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5 Novembre 2024 05:17

Ilva, se chiude addio al porto.

Il presidente di Assoporti Daniele Rossi intervistato dal quotidiano IL TEMPO di Roma, commenta la situazione dell'Ilva di Taranto: "L'80% del traffico legato all'acciaieria", dimenticando che il Porto di Taranto ha usufruito di oltre 400milioni di euro di finanziamenti pubblici, con il risultato di aver perso molto traffico merci e container (che sono finiti a Livorno) lasciando a casa disoccupati oltre 500 lavoratori che ora vivono da due anni sostenuti dai soldi pubblici

ROMA – Con un’interessante intervista pubblicata oggi dal quotidiano romano IL TEMPO diretto dall’ottimo amico e collega Franco Bechis, il presidente di Assoporti Daniele Rossi manifesta la sua preoccupazione sul Porto di Taranto, il cui futuro è strettamente collegato all’ILVA di Taranto: “L’80% del traffico legato all’acciaieria“. Così scrive il collega Massimiliano Lenzi nell’intervista:

“Un popolo di poeti, santi e navigatori. Ma se chiuderanno le nostre fabbriche, come l’Ilva di Taranto ad esempio, dove navigheremo? E i nostri porti, che fine faranno? Su questo e sul tema del futuro dei porti italiani e della nostra industria abbiamo intervistato, buttando un’occhiata anche alla politica, Daniele Rossi, il presidente di Assoporti (l’Associazione dei porti italiani)”.

Cominciamo dalle note dolenti: se l’Ilva chiudesse quanto perderebbe il porto di Taranto?
La movimentazione di merci nel porto di Taranto, che complessivamente è di circa sedici milioni di tonnellate, è fortemente condizionata dallo stabilimento Ilva che rappresenta oggi circa il 70-80% del traffico complessivo. Ovviamente in caso di chiusura o forte ridimensionamento dello stabilimento il porto dovrebbe avviare una razionalizzazione degli spazi per favorire l’ingresso di altre attività logistiche. Operazione non semplice perché le aree e le relative infrastrutture sono concepiti per i traffici attuali, quindi sarebbe necessario un importante lavoro di adeguamento ai nuovi utilizzi. Nuovi utilizzi che comunque devono essere individuati. Da tempo il presidente del porto di Taranto, Sergio Prete, è impegnato nella ricerca di opportunità di diversificazione delle attività portuali e l’investimento della azienda turca Ylport sul Molo polisettoriale è un primo importante risultato“.

In effetti pochi si rendono conto del fallimento della “gestione Prete” in un Porto quello di Taranto che ha usufruito di oltre 400milioni di euro di finanziamenti pubblici, con il risultato di aver perso molto traffico merci e container (che sono finiti a Livorno) lasciando a casa disoccupati oltre 500 lavoratori che ora vivono da due anni sostenuti dai soldi pubblici ! E Prete ha anche il coraggio di firmare inutili ridicoli procolli d’intesa con il Comune di Taranto, la Provincia di Taranto e la Camera di Commercio. Della serie tutte “chiacchiere & distintivo” !

il presidente della provincia Gugliotti, il sindaco Melucci, il presidente della CCIAA Sportelli ed il presidente del Porto Sergio Prete sottoscrivono l’ennesimo inutile protocollo

Quello che però i colleghi del quotidiano IL TEMPO non raccontano sono i trascorsi del Presidente dell’ ASSOPORTI, Rossi, che è anche un collega di Prete, grazie alla sua nomina a presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico centro settentrionale che ha sede a Ravenna. Daniele Rossi, presidente dell’Autorità di sistema portuale, è stato iscritto lo scorso luglio nel registro degli indagati dal pubblico ministero Angela Scorza che coordina le indagini assieme al procuratore capo  Alessandro Mancini. della Procura di Ravenna in merito alla vicenda del relitto della “Berkan B”.

Daniele Rossi. interdetto dal Tribunale di Ravenna, quale Presidente dell’ Autorità di sistema portuale del mare Adriatico centro settentrionale 

Si tratta di una motonave che dal 2010 è stata lasciata in una una sorta di laguna, che si chiama canale Piomboni, adiacente al porto romagnolo e che dal 5 marzo scorso sta affondando con conseguenti problemi ambientali per l’area. Infatti c’è stato lo sversamento in acqua di una certa quantità di sostanze inquinanti. Una vicenda complessa, quella della Berkan B, nave turca che dal 2010 è posta sotto sequestro dal Tribunale civile di Ravenna.

Nel novembre del 2016, una società italiana se l’è aggiudicata all’asta giudiziaria e poi è iniziata una serie di passaggi di proprietà senza che nessuno si accollasse poi l’onere di intervenire per demolire l’imbarcazione. Una situazione poco trasparente su cui vuole fare ora chiarezza la procura che h a messo nel registro degli indagati tre persone tra cui il presidente dell’Autorità portuale Daniele Rossi che, sulla vicenda nel giugno scorso, ad alcuni giornali emiliani dichiarava: “Se avessi i pieni poteri e non dovessi rispettare tutte le leggi e le procedure necessarie in quanto amministratore pubblico, avrei già risolto il problema della Berkan B. Ma quelle leggi e quelle procedure vanno rispettate. Sono tante e sono complesse. A chiacchiere si fa presto, nei fatti quando si deve operare nel rispetto delle norme diventa tutto più complicato“.

Il vertice di Autorità Portuale è stato azzerato . Sintesi drastica ma efficace per descrivere gli effetti della misura interdittiva notificata lo scorso 10 settembre al presidente Daniele Rossi, al segretario generale Paolo Ferrandino e al dirigente tecnico Fabio Maletti.

In particolare si tratta di un anno di sospensione dalla carica: una misura cautelare emessa dal Gip Janos Barlotti su richiesta della Procura di Ravenna nell’ambito dell’indagine che vede i tre sotto accusa in concorso per inquinamento ambientale, abuso e omissione di atti d’ufficio in relazione agli effetti legati al parziale affondamento del relitto della motonave Berkan B con fuoriuscita di idrocarburi.

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