ROMA – La vicenda sul sequestro dei fondi ai fratelli Emilio (deceduto nel 2014) e Adriano Riva risale al 2013. Nell’ambito delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Milano su alcuni trasferimenti all’estero di fondi che per gli inquirenti erano frutto di operazioni “fiscali” fatte ai danni di societa’ del gruppo Riva, al fine di evadere delle tasse da pagare in Italia, furono rintracciati sequestrati depositi per 1,173 miliardi di euro riconducibili ai due fratelli.
I fondi depositati in Svizzera risultarono controllati da alcuni trustee domiciliati nell’isola di Jersey. La giustizia italiana con il sequestro puntava al rientro in Italia di quei soldi con il deposito presso il Fondo unico della giustizia. Il passaggio autorizzato dalla Procura svizzera, venne bloccato dal Tribunale di Bellinzona (Svizzera) che accolse l’opposizione delle figlie di Emilio Riva, nel frattempo deceduto. Da quel momento iniziarono delle trattative per il ritorno definitivo dei capitali in Italia, sfociate poi nell’accordo annunciato nei mesi scorsi dai commissari dell’ILVA di Taranto.
La disponibilita’ manifestata dalla famiglia Riva a far rientrare in Italia e a destinare all’Ilva 1,3 miliardi di euro rientra anche nella strategia processuale adottata da alcuni membri della stessa famiglia, indagati dalla procura di Milano. In particolare, Adriano Riva, indagato per bancarotta, truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di valori, e i nipoti Fabio e Nicola (figli dello scomparso Emilio Riva, fratello di Adriano), indagati per bancarotta nell’ambito dell’inchiesta sul dissesto finanziario dell’ ILVA di Taranto, che avevano gia’ tentato una volta la strada del patteggiamento sulla base di un accordo raggiunto con la Procura di Milano, che venne però respinto il 14 febbraio scorso dal Gip di Milano Maria Vicidomini, secondo il quale’ le pene proposte sono state considerate “incongrue”. Ma adesso a seguito dell’intervenuta chiusura delle indagini disposta dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici della Procura milanese, i legali dei Riva ci riproveranno il 17 maggio prossimo riformulando una nuova proposta di patteggiamento che sarà sicuramente superiore, e questa volta troveranno un altro gup, la dr.ssa Chiara Valori chiamata a decidere.
Una volta rientrati i capitali in Italia, i tre commissari dell’ ILVA potranno dare il via al la realizzazione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) nello stabilimento siderurgico di Taranto, mediante l’emissione e collocamento di obbligazioni di pari importo.
Alla luce dalla circostanza che i fondi formalmente risultano nella disponibilita’ di Ubs Trustee a Saint Helier, capitale dell’isola di Jersey, che amministra i quattro trust proprietari dei beni, per il via libera definitivo al rientro serviva la pronuncia della Royal Court del Jersey , decisione più volte rinviata e che è finalmente arrivata oggi. A questo punto il Tribunale di Losanna (Svizzera), che si riunira’ il 31 maggio prossimo per discutere della vicenda, non dovrebbe fare altro che prendere atto dell’esito in favore dello sblocco dei soldi da parte della Corte dell’isola del Canale ed a seguito dell’ accordo raggiunto fra i Riva e lo Stato italiano, autorizzare quindi il definitivo passaggio all’ ILVA in amministrazione straordinaria dei soldi detenuti in Svizzera, sia quelli messi sotto sequestro nel 2013, che della somma aggiuntiva di oltre 200 milioni messa a disposizione da Adriano Riva.
A questo punto, come ha chiarito un comunicato stampa ufficiale emesso nel pomeriggio di oggi dei commissari dell’ ILVA, “In relazione alle infondate notizie diffuse oggi da alcuni organi di informazione i Commissari Straordinari della procedura di amministrazione straordinaria di Ilva S.p.A. confermano che i tempi e le modalità attualmente fissati per l’espletamento della procedura per il trasferimento dei complessi aziendali non sono stati modificati” e quindi resta la validità delle offerte presentate, in scadenza il 30 giugno 2017, questa che consente il processo di decisione tra le due proposte in campo – cioè quelle di Am Investco Italy (Arcelor Mittal, gruppo Marcegaglia ed in caso di vittoria, Banco Intesa Spa) e quella di AcciaItalia (Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Delfin) . In sostanza, non vi è alcun problema ostativo o rinvio che possa incidere sulla decisione finale ormai attesa fra qualche settimana.
Secondo quanto finora emerso, l’offerta più alta in termini economici sarebbe quella di Am Investco Italy, ma quella di AcciaItalia prevederebbe un investimento successivo maggiore. Mittal deve rispondere ai rilievi dell’Antitrust europea conseguente alla presunta posizione dominante nel mercato dell’acciaio e quindi un eventuale slittamento della decisione finale potrebbe favorire la cordata guidata dal magnate indiano, che avrebbe più tempo per regolarizzare la sua posizione.
Arcelor Mittal non si dice preoccupata. “Come più volte ribadito nel passato, siamo convinti che non vi sarà alcuna problematica relativa all’Antitrust Europeo qualora dovessimo acquistare il controllo di Ilva“, ha spiegato. “Come da dati Eurofer, la quota di mercato di ArcelorMittal nei laminati a caldo è del 25% e di Ilva del 3%. Mentre quella relativa ai laminati a freddo è per ArcelorMittal del 25% e per Ilva del 6%. Come è evidente ambedue le quote sono ben lontane dal 40%“.