di Gaetano De Monte
E’“il salotto invisibile” (casa editrice Besa, 2014) esito di uno studio corposo che un gruppo di sociologi dell’Università del Salento, coordinati dal prof. Stefano Cristante, (sociologo anche lui e presidente del corso di laurea in scienze della comunicazione) portano avanti da diversi anni, a partire da una domanda centrale: esiste un modello tipico di potere tipico di Lecce? Esistono, cioè, dei flussi ben identificabili dalla metafora di smallville /città di provincia? “Noi pensiamo di sì”, scrivono – Valentina Cremonesini, Mariano Longo e lo stesso Cristante – nell’introduzione al testo.
Una ricerca sul potere, dunque, sul modello di quella che una coppia di sociologi statunitensi Robert e Helen Lynd – fra gli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso – condussero sulla provincia americana, su una città che battezzarono Middletown. Uno studio che è divenuto poi un classico della sociologia moderna. Tuttavia, l’equipe di smallville/Lecce non si è ancorata, nella sua ricerca, ad un’unica concezione teorica del potere. Evitando di considerarlo, infatti, ( il potere) soltanto come “insieme dei meccanismi di dominazione”. Ma gli ha affiancato, invece, un’analisi più profonda, “capace di tener insieme il discorso sugli agenti del potere ( chi ha il potere e cosa ne fa) con la rappresentazione che di esso fornisce lo studio delle percezioni sociali ( come vivono il potere un insieme di soggetti potenti, e non potenti)”.
Dalla lettura della ricerca, la cui comprensione è accessibile a tutti, nonostante l’alto profilo accademico, ciò che emerge – come ci ricordano gli autori – è una città di provincia geograficamente estrema e periferica, dalla mentalità conservatrice, che riflette alcuni tratti tipici della società meridionale; ma con alcune peculiarità che risultano interessanti per il loro valore sociologico, e non solo: Lecce città di destra, dalla pelle aristocratica, dal provincialismo tipico e speciale.
“Tipico perché ricorrono fenomenologie consuete di una marginalità geografica ( la percezione di se come luogo distante da tutto) speciale perché qui si può optare per un allontanamento volontario dai tempi della modernità imperante”. Lecce città di servizi, distante nella conformazione dalle vicine iper – industrializzate, Brindisi e Taranto, e formata in prevalenza da un ceto impiegatizio, che ne ha accresciuto la sua dimensione burocratica, nel linguaggio e nei comportamenti. Plasmandone “una mentalità tendente al giuridico” nella regolazione dei conflitti, “sia nell’accezione di spinta al rispetto delle regole, sia in quello di studio di aggiramento delle regole”.
Un luogo in cui si tende ad occultarli, i conflitti, e a risolvere le numerose problematiche – ben presenti nel tessuto cittadino – o con la rimozione, oppure affrontandole in maniera individuale. La città stessa come auto rappresentazione di “un sud insolito: civile, educato, dalle buone maniere”.Questi sono i tratti tipici della classe dirigente leccese che si ricavano dalla ricerca, ma c’è di più.
Il salotto invisibile è un’opera necessaria per comprendere la complessità delle reti sociali e di potere che avvolgono una città di provincia; in questo caso, che si nascondono dietro la facciata della città del barocco. I diversi saggi contenuti all’interno ci aiutano a decifrare i simboli di questa complessità, attraverso l’uso di un’altra metafora, quella del salotto, considerata come una tipicità. E’ all’interno di questo spazio pubblico, visibile ed invisibile, è qui, che – secondo gli autori – si gioca il modello di potere di smallville: ”non nei luoghi tradizionali della politica, tantomeno in quelli dell’economia, piuttosto in uno spazio apparentemente a disposizione di tutti, dove si esprimono opinioni, si svolgono conversazioni e si scambiano favori ottemperando rituali di socievolezza”.
