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29 Novembre 2024 21:54

ILVA. Dietro le quinte del ricatto di Arcelor Mittgal allo Stato Italiano

Resta da chiedersi a questo punto come possa uno Stato, un Governo serio con un premier del livello di Mario Draghi e con un ministro autorevole e competente come Giancarlo Giorgetti, farsi piegare da certi ricatti da un'azienda indiana che vuole fare business con i soldi degli italiani, invece che con i propri.
di Antonello de Gennaro

Per poter capire meglio il braccio di ferro-ricatto fra Arcelor Mittal e lo Stato italiano bisogna ricostruire bene la vicenda, che più di qualche giornale e giornalista smemorati fanno fatica a ricordare. L’ILVA di Taranto è l’acciaieria più grande d’Europa ed Il suo stabilimento principale, cioè quello di Taranto, è stato inaugurato nel 1961, la cui storia ed i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

l’ex ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda (Governo gentiloni)

Sotto la guida del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda venne indetta cinque anni fa, cioè nel gennaio 2016, una gara europea voluta dal MISE per cedere lo stabilimento siderurgico di Taranto dell’ ILVA in amministrazione straordinaria. Gara al cui termine parteciparono due “cordate” guidate da due società indiane: da un fronte AMCO INVEST ITALY guidata dal gruppo franco-indiano Arcelor Mittal insieme al Gruppo Marcegaglia, dall’ altro la cordata Acciaitalia guidata da Lucia Morselli che aveva come capofila JINDAL insieme ad Arvedi, Cassa Depositi e Prestiti, la Dolfin Holding di Leonardo Del Vecchio. Da non dimenticare che durante la gara gli indiani della JINDAL avvalendosi di una giornalista tarantina, tale Monica Caradonna (che secondo fonti autorevoli sarebbe aderente alla Massoneria) organizzarono un bel viaggio-vacanza in India per far vedere ai giornalisti tarantini quanto fossero bravi e ligi al dovere…e viaggiarono tutti gratis, felici e contenti, pubblicando tanti articoli pro-Jindal.

La gara però venne vinta ai primi del 2017 dalla cordata ARCELOR MITTAL attraverso la neo costituita Amco Invest Italy offrendo 1miliardo e 800milioni di euro, contro 1miliardo e 200milioni di euro offerti dai rivali della cordata contrapposta guidata da JINDAL , i quali provarono ad ipotizzare un rilancio che però non era prevista nella gara internazionale indetta dal MISE, e dopo aver passato il vaglio del Ministero dell’ Ambiente e dell’ Antitrust italiana, si attese il parere dell’ Autorità Antitrust europea, che mise qualche paletto, costringendo di fatto il Gruppo Marcegaglia (sostituito da Banca Intesa) a cedere le proprie esigue quote di Amco Invest Italy ed uscire dalla partita, ed Arcelor Mittal Europe a cedere tre impianti di proprietà in Europa per evitare una posizione dominante nell’ acciaio in Europa. Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio a loro volta si ritirarono dalla battaglia e ciascuno tornò a pensare ai propri interessi principali.

E’ bene ricordare che fu proprio il nostro giornale a rendere noto il contratto sottoscritto fra lo Stato italiano ed Arcelor Mittal, che nessuno voleva far leggere, nonostante le infruttifere istanze di accesso agli atti amministratitivi e gli inutili e costosi ricorsi al Tar Lazio presentati dalla Regione Puglia e del Comune di Taranto.

Le strane “manovre” di Di Maio al Mise

Qualche tempo dopo con l’arrivo del Governo Conte (nella sua prima versione “gialloverde” cioè M5S e Lega) arrivò al MISE il neo ministro Luigi Di Majo, un “ragazzotto” grillino della provincia di Napoli che in vita sua aveva fatto soltanto il venditore di bibite allo Stadio San Paolo (ora Maradona) di Napoli ed il webmaster e cameriere in una pizzeria alle porte di Napoli, sul quale il noto programma televisivo di inchiesta e denuncia “LE IENE” ( Italia Uno) svelarono una triste vicenda di lavoratori in nero alle dipendenze di una piccola società di lavori edili guidata dal padre di Di Maio, di proprietà del figlio e della sorella.

