ROMA – Abbiamo più volte parlato nei nostri articoli, inchieste sulla città di Taranto e la Regione Puglia, del voto di scambio, fenomeno molto diffuso, e che è emerso anche dai servizi sull’assessore regionale Michele Mazzarano ( e non solo..!) del noto programma Striscia la Notizia e del nostro giornale. Il problema del voto di scambio era stato affrontato dall’ ultima riforma dell’articolo 416 ter, l’articolo del codice penale che delineava il reato di voto di scambio politico mafioso, avvenuta nel settembre 2017: il via libera ebbe l’ approvazione ed il consenso quasi totale del Parlamento, ad eccezione del voto contrario espresso soltanto dal Movimento Cinquestelle.
Si trattava di modifiche importanti: da un lato sono state alzate le pene per chi commette il reato (portate da un minimo di sei a un massimo di 12 anni); dall’altro, soprattutto, è stato introdotto un principio che potrebbe estenderne l’applicazione: perché si consumi il voto di scambio politico mafioso, basta l’accordo delle parti o, come aveva spiegato il relatore del provvedimento Davide Mattiello (Pd), “nel momento in cui politico e mafioso si accordano ed è l’accordo e soltanto l’accordo che va dimostrato, non rilevando quanto capiti successivamente“. In pratica, indipendentemente se il patto criminale sia stato messo in pratica o meno.
La riforma solo dopo la strage di Capaci . Alla presentazione dell’ultima relazione finale della Commissione Antimafia, Marco Minniti, all’epoca dei fatti ministro degli Interni, aveva ammesso e ricordato: “Siamo nel pieno della competizione elettorale, dire questo non appaia irrituale: è cogente. Su questi temi non ci può essere silenzio durante la campagna elettorale. Lo dico da ministro dell’Interno, su questo vedo troppo silenzio, lo dico da ministro dell’Interno“. Serve uno sforzo in più, perché – aggiunse Minniti – “c’è il rischio che le mafie possano condizionare il voto libero degli italiani. Se vogliamo affrontare il nodo delle mafie dobbiamo sapere che le mafie sono differenti dalle altre organizzazioni criminali, perché sono in grado di condizionare le istituzione e la politica. Rompere i legami è un aspetto cruciale”.
La questione, per usare il termine usato dal titolare del Viminale, era ed è rimasta “cogente”. Eppure il legislatore italiano aveva affrontato il problema del voto di scambio politico mafioso soltanto nel 1992, con il decreto-legge 306, e la successiva legge di conversione 365/92, dopo la strage di Capaci e la morte di Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la loro scorta. Poco prima c’era stato l’omicidio di Salvo Lima considerato il “riferimento” di Giulio Andreotti a Palermo. Cosa nostra, come racconteranno in seguito i pentiti, spostò pacchetti di voti verso il Psi per punire la Dc, che non aveva fermato il maxiprocesso di Palermo.
Vito Ciancimino venne arrestato nel 1984 per associazione mafiosa dopo che il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta aveva rivelato allo stesso giudice Falcone che l’ex sindaco Dc era “nelle mani dei Corleonesi“. Senza contare che di lui già parlava la Relazione Antimafia del 1976, firmata da Pio La Torre e Cesare Terranova. Quindi già ancor prima della fatidica tragica data del 1992, volendo ci sarebbe stata tempo e materia per intervenire, però si è preferito accontentarsi di difendersi da possibili malefatte con gli articoli 86 e 87 della legge 579/1960 sul voto di scambio.
Nessun riferimento al metodo “mafioso”. Il primo prevede che “chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità a uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, anche quando l’utilità promessa sia stata dissimulata sotto il titolo di indennità pecuniaria data all’elettore per spese di viaggio o di soggiorno o di pagamento di cibi e bevande o rimunerazione sotto pretesto di spese o servizi elettorali”.
Idem avviene se è “l’elettore, che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità“. L’altro, l’articolo 87, recita che “chiunque usa violenza o minaccia ad un elettore, od alla sua famiglia, per costringerlo a firmare una dichiarazione di presentazione di candidatura o a votare in favore di determinate candidature, o ad astenersi dalla firma o dal voto, o con notizie da lui riconosciute false, o con raggiri o artifizi, ovvero con qualunque mezzo illecito, atto a diminuire la libertà degli elettori, esercita pressioni per costringerli a firmare una dichiarazione di presentazione di candidatura o a votare in favore di determinate candidature, o ad astenersi dalla firma o dal voto è punito con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni”.
CHI È RIPARTE IL FUTURO
Riparte il futuro è un’organizzazione indipendente e apartitica che lotta contro la corruzione promuovendo la trasparenza e la certezza del diritto. In occasione delle elezioni politiche 2018, Riparte il futuro aveva lanciato una petizione chiedendo ai politici di tutte le forze politiche di rendersi trasparenti sul proprio portale fornendo cv, status giudiziario, conflitti di interessi, reddito e patrimonio dei candidati, e di rendere la trasparenza un obbligo di legge.La trasparenza è fondamentale per poter consolidare il patto di fiducia con gli elettori.
Ma come scoprì il CORRIERE DEL GIORNO, durante la campagna elettorale delle Amministrative del 2017 un candidato a sindaco di Taranto, tale Luigi Romandini, dichiarò il falso inserendo sul portale. delle informazioni false. E nessuno se ne accorse…