ROMA – Si è svolta nell’aula bunker del carcere di Trani l’ultima udienza dibattimentale del Processo “Pandora” che vede coinvolti quasi novanta imputati, presunti appartenenti alla mafia barese. Il nome, “Pandora”, scelto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Bari, fa riferimento al nome del mitologico vaso greco in cui sarebbero racchiusi tutti i mali.
L’inchiesta diretta dalla DDA di Bari è arrivata in aula nel Tribunale del capoluogo pugliese lo scorso 20 maggio 2019, con un giudizio di rito abbreviato che vedeva coinvolti i presunti affiliati ai “clan” Diomede-Mercante e Capriati di Bari, accusati di associazione mafiosa pluriaggravata, tentato omicidio, rapina, furto, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale.
I clan attuavano i rituali camorristici di affiliazione che venivano diretti ed organizzati dai loro membri che all’interno del sodalizio rivestivano la qualità di “padrini” a favore dei “figliocci”, attraverso le cerimonie liturgiche del “battesimo”, con il quale viene conferita la “personalità mafiosa” necessaria per agire nell’ambito del consorzio con pienezza di diritti e doveri; il “movimento” con il quale all’affiliato viene conferita la “dote”, cioè la promozione ai vari gradi superiori, eseguito necessariamente con la partecipazione di altri soggetti “attivati”, funzionali a stabilire un posizionamento nell’organigramma del clan, entrambe celebrate da un organismo, denominato “capriata”; dall’uso interno e dalla rappresentazione esterna della metodologia mafiosa e dall’oggettiva forza intimidatrice esercitata dal sodalizio sul territorio..
Visto l’alto numero di imputati le udienze si sono svolte utilizzando il servizio di multivideoconferenza che ha consentito a 88 detenuti di alta sicurezza di poter essere contemporaneamente video-collegati dai rispettivi penitenziari, spostando le udienze nell’aula bunker del carcere di Trani predisposto per questo tipo di dibattimento. Il lavoro di preparazione durato circa tre settimane, ha visto coinvolti gli istituti penitenziari, la Dgsia e l’ufficio multivideoconferenze del Dap coordinato dall’Ispettore Superiore Luigi Chiani, ed ha reso possibile di seguire simultaneamente su 20 monitor gli 88 detenuti, collegati da 27 siti diversi.
L’udienza camerale senza pubblico si è svolta quindi a porte chiuse alla presenza esclusiva di giudici e avvocati. Sull’ampliamento del sistema di videoconferenza nei processi ha molto insistito Francesco Basentini, capo del DAP, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria .
In sede di requisitoria, i magistrati della Procura barese hanno evidenziato gli straordinari numeri dell’imponente sforzo investigativo. dell’ Arma dei Carabinieri istruito con grande professionalità attraverso la raccolta, integrazione e analisi di una imponente molteplicità di fonti, di dati e di elementi di prova come oltre 180 provvedimenti giudiziari (ordinanze e sentenze); 91 utenze telefoniche intercettate; 45 intercettazioni ambientali; 88 interrogatori di collaboratori di giustizia; 68 servizi di osservazione e pedinamento, svolti dai Carabinieri del ROS; 3 servizi di videosorveglianza fissi; 750 riscontri e 250 accertamenti anagrafici; 300 controlli di polizia sul territorio; centinaia di epistole analizzate, acquisite o sequestrate; emissione di 68 decreti di Sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Novanta condanne a pene tra i 12 anni e i 16 mesi e una assoluzione. Alla lettura del dispositivo di sentenza del giudice dell’udienza preliminare di Bari Rossana de Cristofaro nell’ambito del processo “Pandora”, hanno assistito anche il procuratore capo di Bari Giuseppe Volpe, insieme ai pm Lidia Giorgio e Renato Nitti che hanno coordinato le indagini dei Carabinieri del Ros .
Le indagini dei Carabinieri del Ros hanno documentato le attività criminose svolte in un decennio di affari illeciti e le ramificazioni nell’intera regione dei due clan, federati tra loro, che si estendeva da Bitonto a San Severo, passando per Altamura, Gravina, Valenzano, Triggiano e il Nord Barese, portando alla luce anche i collegamenti con le altre organizzazioni criminali pugliesi, oltre a rapporti d’affari con ‘Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra per l’approvvigionamento della droga.
Tra le condanne più “pesanti” quelle inflitte nei confronti dei “boss” di Bari e Bitonto Nicola Diomede (11 anni e 4 mesi) e Domenico Conte (10 anni e 8 mesi) e del pregiudicato Gioacchino Baldassarre (12 anni), ritenuti i capi organizzatori dei due gruppi criminali. Il gup Rossana de Cristofaro ha condannato gli imputati anche al risarcimento danni, da dovranno essere quantificati in sede civile, nei confronti delle parti civili costituitesi nel processo, il Comune di Bari assistito dall’avvocato Giuseppe Buquicchio, Comune di Terlizzi , e l’associazione Antiracket di Molfetta.
Oltre 700 gli anni di carcere, con pene che vanno da un minimo di 4 anni e 6 mesi ad un massimo di 11 anni e 4 mesi . 51 degli imputati sono stati condannati in quanto riconosciuti appartenenti all’associazione mafiosa denominata “clan Mercante-Diomede”, 36 imputati, riconosciuti appartenenti all’associazione mafiosa denominata “clan Capriati”;