E’ nei salotti, specie quelli invisibili, ad accesso limitato, che a Lecce – ipotesi che la ricerca in questione tende a provare – si prendono molte delle decisioni influenti che riguardano la collettività. Laddove questi luoghi simbolici, quasi ovunque, sono “le stanze dei bottoni”, a Lecce/ smallville sono i salotti perché, – come ci spiegano ancora i sociologi nel testo introduttivo – “al loro interno sono in funzione registri relazionali che non ne smentiscono la funzione di governo ma che ne conformano il carattere attraverso iniezioni di informalità e intimità”.
E’ nel contrasto tra la visione della città come appare al turista o al visitatore, e la percezione che ne ha chi la abita, che scorre il flusso di potere cittadino. Dalle eleganti vie del centro, fin quasi alla zona 167 – esempio tipico di urbanizzazione malata – un flusso continuo ma ordinato scorre all’interno “degli uffici comunali e degli studi dei vertici universitari, nelle sedi aziendali e confindustriali, nelle riunioni dei liberi professionisti e nell’esercizio della giustizia”.
Un potere stratificato, perfettamente inserito – nonostante la perifericità del Salento – nei flussi dell’economia globale estremamente finanziarizzata e mediatizzata. Proprio a quello che è considerato un “potere zoppo”, quello dei media locali, fa riferimento uno dei saggi più interessanti dell’opera: “Comunicare il potere. La narrazione mediatica dell’influenza” curato da Ilenia Colonna e dalla cui lettura, si comprende – come una gran parte dei giornali e delle tv locali favoriscano gli schemi di potere entro i quali la città viene governata – svolgendo, spesso, funzione da cassa di risonanza per l’élite politica, istituzionale ed economica dominante al momento. Che a loro volta, per dirla con la definizione di potere data da Hobbes quattro secoli fa, usano il complesso dei mezzi a disposizione per raggiungere qualche scopo che sembra vantaggioso. In maniera più o meno invisibile, come i flussi di potere che attraversano la provincia italiana.
Il salotto invisibile, ovvero la percezione del potere in una città di provincia
di Gaetano De Monte
E’“il salotto invisibile” (casa editrice Besa, 2014) esito di uno studio corposo che un gruppo di sociologi dell’Università del Salento, coordinati dal prof. Stefano Cristante, (sociologo anche lui e presidente del corso di laurea in scienze della comunicazione) portano avanti da diversi anni, a partire da una domanda centrale: esiste un modello tipico di potere tipico di Lecce? Esistono, cioè, dei flussi ben identificabili dalla metafora di smallville /città di provincia? “Noi pensiamo di sì”, scrivono – Valentina Cremonesini, Mariano Longo e lo stesso Cristante – nell’introduzione al testo.
Una ricerca sul potere, dunque, sul modello di quella che una coppia di sociologi statunitensi Robert e Helen Lynd – fra gli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso – condussero sulla provincia americana, su una città che battezzarono Middletown. Uno studio che è divenuto poi un classico della sociologia moderna. Tuttavia, l’equipe di smallville/Lecce non si è ancorata, nella sua ricerca, ad un’unica concezione teorica del potere. Evitando di considerarlo, infatti, ( il potere) soltanto come “insieme dei meccanismi di dominazione”. Ma gli ha affiancato, invece, un’analisi più profonda, “capace di tener insieme il discorso sugli agenti del potere ( chi ha il potere e cosa ne fa) con la rappresentazione che di esso fornisce lo studio delle percezioni sociali ( come vivono il potere un insieme di soggetti potenti, e non potenti)”.
Dalla lettura della ricerca, la cui comprensione è accessibile a tutti, nonostante l’alto profilo accademico, ciò che emerge – come ci ricordano gli autori – è una città di provincia geograficamente estrema e periferica, dalla mentalità conservatrice, che riflette alcuni tratti tipici della società meridionale; ma con alcune peculiarità che risultano interessanti per il loro valore sociologico, e non solo: Lecce città di destra, dalla pelle aristocratica, dal provincialismo tipico e speciale.