Guarda caso secondo quanto diffuso da un tweet del sindacalista Marco Bentivogli, all’epoca dei fatti segretario generale della FIM-CISL, da noi ripreso e pubblicato e mai smentito dai diretti interessati (Di Maio e Morselli n.d.a.) al Ministero dello Sviluppo Economico sarebbe stata ingaggiata come consulente sul “Dossier ILVA” proprio Lucia Morselli, cioè colei che guidava e rappresentava in Italia la cordata JINDAL e successivamente è diventata amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia !

Il 24 luglio 2018 la multinazionale Arcelor Mittal rese noto di voler accettare tutte le richieste fatte dai commissari straordinari dell’Ilva per dare il via libera all’acquisizione dell’acciaieria. I nodi principali riguardavano ovviamente la tenuta occupazionale e l’impatto ambientale dello stabilimento di Taranto.

Il 23 agosto 2018 il Ministro dello Sviluppo Economico del Lavoro Luigi Di Maio tenne una conferenza stampa per commentare il parere (il secondo !) dell’ Avvocatura Generale dello Stato sulla gara che ha assegnato il Gruppo ILVA alla cordata AmCo Invest Italy, guidata dal principale azionista  Arcelor Mittal.  Un parere positivo che era stato anticipato proprio da questo giornale. E chi vi scrive ricevette all’epoca dei fatti una telefonata quasi notturna da Di Maio che voleva conoscere le nostre fonti, venendo gentilmente rimbalzato e rimandato al suo posto. Il ministro Di Maio dall’alto della sua nota incompetenza ed arroganza “grillina” dichiarò: “Sulla gara per la cessione dell’ Ilva è stato commesso il delitto perfetto. La gara è illegittima, ma non si può annullare. Per questo è un delitto perfetto” precisando che “Mittal è sempre stata in buona fede. Il delitto perfetto lo ha fatto lo Stato creando una procedura piena di vizi e illegittimità”.

“Abbiamo chiesto se è stato giusto non concedere i rilanci – disse Di Maio –  La gara si poteva fare in due round, ci poteva essere la possibilità di rilanciare. Questo non è stato concesso, nonostante il concorrente lo avesse chiesto, disse il ministro che aggiuse “Secondo noi c’è stato un eccesso di potere. I rilanci non sono solo una cosa tecnica, significa avere una migliore offerta, non si è fatto l’interesse dello stato e dei cittadini. I cittadini sono stati penalizzati da un eccesso di potere“.

L’immunità penale

L’immunità penale concessa a Ilva in amministrazione straordinaria e successivamente ad ArcelorMittal, traeva origine dal Decreto Legge n. 1 del 2015. Con questa norma il Governo guidato da Matteo Renzi (all’epoca dei sfatti segretario nazionale del PD) era voluto di fatto assicurare una protezione legale sia ai gestori dell’azienda (i commissari), che ai futuri acquirenti (l’offerta di gara di Arcelor Mittal doveva ancora arrivare), relativamente all’attuazione del piano ambientale della fabbrica. Evitare, cioè, che attuando il piano ambientale, normato da un Dpcm di settembre 2017, i commissari o i futuri acquirenti del siderurgico restassero coinvolti in vicissitudini giudiziarie derivanti dal passato essendo l’inquinamento Ilva un problema di lunga data.

In realtà il delitto perfetto (premeditato ?) lo ha commesso proprio Di Maio quando all’improvviso con una decisione autonoma revocò lo scudo penale concesso dai precedenti governi Renzi e Gentiloni ai managers ed amministratori dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria, ereditata per contratto dai subentranti gestori di Arcelor Mittal.

Una revoca dello scudo penale più che “sospetta” quella decisa in totale autonomia da Di Maio, sostenuto dai “talebani” del M5S, che conquistò quella pletora di pseudo-ambientalisti tarantini, che sognavano la chiusura dello stabilimento siderurgico dell’ ILVA, e magari l’apertura di un grande parco giochi come aveva ipotizzato in una delle sue tante farneticazioni il comico-omicida Beppe Grillo. Ma perchè “sospetta” ? Semplice ! Perchè è stato proprio grazie a quella revoca che Arcelor Mittal ha iniziato il suo “braccio di ferro-ricatto” con lo Stato italiano, sottraendosi ai suoi impegni contrattuali, chiedendo al Tribunale di Milano lo scioglimento del contratto stipulato da AMCO INVEST ITALIA (cioè Arcelor Mittal) e l’ ILVA in Amministrazione Straordinaria. Salvo poi raggiungere un accordo successivo .

