La Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona, con sentenza del 18 novembre 2015, ha annullato il sequestro effettuato nei mesi scorsi per ordine della procura di Milano, e convalidato dal Gip del tribunale di Milano di 1,2 miliardi di euro, somma riconducibile alla famiglia Riva e al fallimento della loro azienda ILVA, perché ha riscontrato gravi irregolarità procedurali. I giudici del Tribunale svizzero nel provvedimento con cui, accogliendo il ricorso delle figlie di Emilio Riva, è stato negato il rientro della somma che era stata sequestrata in una delle inchieste dei pm di Milano sulla gestione dell’ ILVA, sostengono che il rientro in Italia “costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale“. La sentenza non è ancora passata in giudicato e secondo la Legge elvetica vi è la possibilità di rivolgersi entro 10 giorni al Tribunale federale di Losanna dinnanzi il tribunale federale svizzero. Fonti di Palazzo Chigi ci hanno confermato in serata che “il Governo non intende perdere un solo minuto per far rispettare le decisioni della giustizia italiana“.
Questa la ricostruzione contenuta dalla sentenza di un’ottantina di pagine del Tribunale penale federale: “La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano conduce contro i vertici del gruppo siderurgico un procedimento penale per i reati di riciclaggio di denaro, truffa ai danni dello Stato e trasferimento fraudolento di valori. La Procura di Milano contesta agli indagati di aver drenato dalla azienda siderurgica e trasferito direttamente nella disponibilità della famiglia Riva, attraverso quattro trust (Jersey), valori patrimoniali per un importo superiore al miliardo di euro. I valori patrimoniali dei trust sarebbero stati, in maniera ingiustificata, rimpatriati giuridicamente in Italia impunemente nell’ambito dello scudo fiscale intervenuto nel 2009. Nel 2010, la società fiduciaria italiana, UBS Fiduciaria S.p.A., incaricata del rimpatrio giuridico ha trasferito i beni dei trust su suoi conti presso UBS AG rispettivamente UBS Switzerland AG” – e prosegue – “Con domanda di assistenza giudiziaria del 21 maggio 2013, la Procura di Milano ha postulato il blocco dei suddetti conti. La Procura del Canton Zurigo ha dato seguito positivo alla richiesta, per cui dal 4 giugno 2013 la somma di circa un miliardo di euro è oggetto di sequestro rogatoriale” – e continua – “Nell’ambito del procedimento penale milanese, l’11 maggio 2015 il Giudice per le indagini preliminari (GIP), basandosi sulla legge del 4 marzo 2015, n. 20, adottata ad hoc per il caso ILVA, ha disposto l’utilizzo dei valori patrimoniali dei trust sequestrati rogatorialmente per la sottoscrizione di obbligazioni emesse dalla ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria. Egli ha inoltre ordinato la conversione del sequestro dei valori in questione in un sequestro delle obbligazioni emesse. Secondo la normativa di cui sopra, il capitale corrispondente deve essere utilizzato per l’adozione di misure di protezione dell’ambiente in relazione ad Ilva (…). UBS Fiduciaria ha quindi impartito alla banca svizzera l’ordine di trasferire in Italia i valori patrimoniali in questione”.
Ma in Svizzera è successo qualcosa ““Il 19 giugno 2015, la Procura zurighese non ha ordinato direttamente la consegna dei valori dei trust all’Italia, ma ha revocato il sequestro dei conti, affinché potesse essere eseguito l’ordine di pagamento impartito da UBS Fiduciaria. Essa ha dato l’autorizzazione alla banca svizzera per consegnare i beni dei trust all’Italia. La decisione della Procura zurighese si fonda su una domanda di assistenza giudiziaria, tesa ad ottenere la consegna di valori patrimoniali, alla base della quale non vi è nello Stato richiedente una motivazione penale. Anche volendo ipotizzare l’esistenza, a torto, di una domanda di assistenza giudiziaria in materia penale, la decisione rogatoriale presenta vizi formali e materiali particolamente gravi. L’autorità rogatoriale svizzera non può delegare la decisione sulla concessione dell’assistenza ad un terzo, in concreto ad una banca, la quale se ne assume quindi la responsabilità.“
La decisione dei giudici di Bellinzona si conclude così: “Essendo i valori patrimoniali da trasmettere soltanto presumibilmente, e non manifestamente, di origine criminale, una consegna anticipata all’Italia è esclusa. Non esiste una dichiarazione di garanzia delle autorità italiane secondo la quale le persone perseguite, se dichiarate innocenti, non subirebbero nessun danno. Ma soprattutto, la consegna, a causa della costellazione giuridica in Italia, avrebbe come risultato che i valori in questione sarebbero subito convertiti, senza che vi sia una sentenza di confisca cresciuta in giudicato ed esecutiva, in obbligazioni di una società in fallimento soggetta a commissariamento straordinario. I beni patrimoniali sarebbero convertiti in titoli con valore non equivalente (presumibilmente senza valore o dal valore fortemente ridotto), ciò che costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale. Il fatto che la Procura zurighese abbia permesso alla banca, nell’ambito di una procedura rogatoriale, di trasferire i valori patrimoniali all’Italia, affinché la stessa fornisca all’Italia una prestazione rogatoriale inammissibile secondo la legge sull’assistenza giudiziaria, costituisce un aggiramento intenzionale delle regole concernenti le misure rogatoriali”.
