ROMA – Confermata dalle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione la sanzione disciplinare dell’ammonimento inflitta dal Csm a Michele Emiliano, magistrato fuori ruolo, attuale governatore uscente della Regione Puglia per il suo impegno continuativo nel Pd e per l’iscrizione al partito “dem”.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato da Emiliano avverso il verdetto del Csm che nel 2019 che accogliendo la richiesta della Procura Generale della Cassazione, lo aveva ritenuto responsabile e quindi “colpevole” di aver violato le regole e i “paletti” sui giudici che scendono in politica, ed in particolare di violato il divieto di iscriversi ad un partito, che vale anche per i fuori ruolo, previsto dalla legge 109 del 2006 sugli illeciti disciplinari delle toghe.
Le Sezioni unite civili della Cassazione con la loro sentenza 8906/2020 hanno contestato all’ex magistrato di aver preso la tessera di un partito, svolgendo un’attività «partecipativa e direttiva in forma sistematica e continuativa». La Suprema corte nella sua decisione ha ricordato, che la sezione disciplinare del Csm, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale, rispetto alla norma che consente ai magistrati, collocati fuori organico per motivi elettorali, di partecipare alla vita politico-amministrativa candidandosi alle elezioni, e di assumere nel caso di elezione i ruoli, sanzionando al tempo stesso le condotte legate all’essenza di quei ruoli, come l’iscrizione ad un partito. Dubbi che la Corte Costituzionale aveva risolto negando l’illegittimità.
Sentenza-Emiliano-_CassazioneLa scelta adottata dal legislatore con il Codice deontologico delle toghe è, infatti, il frutto di un bilanciamento tra il riconoscimento dei diritti fondamentali del cittadino-magistrato a manifestare le proprie idee, anche di natura politica, e la tutela del principio di indipendenza e imparzialità della magistratura. Il primo è riconosciuto a patto che venga esercitato «con l’equilibrio e la misura che non possono non caratterizzare ogni comportamento di rilevanza pubblica del magistrato».
Gli ermellini hanno negato, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di Emiliano , che la tessera del Partito Democratico fosse “coessenziale” alla candidabilità ad alcune cariche, poiché prevista dallo Statuto del Pd, come dal codice etico e dal regolamento quadro dei ”dem”. La Suprema corte infatti, evidenzia e sottolinea, che i partiti politici sono associazioni private non riconosciute, e i vari regolamenti interni, per la loro natura privatistica, non possono costituire fonti di diritto, ma restano espressione della loro autonomia. Senza contare che aderendo alla tesi del ricorso, la norma disciplinare dovrebbe ogni volta ”adattarsi” e al deliberato dei vari partiti politici.
Il divieto di iscrizione non si può considerare in contraddizione con la possibilità, riconosciuta al magistrato eletto in Parlamento, di iscriversi ai “gruppi parlamentari”, che hanno a differenza dei partiti una natura istituzionale e non privata. Concludendo i giudici di legittimità hanno evidenziato e valorizzato il dato dell’imparzialità, questo sì in contrasto con la stessa definizione di partito.
Il Costituente e il legislatore non vogliono che il magistrato abbia la tessera di un “partito”, perché sarebbe percepito dai cittadini come “uomo di parte”, e affinché «l’esercizio della giurisdizione non possa essere inteso come strumento di lotta politica».
L’adesione ad un partito secondo i giudici della Suprema Corte implica il parteggiare per la sua supremazia sugli altri. La Cassazione ha precisato che la partecipazione ai partiti politici, è un illecito disciplinare, solo se sistematica e continuativa. È quindi escluso qualunque automatismo sanzionatorio, motivo per cui il Csm deve valutare di volta in volta se la partecipazione ha il carattere previsto dalla legge.