di Antonello de Gennaro
Il “caso ILVA” è costato sin troppo alla città di Taranto, sia in termini economici, che sociali ma sopratutto ambientali . Le ferite procurate e lasciate, in questi ultimi due anni e mezzo, rappresentano uno dei casi più drammatici complessi della storia dell’industria italiana: I dipendenti dell’ ILVA, ed i cittadini di Taranto non sono mai stati messi nelle condizioni di poter lavorare e vivere con tranquillità non soltanto occupazionale, ma sopratutto per la loro salute. Sono stati i tarantini a pagare per primi i rischi e le conseguente dell’inquinamento ambientale. Non è giusto nè legittimo che circa 200mila abitanti italiani e cioè il numero dei cittadini a Taranto, debbano convivere quotidianamente da troppi anni in una situazione poco salubre e sopratutto di crisi e rischio occupazionale.
Quanto è sinora successo, ha creato non pochi danni anche all’industria ILVA che ha visto diminuire di circa un terzo la propria attività produttiva a vantaggio dei concorrenti internazionali, e crollare il proprio patrimonio netto di 2,5 miliardi di euro. Con lo stabilimento siderurgico dell’ ILVA di Taranto in mano al Gruppo Riva, l’ economia italiana, ha potuto contare sull’ottavo gruppo siderurgico al mondo, mentre adesso si assiste al tentativo di salvataggio di quel che ne resterà. Il presidente del consiglio Matteo Renzi, nelle ultime ore ha accennato ad un’ipotesi di un salvataggio comune per il “sistema” siderurgico italiano.
Chi rileverà, se ciò accadrà, lo stabilimento siderurgico dell’ ILVA di Taranto, avrà a disposizione degli impianti industrialmente efficienti, ma dovrà fare i conti anche con situazioni poco “allegre” (una valanga di processi e richieste risarcitorie) e con un gap di quote di mercato ormai in mano alle aziende straniere concorrenti da riconquistare. Arrivati a questa situazione, è necessario che il Governo Renzi riesca a mettere in piedi e concludere un rapporto chiaro, forte e fermo, con qualsiasi cordata estera-italiana si faccia avanti.E’ necessario tutelare la capacità di produzione specialistica industriale dell’ ILVA che vanta un’importante produttiva siderurgica , cioè la capacità di realizzare nell’impianto siderurgico con la produttività più elevata d’Europa, nove milioni di tonnellate di acciaio
Escludendo le inconfutabili ed accertate responsabilità della famiglia Riva, che la magistratura sta man mando accertando, va ricordato con oggettività che tutte le leggi speciali create “ad hoc” e la loro reale interpretazione ed applicazione in un concentrato di interpretazione politica, legislativa e giudiziaria e non sempre coerenti ed in linea fra di loro , hanno sinora prodotto dei risultati contrastanti fra di loto. Qualcuno, in ambiente confindustriale nazionale, sostiene che l’interpretazione ed applicazione letterale dei codici di legge da parte della magistratura di Taranto sembra avere tenuto poco conto della fisiologia industriale e finanziaria dell’impresa. Ma è giusto e corretto che sia così. Infatti, contrariamente non si può chiedere alla magistratura di adattare delle leggi, ed interpretarle “ad personam” (cioè ad una precisa vicenda giudiziaria-societaria)
Il Sole 24Ore , quotidiano della Confindustria, parla ieri in suo articolo di “commissariamento trasformato in una sorta di spossessamento – per non usare la parola “esproprio” – dei proprietari. Con l’esito paradossale che, in questi ultimi mesi, i Riva – coinvolti in un procedimento, “Ambiente Svenduto” (91 i morti imputati dai magistrati all’acciaieria), di cui è appena iniziato il processo – sono stati tagliati fuori da ogni negoziato. Tanto che, adesso, il Governo, si appresta a vendere l’Ilva – quasi che fosse una società pubblica – senza coinvolgere né loro né gli Amenduni, titolari del 10% del capitale ed estranei al procedimento giudiziario. In più, i magistrati di Milano, dopo un’altra legge speciale, hanno scelto di girare a Taranto i soldi sequestrati a trust dei Riva per presunti reati fiscali e monetari che non c’entrano con le accuse di disastro ambientale per l ‘ILVA, in una inchiesta di cui non si sono ancora concluse le indagini“.