Il paradosso e la vergogna è che mentre in Italia le figlie di Emilio Riva hanno rinunciato all’eredità del padre, ex patron di ILVA deceduto nell’aprile 2014, comprese le sanzioni e condanne subite e subende, le stesse rivendicano i soldi scoperti in Svizzera dalla Procura di Milano e la Guardia di Finanza che sarebbero frutto di evasione fiscale . Infatti dopo l’autorizzazione concessa da parte dell’autorità elvetica, i circa 1,2 miliardi di euro erano stati sequestrati su richiesta della magistratura italiana presso diversi conti della banca svizzera UBS ad alcuni componenti della famiglia Riva, ma il rientro in Italia della maxi somma di denaro era stato bloccato. A congelare il trasferimento dei fondi è stato proprio ricorso presentato al Tribunale di Bellinzona per bloccare il provvedimento col quale la Procura di Zurigo, in conformità con la richiesta della magistratura italiana, aveva disposto la revoca del blocco del denaro depositato presso Banca Ubs. L’11 maggio scorso il tribunale di Milano aveva disposto il rientro in Italia dei fondi, accogliendo la richiesta dei commissari dell’ ILVA di Taranto che grazie a quei soldi potrebbero emettere bond di pari valore per il risanamento ambientale e sanitario dell’impresa.
Il complicato iter per riportare la somma in Italia, come previsto dal decreto “Salva Ilva” convertito in legge il 3 marzo scorso, aveva quindi subito l’ennesimo stop. I soldi erano stati sbloccati il 19 giugno dalla magistratura elvetica e precedentemente erano stati sequestrati alla famiglia Riva nel 2013 per reati finanziari e valutari. Secondo l’ipotesi accusatoria, formulata dai pm Mauro Clerici e Stefano Civardi della Procura della repubblica di Milano, sarebbero dei fondi volutamente sottratti dalle casse dell’ILVA per essere poi trasferiti nell’isola di Jersey, paradiso fiscale nel canale della Manica. In particolare, secondo il Gip di Milano, quei fondi costituivano il frutto di alcuni reati commessi dagli indagati in danno della società Fire Finanziaria, poi trasformatasi in Riva Fire, quindi portati illegalmente all’estero attraverso il loro occultamento in otto trust domiciliati in un paradiso fiscale e poi fatti riemergere attraverso lo scudo fiscale del 2009 ma in maniera irregolare.
In questo filone di inchiesta risultano indagati Adriano Riva (fratello dello scomparso Emilio) e due consulenti della famiglia: Franco Pozzi ed Emilio Gnech, accusati di riciclaggio. Era stato iscritto nel registro degli indagati anche Emilio Riva, deceduto nel frattempo. Lo ha confermato l’avvocato di Lugano Elio Brunetti che ha seguito la vicenda.
La vicenda
Lo scorso maggio, il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo con un decreto aveva “sbloccato” il miliardo e 172 milioni di euro sequestrati nel maggio 2013, applicando quanto previsto dalla legge cosiddetta “Salva Ilva” che prevede un sofisticato meccanismo tecnico per permettere al colosso siderurgico italiano in amministrazione straordinaria di utilizzare quei fondi, sequestrati ai Riva e sbloccati, e destinarli al risanamento e al rilancio dell’azienda, applicando tutte le prescrizioni del Piano Ambientale. L’ordinanza del giudice era stata inoltrata dalla Procura di Milano a quella di Zurigo che, a sua volta, aveva dato l’ok al rientro dei soldi in Italia e notificato il provvedimento alla banca Ubs di Lugano dove le somme erano custodite. A quel punto l’istituto di credito avrebbe dovuto far rientrare i fondi in Italia in modo che venissero impiegati, come prevede la “Salva Ilva”, per la sottoscrizione di obbligazioni da parte dell’azienda siderurgica.
