Ricordate le dichiarazioni del premier Renzi all’inizio del 2015 ? “Il primo decreto dell’anno, il numero 1/2015 riguarda Taranto. Questa città bella e disperata è il punto di partenza del nostro anno. Salvataggio di Ilva insieme al salvataggio dei tarantini e dei loro figli“. Ebbene, i risultati sono stati altri. Infatti ieri al termine del Consiglio dei Ministri tenutosi a Palazzo Chigi il sottosegretario alla Presidenza, Claudio De Vincenti ha annunciato che arriverà “una nuova compagine societaria che consenta di dare un futuro stabile, definitivo, di prospettiva industriale e risanamento ambientale dell’ILVA“, ha sottolineato il sottosegretario aggiungendo “abbiamo varato un decreto legge che accelera la cessione a terzi dei complessi aziendali del gruppo ILVA. Il decreto legge fissa al 30 giugno 2016 il termine per il completamento dell’operazione di trasferimento a una nuova compagine societaria per un futuro stabile di ILVA “. All’uscita del consiglio dei ministri il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha spiegato che “La parte ambientale resta un elemento determinante del salvataggio dell’ILVA e la posticipazione del termine di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre è dovuta dal fatto che il piano che presenterà l’aggiudicatario potrà portare modifiche al piano ambientale”. Modifiche che, ha aggiunto il ministro, avverranno “con le stesse procedure della formazione del piano ambientale“.
Il governo Renzi stanzia per decreto ulteriori 300 milioni di euro per il gruppo siderurgico. Un prestito che va a sommarsi agli 800 milioni messi in campo dalla legge di Stabilità per un totale di un miliardo e cento milioni di euro per agevolare il percorso di transizione nella cessione dello stabilimento di Taranto. Un prestito ponte, che secondo le dichiarazioni dal ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, è necessario “per accompagnare e sostenere questa accelerazione” nella vendita dell’ ILVA che verrà effettuata tramite una procedura ad evidenza pubblica e l’aggiudicatario,verrà valutato “sulla bontà del piano industriale che presenterà e sulla proposta ambientale e potrà presentare un nuovo piano Aia che verrà valutato con la stessa modalità già adottato nella valutazione dell’Aia oggi esistente”.
Il progetto attuato dal Governo per il risanamento dell’ILVA finora intrapreso è stato accidentato, pieno di imprevisti. Adesso si annunciano delle novità, come quello di un nuovo ulteriore tentativo di coinvolgere l’imprenditoria privata internazionale ed italiana nell’azionariato del gruppo. Questa per il il momento altro non è che è una semplice possibilità, realmente non facile da realizzare in quanto si tratta della strada inizialmente percorsa dal commissario unico Gnudi senza alcun risultato, prima di essere affiancato da Enrico Laghi e Corrado Carrubba, adesso la situazione è peggiorata , con perdite elevate e prospettive drammatiche in quanto il tesoretto di 1,2 miliardi di euro dei Riva è rimasto bloccato in Svizzera ed il Governo non è riuscito a farlo arrivare nelle casse del gruppo.
Un comunicato stampa di Palazzo Chigi ha precisato che il gruppo che acquisterà l’ILVA “dovrà rimborsare allo Stato l’importo erogato e non ancora restituito maggiorato degli interessi“. “Il provvedimento – continua il comunicato – prevede che la valutazione dei beni possa essere effettuata, oltre che da società finanziarie, anche da società di consulenza aziendale; le procedure di trasferimento a terzi siano completate entro il 30 giugno 2016; il trasferimento assicuri la discontinuità, anche economica, della gestione da parte del soggetto aggiudicatario” . Il decreto legge di ieri contiene norme che “riguardano il pagamento dei debiti prededucibili contratti dall’amministrazione straordinaria allo scopo di garantire la tutela dell’ambiente, della salute e dell’occupazione”.