Nella primavera del 2019 i Cinque Stelle avevano dichiarato che l’immunità era illegittima e che andava abrogata perchè era di fatto un privilegio concesso ad ArcelorMittal. Per il gip di Taranto, Benedetto Ruberto, quella norma del 2015 era anticostituzionale, approdando ad ottobre 2019 con l’impugnazione di costituzionalità dinnanzi alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta esaminando il caso, gli rinviarono indietro gli atti chiedendogli di rivalutare, alla luce del modificato quadro legislativo, dl Crescita e dl Imprese, se il nodo di incostituzionalità sussisteva ancora, in quanto il gip Ruberto si era appellato alla Consulta nel febbraio 2019, prima cioè dei due decreti Legge.

Ma seguiamo le date per non perderci in questa “telenovela” giocata sulle spalle dei lavoratori e dell’economia pugliese.  Il 7 agosto 2019 il consiglio dei Ministri del governo “gialloverde” Conte con un proprio decreto reintrodusse l’immunità penale (che identificava particolari situazioni in cui si rende lecito un fatto che sarebbe reato). Qualche mese prima, come dicevamo, il cosiddetto “scudo penale” era stato abrogato dallo stesso governo, che aveva rinviato la conclusione dell’esimente penale nuovamente al 2023 seppur con novità rispetto alla legge da poco abrogata. Ma questo decreto non venne convertito dal Parlamento e così viene in maniera definitiva annullato l’esimente penale che dal 3 novembre 2019 non esiste più.  Un esimente penale successivamente concessa ai “superconsulenti” di Conte (governo “giallorosso, cioè M5S, PD, LeU) durante la prima fase della pandemia causata dal Covid-19, che venne preteso anche dalle banche per erogare prestiti alle imprese italiane garantiti dallo Stato !

Il 4 novembre 2019, Arcelor Mittal ha notificato ai commissari straordinari dell’azienda la volontà di rescindere, proprio per la mancanza di uno scudo penale, l’accordo per l’affitto con acquisizione delle attività di Ilva S.p.a.. Secondo i contenuti dell’accordo, Arcelor Mittal ha chiesto ai Commissari straordinari di assumersi la responsabilità delle attività di Ilva e dei dipendenti entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.

La questione ambientale

Nel 2010, secondo le perizie disposte dal Tribunale di Taranto e le stesse dichiarazioni dell’ILVA, erano state immesse nell’ambiente circostante 4.159 tonnellate di polveri, 11 mila di diossido d’azoto e anidride solforosa. Secondo i dati del registro Ines, nella città di Taranto, negli ultimi anni, sarebbe stata immessa in atmosfera il 93% di tutta la diossina prodotta in Italia insieme al 67 per cento del piombo. Ma dimenticando di suddividere le emissioni con quelle dello stabilimento di raffinazione dell’ ENI e quelle delle due discariche ( ITALCAVE a Statte e CISA a Massafra) presenti nelle zone confinanti con lo stabilimento siderurgico di Taranto .

I dipendenti diretti dell’Ilva sono circa 14mila più circa 6mila delle ditte in appalto che sono centinaia. Che perderebbero il lavoro se l’azienda venisse chiusa. La necessità che l’azienda rimanga aperta è di fatto fondamentale anche per le altre aziende italiane, poiché l’acciaio prodotto a Taranto nello stabilimento ILVA evita di doversi rivolgere alle acciaierie straniere, che vengono acciaio a prezzi molto più elevati.

Le “capriole” di Emiliano e Melucci

Per ricostruire le vicende sull’ ILVA non si possono dimenticare le gesta e dichiarazioni dei due “masanielli” della politica pugliese: il governatore Michele Emiliano ed il sindaco di Taranto (eletto a suo tempo per appena circa 900 voti !) Rinaldo Melucci, uniti nell’utilizzare lo strumento dei ricorsi al TAR sin dai tempi del Governo Gentiloni (ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda) come una clava sul destino dello stabilimento siderurgico.

Era il 29 dicembre 2017 quando Emiliano annunciavaAnche la Regione Puglia dopo il Comune di Taranto ha depositato la rinuncia alla richiesta di sospensiva al TAR sul decreto del presidente del Consiglio dei Ministri che contiene il Piano Ambientale per Ilva“. La rinuncia del ricorso al TAR presentato a suo tempo dal Comune di Taranto avvenne guarda caso dopo la visita inaspettata ed improvvisa del ministro Calenda al sindaco Melucci a Palazzo di Città a Taranto avvenuta il 5 dicembre 2017 . Il Sindaco Melucci non ha mai rivelato i termini dell’incontro con Calenda e tantomeno spiegato in consiglio comunale la sua decisione improvvisa di ritirare il ricorso.

