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22 Dicembre 2024 03:07

In politica troppo affanno e senso di provvisorietà

Il fatto è che nel paese si avverte una forte domanda di stabilità. E questa stabilità avrebbe bisogno però di poggiare su politiche di coalizione che fossero organizzate un pochino meglio, così da sfuggire ai due opposti difetti che di tanto in tanto le mettono in crisi

Le due coalizioni, un po’ fittizie, che si contendono il favore degli elettori stanno entrando, tutte e due, in una fase di più accentuata turbolenza. A sinistra, nel cosiddetto campo largo (che al momento non è un campo e non è così largo), le linee di frattura sono fin troppo evidenti. La fatica di stare insieme da quella parte è quasi fisica. Nessun palco in comune, nessuna consuetudine reciproca, nessuna complicità, nessuna diplomazia. Niente che serva a lenire differenze e insofferenze che vertono su punti cruciali delle rispettive identità. Senza considerare il vero e proprio abisso che separa Pd e M5S sull’argomento cruciale dei nostri giorni. Cioè sulla guerra in Ucraina.

A destra la fibrillazione appare meno vistosa, e il doppio mastice del governo in comune e dei risultati elettorali, fin qui favorevoli, sembra lenire certe differenze tra i partiti di quella coalizione. Anche se qualche scricchiolio sta diventando ora più vistoso. A cominciare dal pasticcio del Mes, che tra qualche tempo dovrà essere votato. E proseguendo con l’autonomia differenziata delle regioni che non potrà non mettere a confronto, prima o poi, due diverse idee dello Stato e del Paese -o nazione che dir si voglia.

Ora, è evidente che l’avvicinarsi del voto europeo, che sarà conteso sulla base di una purissima legge elettorale proporzionale, sembra fatto apposta per allargare il solco tra alleati in competizione. Ma forse c’è qualcosa di più che complica la vita delle coalizioni. Ed è l’affanno, la precarietà, e quasi il senso di provvisorietà, che pende da tempo sui destini della politica dei nostri giorni. Come se ognuno dei protagonisti avvertisse su di sé la fuga del tempo. E cioè la estrema mutevolezza con cui l’opinione pubblica giudica (e spesso condanna) le evoluzioni delle forze in campo. Eravamo abituati all’immobilismo della prima repubblica, che infine ne condannò i protagonisti. E siamo successivamente precipitati, dopo molte peripezie, verso una sorta di fibrillazione permanente -assai spesso piuttosto inconcludente.

Le stesse forze di centro, che sulla carta avrebbero dovuto ereditare la saggezza un po’ sonnacchiosa del passato, hanno appena offerto a loro volta lo spettacolo non proprio edificante dei loro stessi litigi. Quasi accentuati dalla piccolezza numerica delle loro due formazioni principali. Una cattiva abitudine che si perpetua ormai a ogni latitudine del nostro pianeta politico di casa.

E’ possibile insomma che questo sia il nostro destino, e che ci si debba abituare a questa sorta di ballo di San Vito che costringe i leader del nostro tempo a ripetere quotidianamente la fatica di Sisifo. Ma mentre a Camus piaceva immaginare che, alle prese con quel masso da portare in cima e vedere poi precipitare a valle, l’eroe mitologico dovesse essere “felice”, è assai più dubbio che la nostra felicità pubblica possa essere garantita da questo continuo fare e disfare coalizioni attraversate da così tante divisioni.

Il fatto è che nel paese si avverte una forte domanda di stabilità. E questa stabilità avrebbe bisogno però di poggiare su politiche di coalizione che fossero organizzate un pochino meglio, così da sfuggire ai due opposti difetti che di tanto in tanto le mettono in crisi. Da un lato appunto l’eccesso di litigiosità che oppone gli alleati tra di loro. Dall’altro l’eccesso di leadership che pretende di allineare i partiti secondo gli ordini del loro stesso capo. Una sorta di derby tra il principio di semplificazione caro a chi guida e l’attitudine alla complicazione cara a chi segue.

E’ un problema che ci trasciniamo appresso da tempo immemorabile. Le coalizioni centriste di una volta, da De Gasperi in poi, traballarono fin dal primo giorno a seconda dei movimenti tellurici dei partiti e delle correnti dell’epoca. E anche Berlusconi e Prodi, si sa, ebbero il loro daffare con i “cespugli” di allora. Così, l’altalena tra leader troppo assertivi e partiti troppo poco disciplinati sembra quasi un destino a cui non è mai possibile sottrarsi.

In Germania il problema fu risolto a suo tempo con un contratto. Quando democristiani e socialdemocratici furono costretti dai numeri ballerini a collaborare per qualche anno si diedero a redigere con teutonica precisione un documento programmatico di decine e decine di fogli. Con la pretesa (o forse l’illusione) di fissare una volta per tutte diritti e doveri di ciascuno dei soci della Grosse Koalition.

C’è qualche dubbio che una procedura del genere possa funzionare dalle nostre parti, laddove la politica ha molto più estro e molta meno regolarità. Resta il fatto che tra la stabilità che dovrebbe far funzionare le coalizioni e il protagonismo che dovrebbe tenere in vita i partiti, prima o poi un compromesso andrà trovato.

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