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5 Novembre 2024 01:20

Il teatro dell’ assurdo

Il capo del governo ed il governo, cui quel ministro apparteneva, nonché la parte politica che lo sosteneva, hanno dapprima approvato, per tacito comportamento concludente, quell’azione, mentre poi l’hanno clamorosamente rinnegata, quando si è trattato di decidere sull’autorizzazione procedere. Se nemmeno i senatori ne hanno discusso, di quale autorizzazione a procedere stiamo parlando?

di MASSIMO BRANDIMARTE*

Per legge, i ministri, per i reati commessi nell’ esercizio delle loro funzioni, sono processati dinanzi al tribunale dei ministri, che, però, deve ottenere l’autorizzazione a procedere da parte di un ramo del Parlamento, il quale deve valutare se il ministro abbia agito, in sintesi, per la tutela di un interesse pubblico.

Sappiamo come è andata a finire nell’ultimo dibattito svoltosi in Senato. Tuttavia, non possiamo fare a meno di sottolineare quattro storture.

La prima

 La maggioranza ha votato a favore dell’autorizzazione. L’opposizione contro. Domanda. Possibile che su una questione così tecnica, di diritto costituzionale e penale, non si sia deciso ciascuno con la propria testa, ma per gruppi politici? Per caso, anche le tesi giuridiche sono politiche? Conclusione: i senatori non hanno votato secondo il proprio libero convincimento, ma per partito…preso!

La seconda.

Il governo nazionale è retto da un capo, che sceglie i propri ministri, per cui l’azione di ogni ministro deve intendersi sempre riferita al suo capo. Se così non fosse, se cioè ci fosse disarmonia o contrasto di vedute, esplicite o implicite, delle due l’una: o se va il capo del governo o viene licenziato il ministro. Naturalmente, viene, anzi dovrebbe essere licenziato il ministro. Altrimenti, l’azione di costui deve intendersi fatta propria dal capo del governo. Anche se un capo di governo si vergognasse di ammetterlo. Semplice no?

Conclusione: il capo del governo ed il governo, cui quel ministro apparteneva, nonché la parte politica che lo sosteneva, hanno dapprima approvato, per tacito comportamento concludente, quell’azione, mentre poi l’hanno clamorosamente rinnegata, quando si è trattato di decidere sull’autorizzazione procedere. Giudesco, vero?

La terza.

Nel decidere se il ministro abbia agito nell’interesse pubblico, la Camera, in pratica, deve valutare se un reato, già sicuramente commesso, è giustificato da un interesse pubblico. Ora, il problema è esattamente questo: siamo sicuri che un reato sia stato commesso? E quale? Nessuno dei senatori che hanno votato per la concessione dell’autorizzazione a procedere si è soffermato, durante il dibattito, sulla ricorrenza, in termini tecnici, degli estremi dell’assai improbabile reato di sequestro di persona, escluso in passato dalla stessa procura della Repubblica, che aveva chiesto l’archiviazione.

Conclusione: se quel reato è sostanzialmente insostenibile, secondo la logica non solo dei tecnici, ma persino dell’uomo comune della strada, tant’è che nemmeno i senatori ne hanno discusso, di quale autorizzazione a procedere stiamo parlando? 

La quarta.

Secondo alcuni giuristi, è prevedibile che l’imputazione verrà estesa ad altri soggetti istituzionali, che all’epoca dei fatti facevano parte della compagine ministeriale e che, alla fine, tutti verranno prosciolti o assolti, per insussistenza del reato, o, quanto meno, per avere agito nell’esercizio di un diritto reale o putativo che sia.

Conclusione: a cosa è servito questo teatro dell’assurdo?

L’ipocrisia non è mai stata un buon partito!

*ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Taranto

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