Michele Emiliano, Carlo Calenda e Rinaldo Melucci

Vi è però una coincidenza, un retroscena. Come per incanto, dopo quella visita, la Melucci Shipping società controllata dalla famiglia del sindaco Melucci , che ha sempre svolto unicamente attività di agenzia di servizi marittimi, all’improvviso inizia a lavorare in subappalto per la Cimolai di Pordenone (la società che ha realizzato l’imponente opera di copertura dei parchi minerari) effettuando servizi di trasposto su gomma, cioè via terra, pur essendo sprovvista delle necessarie autorizzazioni previste dal ministero dei Trasporti. Circostanza questa che ci venne confermata da un dirigente della società friulana, addetto ai rapporti con la stampa. E CHE NESSUNO HA SINORA MAI SMENTITO !

Successivamente alla vigilia di un’incontro convocato il 29 luglio 2018 da Luigi Di Maio al Ministero dello Sviluppo Economico, Il sindaco di Taranto Melucci, rese noto di non volervi partecipare definendodilettantismo spaccone quello che il Ministro Di Maio ci spaccerà  per trasparenza e democrazia, ma è solo una sceneggiatura ben congegnata per coprire il vuoto di proposte e di coraggio“. Immediata arrivò la replica del ministro Di Maio  il quale spiegò che quel  tavolo sull’ILVA “è stato convocato perché ArcelorMittal ha chiesto di poter illustrare a tutti gli stakeholder le proprie proposte. Per me hanno diritto a partecipare tutte le rappresentanze dei cittadini coinvolti, incluse le associazioni e i comitati che in questi anni hanno svolto un ruolo essenziale. Ed è per questo che li ho invitati”, aggiungendo che il tavolo non è stato convocato per trasformarsi in un club privato dove si discute nell’oscurità”. e quindi “chi preferisce può liberamente scegliere di non partecipare. Da ministro lo accetto, ma ne trarrò le dovute conseguenze” .

Dall’altro versante (quello barese) anche Emiliano ha utilizzato e sfruttato la vicenda ILVA per conquistare visibilità nazionale e cercare consensi a fini elettorali pretendendo nel gennaio 2018 una trattativa sul Piano ambientale dell’ILVA (cioè quello che venne impugnato da Regione e Comune di Taranto)addirittura con il presidente del Consiglio in carica all’epoca dei fatti, il “dem” Paolo Gentiloni,  per ottenere dal Governo una apertura al processo di decarbonizzazione e della applicazione della legge regionale sulla previsione del danno sanitario. “Stiamo chiedendo al governo – disse Emiliano – di rispettare le leggi, la Costituzione, la salute dei cittadini. Se non le avremo il ricorso non sarà mai ritirato“ aggiungendo “un impegno a lavorare in modo positivo sull’Ilva non può che essere preso da Gentiloni in persona“, ed “è il momento che il ministro Calenda  si faccia da parte e ci consenta di dialogare con il presidente del Consiglio che peraltro è l’autore dell’atto (Dpcm sul piano ambientale) impugnato” da Regione Puglia e Comune di Taranto.

Michele Emiliano, Lucia Morselli e Rinaldo Melucci

Il ricatto economico e le varie “bufale” della Morselli”

Nel corso di questi anni dall’avvento di Lucia Morselli alla guida di Arcelor Mittal Italia, a Taranto nello stabilimento siderurgico è successo di tutto e di più: dalla rimozione e sostituzione dei managers arrivati al seguito del precedente amministratore delegato, alle “black-list” punitive, passando dalle più grosse barzellette del secolo per giustificare i ripetuti mancati pagamenti di Arcelor Mittal alle aziende dell’indotto che lavorano in appalto con la scusa di “problemi informatici”. Il 27 novembre 2019 iniziava un “teatrino” (spacciato come conferenza stampa) avente come protagonisti la Morselli con Melucci ed Emiliano.