“Tipico perché ricorrono fenomenologie consuete di una marginalità geografica ( la percezione di se come luogo distante da tutto) speciale perché qui si può optare per un allontanamento volontario dai tempi della modernità imperante”. Lecce città di servizi, distante nella conformazione dalle vicine iper – industrializzate, Brindisi e Taranto, e formata in prevalenza da un ceto impiegatizio, che ne ha accresciuto la sua dimensione burocratica, nel linguaggio e nei comportamenti. Plasmandone “una mentalità tendente al giuridico” nella regolazione dei conflitti, “sia nell’accezione di spinta al rispetto delle regole, sia in quello di studio di aggiramento delle regole”.
Un luogo in cui si tende ad occultarli, i conflitti, e a risolvere le numerose problematiche – ben presenti nel tessuto cittadino – o con la rimozione, oppure affrontandole in maniera individuale. La città stessa come auto rappresentazione di “un sud insolito: civile, educato, dalle buone maniere”.Questi sono i tratti tipici della classe dirigente leccese che si ricavano dalla ricerca, ma c’è di più.
Il salotto invisibile è un’opera necessaria per comprendere la complessità delle reti sociali e di potere che avvolgono una città di provincia; in questo caso, che si nascondono dietro la facciata della città del barocco. I diversi saggi contenuti all’interno ci aiutano a decifrare i simboli di questa complessità, attraverso l’uso di un’altra metafora, quella del salotto, considerata come una tipicità. E’ all’interno di questo spazio pubblico, visibile ed invisibile, è qui, che – secondo gli autori – si gioca il modello di potere di smallville: ”non nei luoghi tradizionali della politica, tantomeno in quelli dell’economia, piuttosto in uno spazio apparentemente a disposizione di tutti, dove si esprimono opinioni, si svolgono conversazioni e si scambiano favori ottemperando rituali di socievolezza”.
E’ nei salotti, specie quelli invisibili, ad accesso limitato, che a Lecce – ipotesi che la ricerca in questione tende a provare – si prendono molte delle decisioni influenti che riguardano la collettività. Laddove questi luoghi simbolici, quasi ovunque, sono “le stanze dei bottoni”, a Lecce/ smallville sono i salotti perché, – come ci spiegano ancora i sociologi nel testo introduttivo – “al loro interno sono in funzione registri relazionali che non ne smentiscono la funzione di governo ma che ne conformano il carattere attraverso iniezioni di informalità e intimità”.
E’ nel contrasto tra la visione della città come appare al turista o al visitatore, e la percezione che ne ha chi la abita, che scorre il flusso di potere cittadino. Dalle eleganti vie del centro, fin quasi alla zona 167 – esempio tipico di urbanizzazione malata – un flusso continuo ma ordinato scorre all’interno “degli uffici comunali e degli studi dei vertici universitari, nelle sedi aziendali e confindustriali, nelle riunioni dei liberi professionisti e nell’esercizio della giustizia”.
Un potere stratificato, perfettamente inserito – nonostante la perifericità del Salento – nei flussi dell’economia globale estremamente finanziarizzata e mediatizzata. Proprio a quello che è considerato un “potere zoppo”, quello dei media locali, fa riferimento uno dei saggi più interessanti dell’opera: “Comunicare il potere. La narrazione mediatica dell’influenza” curato da Ilenia Colonna e dalla cui lettura, si comprende – come una gran parte dei giornali e delle tv locali favoriscano gli schemi di potere entro i quali la città viene governata – svolgendo, spesso, funzione da cassa di risonanza per l’élite politica, istituzionale ed economica dominante al momento. Che a loro volta, per dirla con la definizione di potere data da Hobbes quattro secoli fa, usano il complesso dei mezzi a disposizione per raggiungere qualche scopo che sembra vantaggioso. In maniera più o meno invisibile, come i flussi di potere che attraversano la provincia italiana.
Redazione CdG 1947
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