ROMA – I difensori dell’ ILVA in Amministrazione Straordinaria hanno deposito oggi il ricorso alla cancelleria del Tribunale del Riesame di Taranto, contro la decisione assunta dal giudice Francesco Maccagnano, facente parte della stessa sezione penale presieduta dall’ ex-Gip Patrizia Todisco ( ritenuta per i trascorsi il nemico giudiziario n° 1 dell’ ILVA), di respingere l’istanza di proroga della facoltà d’uso dell’Altoforno 2 dello stabilimento siderurgico ex-ILVA di Taranto, condotto in gestione da ArcelorMittal.
Adesso si aspetta di conoscere la data dell’udienza che con ogni probabilità verrà celebrata per il 30 dicembre, sulla base del calendario delle discussioni dei ricorsi già fissato dal Tribunale. La prima data utile successiva per la possibile fissazione dell’udienza è quella del 7 gennaio, ma è troppo vicina all’ultima fase delle operazioni dello spegnimento dell’impianto, già avviate con la massima urgenza dalla custode giudiziaria Valenzano, su disposizione del giudice Maccagnano.
In caso di mancato accoglimento del ricorso da parte del Riesame, il cronoprogramma predisposto dal custode giudiziario dell’area a caldo Barbara Valenzano prevede che, “le modifiche impiantistiche che saranno implementate dall’8 gennaio 2020 in poi non consentiranno la successiva ripresa del normale esercizio dell’AFO2“.
Il 18 gennaio 2020, invece, quando è previsto il completamento della fase di abbassamento carica dell’Altoforno, partirebbe il “colaggio della salamandra“, che è la foratura del crogiolo e nel colaggio degli ultimi fusi, un’ operazione questa che durerebbe almeno due giorni. L’impianto a quel punto non potrebbe essere più utilizzato se non a seguito di procedure ed operazioni tecnologiche che durerebbero circa 6-7 mesi.
L’altoforno dovrà mantenere per ragioni di sicurezza e per garantire un regime termico adeguato, un livello minimo produttivo di 4.800 tonnellate al giorno fino all’ultima fase dello spegnimento.
Sono tre gli scenari che si ipotizzano a questo punto: se non verrà trovata un’intesa di principio prima dell’udienza di venerdì allora giocoforza si andrà allo “scontro” in udienza con la discussione e la decisione del giudice nei giorni successivi; in alternativa prima dell’udienza potrebbe essere raggiunto un accordo sui “macrotemi’ e le parti chiederanno di comune accordo un rinvio dell’udienza alla settimana successiva o a gennaio per i negoziati.
Terza ed ultima ipotesi: le parti avranno bisogno di qualche giorno in più per trovare l’intesa di massima e chiederanno un rinvio al 23 dicembre o a dopo le feste. Ieri da quanto si è saputo, il negoziato tra le due parti è andato avanti per tutto il giorno alla ricerca dell’accordo di massima per proseguire nelle trattative.
Quando i legali di ArcelorMittal hanno capito che c’erano ancora dei punti su cui non si è raggiunta un’ intesa, conseguentemente come passaggio procedurale obbligato (ieri scadeva il termine) e precisano “non come mossa aggressiva”, ha deciso di depositare in tarda serata la memoria che contrasta il ricorso cautelare d’urgenza presentato dai commissari che ritengono illegittimo l’addio all’ex Ilva da parte della multinazionale.
Ad ogni modo, è stato chiarito che le trattative sono proseguite anche oggi in modo intenso per arrivare ad un’intesa di massima e ad una conseguente richiesta congiunta di rinvio dell’udienza, un rinvio che diventerebbe utile, poi, per definire un accordo in tutti i dettagli necessari.
Il giudice nelle scorse settimane aveva rinviato il procedimento a venerdì 20 per consentire alla “trattativa di svolgersi sulla base delle intese e degli impegni assunti“. Con la presentazione, poi, nei giorni scorsi del nuovo piano di Mittal, però, il quadro era cambiato, perché le affermazioni del gruppo sugli esuberi erano state ritenute assolutamente inaccettabili dai commissari dell’ex Ilva. Il negoziato, comunque, anche dopo la presentazione di quel piano “inaccettabile”, è andato avanti e sta proseguendo ancora.
ArcelorMittal, vincendo la gara un anno fa circa, e firmando il contratto, si era impegnata a garantire, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10mila posti di lavoro e a pagare, in caso contrario, una penale di 150mila euro per ogni lavoratore lasciato a casa. In sostanza, per l’ex Ilva si può sì trattare sulla revisione degli accordi presi, ma non certo sul caposaldo del contratto che è l’aspetto occupazionale.
Il punto non ancora risolto per l’accordo di massima, premessa della trattativa tra ArcelorMittal e i commissari dell’ex Ilva, è la mancata definizione dell’entità, della misura e della modalità degli interventi degli eventuali soggetti pubblici e privati italiani che potrebbero entrare nell’operazione per rivitalizzare il polo siderurgico italiano. Da quanto si è appreso, questo è uno dei motivi che ha portato ieri il gruppo indiano a depositare una memoria nella causa civile in corso a Milano.
L’altoforno 2 “è ‘vitale’ per l’impianto di Taranto e l’intero polo industriale“ e il suo “spegnimento imporrà di spegnere anche gli altri due altoforni attivi presso lo stabilimento di Taranto perché presentano caratteristiche tecniche analoghe”. I legali del gruppo franco-indiano nella memoria depositata a Milano scrivono: “La Magistratura penale ha anche stabilito che l’omessa esecuzione delle Prescrizioni non è imputabile ad ArcelorMittal, bensì ad ‘anni di inadempimento colpevole’” dei commissari dell’ex Ilva.
Una considerazione seppure veritiera che sicuramente non rappresenta un messaggio distensivo nel corso della trattativa.