Ascoltare  Emiliano parlare di Primo risultato importante. Mi auguro cambio di paradigma su salute e tecnologia fabbrica… Io non potrò dimenticare questa giornata, perché è la prima volta in quattro anni che accedo in questi uffici della fabbrica… ringrazio sia l’ad Morselli e i suoi uffici per l’accoglienza…”. per la prima volta mi sono sentito a casa” e Melucci aggiungere Ricuciti rapporti… Oggi in qualche modo abbiamo scoperto che le distanze sugli obiettivi finali e sulle soluzioni che stiamo tutti quanti ricercando sono meno ampie di quello che immaginavamo prima”” e la la numero uno di Am Italia  Morselli affermare che “L’acciaieria non finisce con un perimetro, esce da questa cerchia in cui sembra definita ed entra nelle case di tutti i dipendenti abbiamo costruito una comunione d’intenti e sappiamo che stiamo insieme“ sconfina nella follia (o meglio, falsità !) di massa.

La Morselli in quella occasione aveva dichiarato sulla questione pagamenti ritardati da mesi (per decine di milioni di euro) che c’è stata “qualche difficoltà nei giorni scorsi, non voglio minimizzare perché sono cose molto serie. Con l’aiuto del presidente e del sindaco siamo riusciti a trovare rapidamente una soluzione. Una soluzione anche immaginando un percorso di coordinamento tra realtà produttiva locale e acciaieria di Taranto“.

In quella “farsa di conferenza stampa” venne annunciata la costituzione additittura di una “task forcetra i fornitori dell’indotto ed appalto e l’amministrazione di Arcelor Mittal per evitare malintesi e difficoltà, che si sarebbe dovuta incontrare con cadenza mensile “ma faccio un invito a loro per qualsiasi chiarimento, dubbio: siamo aperti e disponibili tutti i giorni”. Ma probabilmente per avere notizie di questa task force bisogna rivolgersi alla collega Federica Sciarelli a “Chi l’ ha visto ?” !

Ma incredibilmente proprio domani le aziende dell’indotto ex Ilva dello stabilimento di Taranto “preoccupate dalla perdurante situazione di incertezza e dal ritardo dei pagamenti, hanno deciso, dopo le ultime dichiarazioni di Arcelor Mittal Italia inerenti la produzione e gli impianti, di chiedere un incontro urgente per domani al Prefetto di Taranto Demetrio Martino di una delegazione di imprenditori della sezione metalmeccanica di Confindustria Taranto” mentre i rappresentanti delle imprese hanno organizzato un sit-in pacifico a partire dalle ore 9 nel rispetto delle norme anti assembramento, sotto la sede della Prefettura tarantina. Al momento le aziende dell’appalto ILVA aderenti a CONFINDUSTRIA Taranto attendono da mesi i pagamenti dello scaduto per oltre 30 milioni di euro , mentre la signora Morselli viaggia insieme al suo “fidato” manager Ponzio direttore degli acquisti, solo e soltanto con voli aerei privati da e per l’ aeroporto di Grottaglie. Mentre gli operai restano a bocca asciutta senza soldi in tasca per far mangiare le proprie famiglie.

I fatti dimostrano che le parole della Morselli in conferenza stampa con Michele Emiliano e Rinaldo Melucci e le sue successive assicurazioni ai rappresentanti del governo (Conte bis) altro non erano che menzogne sotto mentite spoglie di affermazioni assolutamente non credibili e degne di un “teatrino” con Arlecchino e Pulcinella !

L’accordo Arcelor Mittal- Invitalia

L’accordo firmato il 15 dicembre 2020 fra Arcelor Mittal e Invitalia aveva di fatto neutralizzato l’esercizio del diritto di recesso da parte del gruppo indiano, corrispondendo circa mezzo miliardo di euro, con un ritorno alla “statalizzazione” della principale acciaieria europea evitando una lite giudiziaria pericolosa qualora il gruppo indiano avesse deciso di andare in Tribunale. La cessione del controllo da Arcelor Mittal a Invitalia era prevista contrattualmente per il 2022, quando era previsto che Invitalia sarebbe salita al 60% delle azioni.

Resta da chiedersi come sia possibile acquisire il controllo di un’azienda, il cui principale altoforno produttivo (AFO2) è sottoposto a sequestro giudiziario, e soltanto dopo uno sblocco definitivo del sequestro operato della Procura di Taranto, sarà possibile un passaggio effettivo di proprietà. La fine del piano ambientale, infatti, è prevista nel 2023 anche se negli ultimi giorni ci risultano essere stati sospesi i lavori previsti dall’ AIA.