Il quotidiano confindustriale che a Taranto può contare anche sulla presenza e “posizione” del proprio corrispondente locale, che è anche il capo servizio della locale redazione della Gazzetta del Mezzogiorno (il più diffuso quotidiano regionale, anch’esso in stato di crisi) , dimentica però di dire tante cose. Dimentica tutte le operazioni fraudolente che sarebbero state messe in opera dalla famiglia Riva (come sostengono ben due procure: Taranto e Milano) la quali ha fatto scomparire e sottratto alla tassazione ingenti capitali provenienti dai profitti dell’ ILVA di Taranto. Dimentica i contrasti interni, i voti contrari e le azioni legali intraprese proprie dalla famiglia Amenduni nei confronti della famiglia Riva, che emergono anche dalle inchieste giudiziarie.
E’ semplicemente ridicolo nonchè vergognoso leggere chi scrive (Il Sole24Ore – n.d.r.) quando parla di “mancato rispetto sostanziale dei diritti di proprietà e l’ingarbugliarsi di percorsi processuali distinti ledono il profilo di una società liberale e, nella forma mercato del capitalismo occidentale, compromettono ogni ipotesi di razionalità economica. Esattamente quello che – in ogni settore – non piace ad alcun investitore, italiano o straniero che sia. Un danno inaccettabile per il Paese“. Il giornale della Confindustria dovrebbe parlare di mancato rispetto del diritto al lavoro degli operai vessati e minacciati dagli “uomini di fiducia” dei Riva , del mancato rispetto da parte del del Gruppo ILVA (sotto la gestione Riva) delle norme di legge ambientali, del mancato rispetto della famiglia Riva nei confronti della salute dei cittadini di Taranto, del loro mancato rispetto delle normative fiscali ( milioni e milioni di euro) di tasse non pagate, cioè evase dai loro cari “amici” della famiglia Riva. E questo non sono opinioni personali. Sono tutti fatti accertati dagli organismi competenti per Legge, cioè Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate, Magistratura e tribunali di Taranto e Milano
Il giornalista del SOLE24ORE ignora (o fa finta di non sapere ?) che la famiglia Riva nello scorso 2011 aveva chiuso un contenzioso da quasi 100 milioni di euro con l’Agenzia delle Entrate, somma che aveva fatto quasi triplicare i debiti tributari del gruppo Riva Fire, ed ignora ( evidente il corrispondente da Taranto, non glielo ha comunicato…. ) che il Comune di Taranto, attende dall’ ILVA, altri 2 milioni e 300mila euro di Ici dovuti per l’anno 2007, oltre a quella già versata. Come rivelato dal sito LINKIESTA.IT “pendono infatti due richieste di pagamento notificate nel 2012 – avvisi n. 150 e 2210 – e che si riferiscono all’ex imposta comunale su fabbricati e terreni entrata in vigore a partire dal 1993 e sostituita lo scorso anno dall’ormai famosa IMU (imposta municipale unica) che nella “città dei due mari” ha portato un gettito di 53 milioni e mezzo di euro. Sull’ ICI qualcosa è andato storto nei calcoli del 2007: in quell’anno, stando almeno ai dati dell’azienda, l’ ILVA ha versato nelle casse comunali poco più di 3 milioni e 600 mila euro (3.616.000 euro), ma secondo gli ultimi rilievi dell’ufficio Programmazione economico finanziaria del Comune la più grande industria della città dovrebbe tirarne fuori altri 2 milioni e 300mila (2.286.117 euro, 202.479 euro nel primo avviso e 2.083.638 euro nel secondo)”. E questi che vedere cari lettori, sono documenti, non fumose parole o editti confindustriali al vento !
