il racconto, dopo essere arrivati a Riccione in treno, avevano trascorso gran parte della notte girando fra bar e discoteche .

Avevano bevuto birra, vodka, e fumato spinelli a volontàEro talmente strafatto che non mi rendevo nemmeno conto di quello che facevo“. Avevano vagato sul lungomare, così come usa fare in riviera romagnola, bottiglia di birra in mano e occhiate alle ragazze. Poi, quando avevano incrociato i due ragazzi polacchi, c’era stata la svolta. L’idea di rapinarli sarebbe stata sempre del congoles Butungu, ma loro non sapevano che aveva intenzione di andare oltre. “Ha dato un cazzotto al ragazzo, poi ci ha detto di tenerlo fermo mentre lui inseguiva la ragazza. Io gli ho spinto la testa nella sabbia”. A questo punto il racconto del marocchino prende una direzione diversa da quella delle vittime. Perchè, a differenza di quanto riferiscono loro, lui sostiene di non aver partecipato alla violenza, dice che a stuprare la giovane è stato solo il congolese cercando probabilmente con questa versione dei fatti di salvare il fratellino di 15 anni.

Ieri pomeriggio poche ore dopo l’arresto, il pubblico ministero di Rimini ha voluto interrogare subito Butungu. Il quale sembrerebbe abbia mantenuto la sua freddezza, negando a oltranza di essere uno stupratore. Il 20enne ha ammesso di conoscere i tre minorenni, ma ha raccontato che quella del 25 agosto scorso è stata per loro una serata come tante. Hanno bevuto e ballato, si sono divertiti, poi sono tornati a casa. Per quello che lui dice, non c’è stata nessuna violenza, lui non ha stuprato nessuno. Freddo fino alla fine. E’ stato a quel punto che il magistrato ha chiuso l’interrogatorio e ha disposto il trasferimento nel carcere dei Casetti, in isolamento. Chi finisce in carcere con quelle accuse rischia notoriamente una ‘giustizia’ immediata: quella degli altri detenuti.

Intanto la cooperativa ‘Lai-Momo’ ha licenziato il mediatore culturale che, all’indomani degli stupri di Rimini, aveva scritto su Facebook un commento nel quale sosteneva che ‘lo stupro è peggio solo all’inizio’. Il dipendente ha presentato delle giustificazioni scritte che la cooperativa ha respinto, risolvendo in via definitiva il rapporto di lavoro. La giusta “punizione” ad un commento vergognoso.

“Rimini si sveglia da un incubo durato otto giorni”. Lo scrive in una nota l’Amministrazione Comunale di Rimini che “a nome di tutta la comunità riminese, non può che esprimere un grande ringraziamento e i più sinceri complimenti alla Polizia di Rimini, alla Squadra Mobile, al questore Maurizio Improta, alla Procura e a tutti coloro che a vario titolo hanno collaborato alle indagini e alla riuscita in tempi rapidi dell’operazione“. Il sindaco di Rimini Andrea Gnassi auspica che “i colpevoli ricevano la giusta pena, che è quella massima. Non è  solo questione di integrazione, sottolinea il primo cittadino, ma di coesione sociale ed educazione“.

La Procura per i minorenni di Bologna si appresta a chiedere la custodia cautelare in carcere per i tre giovanissimi. Le udienze di convalida dei fermi emessi nei confronti dei tre sono state fissate per domani davanti al Gip del Tribunale per i minori di Bologna. Come è stato spiegato dal procuratore capo Paolo Giovagnoli ed il sostituto Stefano Celli in una conferenza stampa,  le accuse formalizzate dalla Procura di Rimini  sono per tutti i membri della banda di rapina aggravata, violenza sessuale di gruppo, lesioni aggravate. Le pene teoricamente potrebbero superare i 20 anni; il reato più grave è la rapina aggravata.

 

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