Il “ricatto” finale

Nella mattinata di venerdì Arcelor Mittal non avendo ricevuto da Invitalia i 400 milioni iniziali previsti per ‘ingresso dello Stato nel proprio esiguo capitale sociale, aveva disposto “una riduzione dei suoi livelli di produzione ed un rallentamento temporaneo dei suoi piani di investimento. Queste misure saranno in vigore fintanto che Invitalia non adempierà agli impegni presi con l’accordo di investimento”. Nel frattempo la Morselli ha dato ordine alle navi di non scaricare nel porto di Taranto i minerari necessari per il funzionamento dell’ acciaieria, che conseguentemente in pochi giorni si sarebbe spenta. Uno stop giustificato dalla Morselli per “Questo persistente mancato adempimento che sta seriamente compromettendo la sostenibilità e le prospettive dell’azienda e dei suoi dipendenti”.

Delle folli decisioni che avrebbe comportato lo slittamento per il riavvio di acciaieria 1, treno nastri 2 e tubificio Erw dello stabilimento di Taranto, mandando in cassa integrazione ulteriori 250 dipendenti, in aggiunta agli attuali 3mila che gravano sul portafoglio dei contribuenti. Decisioni queste adottate secondo Arcelor Mittal, poichè l’accordo di investimento firmato con Invitalia lo scorso 10 dicembre “prevede l’impegno di Invitalia a sottoscrivere e versare un aumento di capitale di euro 400 milioni entro il 5 febbraio 2021 ed una serie di altre misure per sostenere gli investimenti della società”. ArcelorMittal contesta nel suo comunicato che “nonostante la natura vincolante dell’accordo, ad oggi Invitalia non ha ancora sottoscritto e versato la sua quota di capitale e quindi non ha adempiuto agli obblighi previsti dall’accordo“. Per fortuna secondo noi.

24 ore dopo ArcelorMittal ha fatto marcia indietro, probabilmente sotto pressione del Governo, dove questa volta la Morselli deve fare i conti con un ministro come Giancarlo Giorgetti ed un premier come Mario Draghi, e non con gente come Patuanelli, Di Maio e Conte. Quindi comunica ai sindacati che il treno nastri ripartiva nella giornata di sabato 20 marzo, così come pure l’acciaieria 1, ripristinando il numero di addetti preesistente nelle manutenzioni centrali., valutando il riavvio di produzione lamiere 2 e del tubificio Erw ed anche la ripresa di alcune attività date in appalto.

E meno male che Arcelor Mittal aveva promesso ai quattro venti di voler investire su Taranto…mentre adesso oltre a non pagare le aziende dell’indotto da mesi, a febbraio non ha neanche versato all’Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti, la rata trimestrale del canone di fitto di circa 25 milioni di euro (febbraio, marzo, aprile) sia la parte più o meno dello stesso importo, dei “beni esclusi” cioè (magazzino e pezzi di ricambio).

il ministro Giancarlo Giorgetti ed il premier Mario Draghi

Resta da chiedersi in conclusione come possa uno Stato, un Governo serio con un premier del livello di Mario Draghi e con un ministro autorevole e competente come Giancarlo Giorgetti, farsi piegare da certi ricatti da un’azienda indiana che vuole fare business con i soldi degli italiani, invece che con i propri. E tutto ciò in un momento in cui il prezzo dell’acciaio ha raggiunto i prezzi elevati di mercato del 2005. Gli indiani sanno molto bene che in presenza di un’eventuale chiusura di Taranto, il prezzo dell’ acciaio schizzerebbe alle stelle in tutto il mondo aumentando del 20-25 % in più.

Ed i “furbetti” di Arcelor Mittal con le loro aziende presenti in tutto il mondo guadagnerebbero molto di più. Non è un caso infatti che quando Arcelor Mittal annuncio la sua decisione di rivolgersi al Tribunale a Milano per rompere il contratto e lasciare l’ Italia, il titolo in Borsa delle multinazionale franco-indiana arrivò a dei picchi elevati di quotazione e valore che non si era mai visto in precedenza.

A questo punto forse sarebbe il caso di mandare a casa Arcelor Mittal e far ritornare lo stabilimento siderurgico ai livelli di produttività e redditività raggiunti dai Riva con un management competente tutto italiano, e senza “zarine” con la “bacchetta da maestrina” a decidere le sorti dell’ acciaio italiano e dell’ economia jonica-pugliese…

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