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22 Novembre 2024 04:17

ILVA, il miliardo 200 milioni di euro sequestrati ai Riva in Svizzera, bloccati per ricorso degli eredi

Due figlie dell’ex patron Emilio Riva un "patriota" secondo Silvio Berlusconi, un pregiudicato secondo la giustizia italiana, hanno rinunciato all’eredità del padre in Italia. Ma da buone "furbette" lumbard la rivendicano in Svizzera. E con un ricorso hanno bloccato il trasferimento dei fondi sequestrati

Le due figlie di Emilio Riva hanno rinunciato in Italia all’eredità del padre Emilio Riva, l’ex “patron” dell’ ILVA deceduto più di un anno fa, . Ma da degne furbette di tale padre, rivendicano l’eredità in Svizzera . Pertanto nonostante il semaforo verde da parte dell’autorità svizzera, l’importo di oltre 1miliardo ed alcune centinaia di milioni di euro che erano stati sequestrati su richiesta della magistratura italiana presso diversi conti correnti presso la banca svizzera UBS ad alcuni familiari dei Riva non sono ancora arrivati in Italia.  Il trasferimento dei fondi, è stato bloccato dal ricorso presentato da due figlie di Emilio Riva al Tribunale federale di Bellinzona — per bloccare (o meglio ostacolare)  il provvedimento col quale la Procura di Zurigo, condividendo la richiesta della magistratura italiana, aveva disposto la revoca del blocco del denaro depositato presso l’UBS .

Lo scorso 11 maggio  il Gip D’Ambrosio del Tribunale di Milano aveva disposto il rientro in Italia dei fondi, accogliendo la richiesta dei commissari dell’ ILVA di Taranto, e con i soldi sequestrati era prevista l’ emissione per il controvalore  in bond  da utilizzare per il risanamento ambientale e sanitario dello stabilimento siderurgico tarantino . Mancava quindi soltanto il  via libera  da parte delle autorità elvetiche al trasferimento dei fondi sequestrati, dai conti UBS in Svizzera al conto dell’ UBS in Italia, sotto il controllo del Fondo Unico Giustizia di Equitalia,   e ora che questo è arrivato (come era prevedibile) l’opposizione delle figlie di Emilio Riva al trasferimento.  I soldi erano stati sbloccati il 19 giugno dalla magistratura elvetica e precedentemente erano stati sequestrati alla famiglia Riva nel 2013 per reati finanziari e valutari, in conseguenza di una mendace dichiarazione di rientro “scudato” in Italia delle somme, che non è mai avvenuto.

CdG gruppo RIVA
Alcuni “numeri” del gruppo RIVA prima del “crack”

La rinuncia all’eredità degli eredi di  Emilio Riva  in Italia è stata chiaramente decisa dai figli di Riva con il chiaro intento di sottrarsi alle legittime pretese dei creditori. Le non semplici procedure per far rientrare le somme sequestrate dalla Svizzera in Italia, da utilizzare secondo quanto contenuto nel decreto “Salva Ilva”, successivamente convertito in legge il 3 marzo scorso, subisce ancora una volta un imprevisto stop.  Il problema è che adesso senza quei soldi  il risanamento della più grande acciaieria d’Europa non può partire in quanto la conseguenza del ricorso dalle figlie di Emilio Riva, è quello di sospendere lo sblocco dei fondi destinati all’ ILVA . Adesso è atteso nei prossimi giorni la decisione sul merito del ricorso, del  Tribunale di Bellinzona, e quindi nel frattempo tutto si è “paralizzato”.

La somma, soltanto allorquando verrà resa disponibile, verrà trasferita in Italia e quindi messa a disposizione del commissario straordinario dell’ILVA, Pietro Gnudi, in maniera tale che si possa convertire l’intero importo in obbligazioni destinate a essere immesse sul mercato e quindi utilizzate a vantaggio dello stabilimento di Taranto, secondo quanto previsto dal decreto Salva Ilva.

CdG-famiglia-RIVA

L’ importo di 1,2 miliardi era stata sequestrata nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Milano nei confronti di Adriano Riva  (il fratello di Emilio Rivan.d.r.) e di due commercialisti imputati di “truffa ai danni dello Stato” per un  trasferimento fittizio di beni. Secondo l’ipotesi della procura milanese, istruita e formulata formulata dai pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, questi soldi sarebbero stai  sottratti volutamente dalle casse dell’ILVA per essere poi trasferiti nell’isola di Jersey, paradiso fiscale nel canale della Manica. Secondo il Gip di Milano, quei fondi costituivano il frutto di alcuni reati commessi dagli indagati in danno della società Fire Finanziaria, poi divenuta Riva Fire, quindi trasferiti illegalmente all’estero attraverso il loro occultamento in otto trust domiciliati in un paradiso fiscale e poi fatti riemergere attraverso lo scudo fiscale del 2009,  ma in maniera non conforme a alle Leggi.

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