Risanamento ambientale a rischio
Lo stop arrivato dalla Svizzera è sicuramente una cattiva notizia per i commissari dell’Ilva , per il Governo, ma anche per dipendenti e ditte fornitrici dello stabilimento siderurgico. Le ultime leggi sull’ILVA, prevedevano che, il miliardo e 200 milioni dovrebbe servire a risanare sotto il profilo ambientale gli impianti del siderurgico di Taranto, adeguandolo alle prescrizioni dell’AIA (l’ autorizzazione integrata ambientale) dell’ottobre 2012, ma adesso è conseguente che , a seguito del pronunciamento dei giudici cantonali elvetici, tutto diventa più complicato. Che il rientro in Italia dei soldi sequestrati ai fratelli Riva (dei due è in vita solo Adriano mentre Emilio è scomparso ad aprile 2014) avrebbe trovato qualche ostacolo era già noto da tempo, sopratutto alla luce dei comportamenti degli eredi “double face” (in Italia scappano, in Svizzera vogliono i soldi evasi alle tasse) di Emilio Riva. Infatti, nonostante queste risorse finanziarie siano state “congelate” e destinate ai fini del risanamento ambientale dell’ILVA di Taranto (che i Riva non avevano mai fatto !) già dalla legge di giugno 2014 che ha disposto il commissariamento dell’azienda, ad oggi sono rimaste bloccate in Svizzera per la gioia dei banchieri svizzeri e della famiglia Riva. . E tutto ciò come detto nonostante la magistratura di Milano, col Gip Fabrizio D’Arcangelo, si sia pronunciato favorevolmente sia sul loro rientro che sulla destinazione agli impianti dell’Ilva di Taranto.
Le reazioni
Marco Bentivogli, Segretario generale della Fim Cisl contesta la decisione svizzera: ” E’ appena giunta la notizia che il tribunale svizzero di Bellinzona ha accolto il ricorso della famiglia Riva contro il rientro in Italia del 1.2mld sequestrati dal Tribunale di Milano.Questo pronunciamento del Tribunale è inaccettabile. Un miliardo e duecentomilioni di euro sono stati trasferiti illegalmente in Svizzera e vanno riportati celermente alla loro finalità: la bonifica e l’ambientalizzazione dell’ ILVA di Taranto. Avevamo ricevuto rassicurazioni anche all’indomani degli accordi Italia-Svizzera, ci auguriamo che ci sia appello corale affinché si riportino urgentemente quei fondi a Taranto per iniziare a bonificare i danni di un industrialismo attempato e senza scrupoli”.
Rosa D’Amato europarlamentare del M5S ha dichiarato: “‘Un miliardo e duecento milioni bloccato in Svizzera da un giudice svizzero. Una sconfitta per le aspettative del Governo e la cancellazione delle sue ambizioni di bonificatore dell’area Ilva. Quei soldi restano in cassaforte e soprattutto restano appannaggio della famiglia Riva. Uno schiaffo alla giustizia e ai tarantini, una mazzata a Renzi e alle sue decretazioni d’urgenza. Senza quei soldi i suoi propositi restano nel cassetto. Dalla Svizzera giunge oggi l’ultimo capitolo di questa farsa“
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano dopo aver appreso della decisione del tribunale federale di Bellinzona relativa al rientro dei capitali della famiglia Riva, ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
AGGIORNAMENTO
Lo scorso 3 aprile 2020 il Gip dr.ssa Raffaella Mascarino del Tribunale di Milano accogliendo la richiesta di archiviazione dei pm Mauro Clerici e Stefano Civardi della Procura di Milano, condivisa dal procuratore aggiunto dr. Maurizio Romanelli, depositata il 26 settembre 2019, ha definitivamente archiviato le posizioni processuali dei commercialisti Franco Pozzi ed Emilio Gnech, accusati nel corso delle indagini dagli organismi inquirenti di riciclaggio.