In un vertice a Palazzo Chigi tenuto nei giorni scorsi, la Cassa depositi e prestiti ha detto che non è nelle condizioni di assumersi l’intero peso del salvataggio, mentre la newco ( cioè la nuova società ) annunciata che doveva essere costituita nella primavera scorsa con la partecipazione d’investitori finanziari è rimasta solo un progetto e niente di più. Quindi occorre giocarsi le ultime carte. E così, con grande prudenza e basso profilo , che sono ripartiti dei contatti informali per tentare l’impossibile, cioè costituire una solidità industriale e manageriale al riassetto dell’ILVA cercando di coinvolgere nuovamente dei soci privati. Come dicevamo nel recente passato Piero Gnudi, che all’epoca dei fatti era commissario straordinario unico, ci ha provato ripetutamente ma senza alcun esito favorevole. Le difficoltà che avevano impedito di raggiungere un accordo permangono ancora tutte irrisolte, anzi sono peggiorate nel tempo. Nell’attesa di poter meglio capire quale sarà il responso dei contatti che sono stati avviati, la possibilità di nuove partnership viene definito “una semplice eventualità” ( e come altro potevano definirlo ? n.d.a.) che non deve interferire con il lavoro in cui sono impegnati i vertici aziendali, completamente rinnovati meno di un anno fa e ritenuti “poco esperti” dai vertici confindustriali ed al presidente della Federacciai.
In tentato salvataggio governativo dell’ ILVA è cominciata con la fase iniziale del commissariamento, in cui era al comando Enrico Bondi, con l’incarico di commissario straordinario, il quale si è messo di traverso sul piano industriale messo a punto dai consulenti della multinazionale americana MacKinsey. Successivamente, sostituito Bondi, è arrivato Piero Gnudi, il quale era convinto che la priorità era quella di trovare sopratutto un nuovo riassetto nell’azionariato, per poter dare solidità al gruppo grazie all’apporto di soci privati, internazionali e italiani. Ma i tentativi intrapresi non hanno conseguito alcun risultato, in quanto i potenziali azionisti hanno espresso con determinazione che per un rilancio i problemi dell’ILVA erano ingenti, gli investimenti necessari dalle nuove rigide prescrizioni ambientali non sostenibili per dei gruppi privati. Ed inoltre le inchieste avviate dalla magistratura di Taranto non fornivano un quadro di assoluta chiarezza. Nel frattempo è avanzato il convincimento che i “privati” volessero esercitare delle pressioni speculari , ingigantendo i problemi dell’ILVA, per poi acquisirla con un esborso minimo.
In pratica, il sospetto circolante era che la multinazionale franco-indiana ArcelorMittal volessero fare i furbi. Conseguentemente le trattative avviate da Gnudi non ha portato ad alcun risultato ed è quindi cominciata l’ultima fase, sotto la regia dell’ex amministratore delegato di Luxottica (azienda leader nel mondo per la produzione di occhiali…) , Andrea Guerra, che era entrato con il ruolo di super consulente del premier Renzi Palazzo Chigi.
La realtà che invece di consulenza industriale, tutti hanno sperato che l’inchiesta della Procura di Milano contro la famiglia Riva, ex azionisti-proprietari dell’ILVA, che erano seduti sul banco degli imputati, in quanto ritenuti colpevoli di una lunga serie di reati. In quei giorni Guerra, sia pure dietro le quinte, si sperticava in parole di elogio per il lavoro svolto dai magistrati milanesi. Dal Palazzo di Giustizia lombardo arrivavano “ufficiosamente” due certezze: l’Ubs, il più importante istituto di credito svizzero svizzero in cui erano stati parcheggiati i “trust” della famiglia Riva, era pronti a restituire e trasferire in Italia i famosi 1,2 miliardi, e che la magistratura svizzera avrebbe dato espresso il proprio parere favorevole. Ma mai come in questo caso vale il concetto del “Mai dire mai“.
