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27 Novembre 2024 22:59

Il Tribunale di Roma rigetta il patteggiamento del gruppo Gedi (Elkann-Agnelli) con la Procura.

Le pene proposte sono state considerate manifestamente sproporzionate per difetto. Ma anche la considerazione del danno come particolarmente tenue è stata ritenuta incongrua e non accoglibile. I festeggiamenti di Gedi e dei loro legali, ma anche dei giornalisti, sono rimandati a tempi migliori.
di Giacomo Amadori ed Antonello de Gennaro

Non ci era mai capitato di assistere a una simile congiura del silenzio. E qualche anno di esperienza alle spalle lo abbiamo. Ieri non ha meritato, sino dopo le 21, neppure un lancio di agenzia la notizia che il gip Andrea Fanelli del Tribunale di Roma (e non di Isernia) aveva rigettato l’istanza di patteggiamento di alcuni imputati eccellenti e che era stata approvata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo (presente personalmente in udienza) e dalla pm Claudia Terracina. L’inchiesta era quella sui prepensionamenti farlocchi del gruppo Gedi, ossia della casa editrice della famiglia Agnelli-Elkann. E non è che l’udienza in Camera di consiglio per valutare la richiesta di applicazione delle pene fosse segreta.

La avevamo anticipata nei giorni scori e ieri, davanti alla stanza del giudice, c’era un capannello di cronisti che non ha scritto un rigo. Forse si aspettavano l’accoglimento dell’istanza. Tutto doveva concludersi nel più assoluto riserbo, senza alcun clamore sui giornali, né quelli di destra, né quelli di sinistra. E qui sta la clamorosa novità. Infatti le notizie in Italia, solitamente escono tutte: quelle che i media progressisti nascondono vengono diffuse da quelli conservatori e viceversa. Ma in questo caso vanno tutti d’amore e d’accordo, forse perché la questione dei prepensionamenti ottenuti con fondi statali e accollati all’Inps sono una pratica diffusa. E così sulla clamorosa inchiesta è caduto il silenzio, nonostante gli oltre cento indagati, l’importanza del gruppo coinvolto e l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’Inps. Ovvero di tutti noi.

Ma il tentativo di chiudere l’imbarazzante procedimento a tarallucci e vino è fallito miseramente. Il giudice Fanelli, considerato da tutti un magistrato perbene, oltre che una toga preparata ed esterno al sistema delle correnti (quando è entrato nel consiglio giudiziario come indipendente nelle liste dei conservatori di Mi non ha fatto sconti a nessun collega), ha ritenuto che la proposta dei due indagati (Monica Mondardini, ex amministratore delegato di Gedi, oggi alla guida della Cir di Carlo De Benedetti, e Maurizio Moro, ex capo del personale) e delle cinque società (Gedi Gruppo editoriale Spa, Gedi news network Spa, Gedi printing Spa, A. Manzoni & C. Spa ed Elemedia Spa) che si sono offerte di patteggiare fossero davvero troppo morbide.

La pena concordata con la pm Terracina dalla Mondardini (difesa dall’ex Guardasigilli Paola Severino e da Maurizio Bellicasa) e da Moro (assisitito da Francesco Dottore), era di 5 anni e 10 giorni di reclusione con pena sospesa. Gli accordi con le società (difese da Eloisa Scaroina) per la responsabilità amministrativa prevista dall’articolo 24 del decreto legislativo 231 del 2001 (indebita percezione di erogazioni pubblica e truffa a un ente pubblico) prevedevano il pagamento di 44 quote del valore di 22.000 euro per ciascuna azienda per un totale di 110.000 euro; il risarcimento del danno in favore dell’Inps per un totale di circa 16 milioni, operato mediante dissequestro parziale (già disposto dalla Procura) di parte delle somme già congelate due anni fa; messa a disposizione da parte della società di ulteriori 1,8 milioni, quale somma determinata come profitto connesso ai reati contestati.

Peccato che all’inizio dell’inchiesta la Guardia di Finanza aveva valutato che il danno per l’Inps fosse di circa 22 milioni per le pensioni erogate sulla base di documentazione fasulla a un’ottantina di dirigenti e impiegati che avevano usufruito dello scivolo quando erano poco più che cinquantenni. All’epoca l’ingiusto profitto ottenuto da Gedi, gruppo che aveva evitato di pagare contributi previdenziali e stipendi, era stato valutato in circa 38,9 milioni e non 1,8. Per questo nel dicembre del 2021, dopo tre anni di indagini, era stato deciso un sequestro preventivo di pari importo. Anche allora i giornalisti preferivano ignorare la notizia, per occuparsi magari, con entusiasmo, di reati bagatellari.

Come detto, davanti al gip Fanelli si è presentato Ielo in persona, mentre l’Inps era rappresentata dagli avvocati Edoardo Urso e Aldo Tagliente. Il giudice ha ritenuto irricevibili le richieste perché l’istanza di patteggiamento concordata è stata considerata troppo mite per i due manager rispetto alla gravità dei fatti contestati, mentre per le società non ricorrerebbero i presupposti per riconoscere la richiesta di attenuante per danno patrimoniale tenue. Avete letto bene: per la Procura di Roma sottrarre 16 milioni all’Inps sarebbe un danno patrimoniale tenue, quando magari un ladro finisce in galera per avere rubato una mela.

Però, nella motivazione del rigetto del patteggiamento, il Gip non è entrato in considerazioni che riguardavano la correttezza o meno dei calcoli dell’illecito profitto o del risarcimento del danno. Non è servito. Le pene proposte sono state considerate manifestamente sproporzionate per difetto. Ma anche la considerazione del danno come particolarmente tenue è stata ritenuta incongrua e non accoglibile. Alla fine Fanelli ha disposto la restituzione degli atti al pm. Adesso l’istanza di patteggiamento potrà essere riproposta a condizioni diverse. I festeggiamenti di Gedi e dei loro legali, ma anche dei giornalisti, sono rimandati a tempi migliori.

*articolo pubblicato dal quotidiano La Verità

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Grazie, Antonello de Gennaro

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