Infatti non a caso, è proprio il corrispondente tarantino del SOLE24ORE, in suo articolo pubblicato però sulla Gazzetta del Mezzogiorno , a parlare di rischi, di fretta, formulando insieme a qualche collega delle ipotesi campate in aria e basate su supposizioni personali o su imbeccate sindacali o aziendali. La Gazzetta del Mezzogiorno parla di “Possibilità. Che si incrociano con un dato di fondo: non c’è più molto tempo per salvare l’ ILVA. L’azienda ha ormai esaurito la liquidità che gli hanno trasferito le banche con la prima rata del prestito ponte (125 milioni) e quindi si deve accelerare nella costruzione di un nuovo assetto societario che assuma tra le sue priorità il risanamento ambientale, la tutela dei posti di lavoro e il rilancio industriale“. Niente di più sbagliato. Il prestito-ponte (garantito dal Governo) messo a disposizione dalle banche alla gestione commissariale dell’ ILVA è di 250 milioni di euro, non solo di 125 ! E con l’arrivo della domma di 1 miliardo e 200 milioni di euro, sequestrati alla famiglia Riva, che è stata disposta dal Gip del tribunale di Milano, le banche sono molto ma molto più serene. La fretta negli affari, nelle trattativa è il peggiore consigliere, ma i giornalisti che scrivono certe cose vanno capiti e giustificati: loro probabilmente non hanno mai fatto un affare o condotto una trattativa economica, se non quella del proprio stipendio (attraverso quella specie di sindacato giornalistico da cui si fanno rappresentare !) per ottenere qualche euro in più in busta paga. Probabilmente, invece, a preoccuparsi adesso sono coloro i quali pensavano di potersi impossessare dell’ ILVA senza dover sborsare un solo euro. Ipotesi-proposta questa che il commissario Gnudi ha di fatto già rispedito al mittente.
Il Commissario governativo dell’ ILVA, Pietro Gnudi , nominato dal premier Renzi, ha le spalle “larghe”, gode di una consolidata esperienza istituzionale ed industriale. E di una cosa siamo certi, insieme a chi lo conosce bene: Gnudi non svenderà mai l’ ILVA, sopratutto ora che è arrivata la decisione del Gip del Tribunale di Milano che come dicevamo prima, ha assegnato il miliardo e 200 milioni di euro alle casse alla gestione commissariale governativa dell’ ILVA, con tutte le tutele del caso, per attuare il piano di risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico di Taranto.
Non è un caso infatti, che all’improvviso, quando tutte le ipotesi giornalistiche davano quale unica proposta concreta quella del gruppo franco-indiano Arcelor Mittal in cordata con il gruppo italiano Marcegaglia , all’improvviso è ritornato in ballo il gruppo Arvedi di Cremona, ed infatti è più di una ipotesi che la Cassa Depositi e Prestititi ed il controllato Fondo strategico possano sostenere Giovanni Arvedi, l’industriale siderurgico lombardo interessato ad acquisire l’ ILVA . Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti (sinora silente), ha indicato la strada in cui l’istituto finanziario pubblico potrebbe muoversi e cioè il sostegno ad un’impresa italiana che entri nell’azionariato dell’azienda siderurgica. “L’ ILVA – ha dichiarato Gorno Tempini – non è investibile per statuto da Cdp, nè dal Fondo strategico, ma questo non significa affatto che noi non si guardi alla siderurgia come a uno dei settori importanti dell’economia italiana”. E Gorno Tempini ha confermato che “è in corso un dialogo con gli operatori del settore per vedere se non ci siano le condizioni per il Fondo strategico per investire in una di queste aziende. Un possibile coinvolgimento nell’ ILVA non ci vedrebbe contrari” . Non è un dettaglio ininfluente che per statuto, Cdp e Fondo strategico possono investire solo in aziende che hanno una “stabile condizione di equilibrio finanziario“. Resta arduo definire tale il Gruppo Marcegaglia, (alleato dei franco indiani) che proprio l’ anno scorso ha chiuso lo stabilimento Marcegaglia di Taranto che produceva pannelli coibentati e di pannelli fotovoltaici, cessando la sue attività, con la chiusura avvenuta lo scorso 31 dicembre 2013 ed il licenziamento di 134 dipendenti,.
Ma questi dettagli nè ilSole24Ore, nè la Gazzetta del Mezzogiorno lo ricordano. Chissà perchè…
P.S. Per la cronaca il Comitato Fondo Antidiossina Onlus di Taranto ha spedito a mezza raccomandata per il deposito alla Procura della Repubblica di Taranto, del nuovo materiale sulle reiterate attività inquinanti dello stabilimento ILVA di Taranto, postando un filmato su Youtube. (guarda QUI)