In realtà tutto quello che la Procura milanese prevedeva è filato liscio, ma non avevano fatti i conti con l’oste, cioè con gli eredi di Riva i quali, mentre in Italia avevano rinunciato all’eredità paterna, in Svizzera hanno fatto ricorso in appello al Tribunale di Bellinzona, dove le due figlie di Emilio Riva, hanno bloccato tutto, sostenendo con parole dure in perfetto “stile di famiglia” che il tesoretto nascosto in Svizzera non si tocca fino alla sentenza definitiva di un processo in corso contro i Riva che è ancora in corso. Una vera e propria doccia fredda, per il Governo ed i commissari dell’ ILVA. L’effetto voluto era quello di riaprire la “partita” sul futuro del gruppo che, proprio negli ultimi due mesi, aveva conseguito qualche risultato positiva, con la riduzione delle perdite mensili (sotto i 20 milioni contro i 50 milioni dei momenti peggiori) per arrivare all’incremento del portafoglio ordini dove si era arrivati al più 23 per cento (risultato di ottobre su settembre) e più 20 per cento ( novembre rapportato a ottobre) comunicando una soddisfazione un pò troppo esagerata per la vittoria nella gara indetta dalla Snam per una fornitura di oltre 5 milioni di euro. Ma il vero problema è la mancanza di liquidità . E non è un problema di piccola entità.
Il Consiglio dei Ministri, con questo nono decreto, non solo ha cambiato ancora una volta le carte in tavola, ma in questo caso si è auto-suicidato nell’ indicare un termine per la data di cessione dello stabilimento ILVA di Taranto e spostando in avanti il termine dell’applicazione dell’Aia. Un decreto dettato dalla fretta, senza riflettere (ma siamo sicuri che sia solo una svista ?) che il fissare una data per il termine delle trattative, in realtà aiuta soltanto gli acquirenti a calare sul presso di offerta per un offerta
LE REAZIONI DEI SINDACATI
In una nota Rosario Rappa segretario nazionale Fiom-Cgil ha dichiarato che “Siamo in presenza di un decreto che rischia di scaricare i costi sul pubblico e gli utili sul privato, facendo pagare ai lavoratori attualmente occupati pesanti costi in termini occupazionali. Inoltre, riteniamo gravissima la volontà di allungare i tempi del processo di ambientalizzazione, per la quale devono essere rispettati i tempi indicati nell’Aia. Ancora una volta contraddicendo quanto fino ad ora aveva dichiarato, il Governo prende decisioni senza consultare le organizzazioni sindacali. È assolutamente necessaria – aggiunge Rappa – una immediata convocazione alla presidenza del Consiglio dei ministri, qualora questo non avvenisse metteremo in campo tutte le iniziative di mobilitazione necessarie”.
“Dal nono decreto appena varato – commenta Marco Bentivoglio segretario generale di Fim-Cisl – si definisce che l’Ilva di Taranto sarà venduta entro il 30 giugno 2016. Da tempo sosteniamo che il più grande siderurgico d’Europa debba essere gestito da chi ha esperienze e capacità del settore. E’ positivo aver fissato una data in cui cedere ad un soggetto industriale che guidi il Gruppo ad una più attenta gestione industriale e recuperi il troppo tempo perduto sull’ambientalizzazione e il rilancio industriale. A questo fine, nell’attesa di una sentenza di primo grado del tribunale svizzero, era inevitabile lo stanziamento dei 300 milioni di euro previsti dal decreto”.
“Per centrare la data del 30 giugno – conclude Bentivogli – come data ultima per la scelta di un soggetto aggiudicatario, di cui valorizziamo il percorso di valutazione attraverso una procedura a evidenza pubblica, per arrivare a una cessione degli asset. il soggetto aggiudicatario sarà valutato in il soggetto aggiudicatario sarà valutato in base alla bontà del piano industriale che proporrà e della trasparenza ambientale. Il termine per l’attuazione completa delle misure slitta di 4 mesi, ma visti i ritardi accumulati, se non si mettono in cantiere gli interventi previsti, passeremo ad un inaccettabile ulteriore rinvio“