ROMA – Michele Emiliano, magistrato in aspettativa ed attuale presidente della Regione Puglia, ed il suo capo di gabinetto Claudio Stefanazzi e altre tre persone sono indagati per una vicenda che riguarda la campagna per le primarie nazionali del Pd del 2017. I reati ipotizzati dalla Procura della Repubblica di Bari sono di “abuso d’ufficio“, “induzione indebita a dare o promettere utilità” e “false fatture”. La vicenda è venuta alla luce a seguito della perquisizione subita ieri mattina dal governatore e dal suo capo di gabinetto ad opera della Guardia di Finanza. Le Fiamme Gialle hanno acquisito il contenuto di alcune chat e di alcune email.
L’indagine della Guardia di Finanza di Bari, affidata alla pm Savina Toscani e coordinata dal procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno, coinvolge tre imprenditori, i due fratelli baresi Sebastiano e Vito Ladisa titolari una azienda barese di ristorazione che avrebbe finanziato con 65mila euro parte della campagna elettorale per le primarie del Pd del 2017 e un altro, titolare della agenzia di comunicazione torinese Eggers che fa capo a Pietro Dotti, creditrice della somma, che curò quella campagna. Nell’ambito dell’indagine, i finanzieri baresi oggi hanno acquisito documentazione nella sede della presidenza della Regione Puglia. Ai pubblici amministratori la magistratura barese contesta i reati di induzione indebita in concorso con gli imprenditori e abuso d’ufficio, ai soli imprenditori le false fatture fatte per giustificare quel pagamento.
Nel pomeriggio di ieri è stato lo stesso Emiliano a darne notizia con un comunicato a rendere noto che si era rivolto , a sua volta, agli uffici della Procura di Bari per denunciare la violazione del segreto istruttorio in quanto lunedì mattina, 8 aprile, un giornalista aveva anticipato a Emiliano la visita della Guardia di Finanza per il giovedì successivo (quindi oggi) , ma i militari hanno anticipato l’operazione. “Lunedì 8 aprile sono infatti venuto a conoscenza che giovedì 11 sarei stato oggetto di una attività di acquisizione di documenti e dati da parte della GdF in relazione ai finanziamenti percepiti in occasione della mia campagna per le primarie del Pd del 2017” scrive Emiliano.
“La fuga di notizie in piena violazione del segreto istruttorioprecisava ulteriori fatti e circostanze. Abbiamo fornito piena collaborazione – ha aggiunto il governatore pugliese – al fine di consentire l’acquisizione di tutti gli elementi utili, nella convinzione di avere operato con assoluta correttezza e rispetto delle leggi. Questa mattina alle ore 9, come anticipato dalla fonte indicata al Procuratore della Repubblica il giorno prima la Guardia di Finanza di Bari mi chiedeva di potere verificare alcune chat del mio telefono e mail relative agli scambi di messaggi con alcuni soggetti di interesse dell’ufficio. Contemporaneamente identica acquisizione è stata effettuata al mio Capo di Gabinetto“.
Emiliano ha spiegato che “la questione attiene a verifiche sulla natura dei pagamenti di una società di comunicazione che ha curato parte della mia campagna elettorale e con la quale era insorto un contenzioso giudiziario“. La contestazione rivolta agli indagati è che i fratelli Sebastiano e Vito Ladisa , titolari di una grande azienda di preparazione di pasti, su pressione del Presidente della Regione Puglia e del suo capo di gabinetto Stefanazzi, sarebbero stati indotti a pagare la campagna elettale di Michele Emiliano all’agenzia di comunicazione Dotti di Torino. Secondo la tesi difensiva sostenuta dai collaboratori di Michele Emiliano che seguono da vicino la vicenda, il governatore si sarebbe rivolto all’azienda torinese e questa avrebbe preparato una campagna di comunicazione. A pagare il conto si sarebbe offerto l’avvocato foggiano Giacomo Pietro Paolo Mescia, da sempre puntuale “sponsor” di Emiliano ed il governatore pugliese avrebbe accettato il contributo del legale.
Il legale foggiano tramite una sua società la Margherita srl, proseguono i collaboratori di Emiliano avrebbe anticipato, con 20 mila euro, parte del pattuito, ma successivamente, lo staff di Emiliano avrebbe scoperto che la campagna di comunicazione preparata era la stessa predisposta alcuni mesi prima per Debora Serracchiani l’ex vice segretaria del Pd ed ex presidente del Friuli Venezia Giulia e da qui sarebbe nato il contenzioso : la richiesta della società torinese di incassare quanto pattuito; la contestazione di Emiliano secondo il quale i 20mila euro pagati da Mescia bastavano ed avanzavano. Da questo contenzioso era scaturita l’emissione di un decreto ingiuntivo richiesto al Tribunale dalla società piemontese. A causa di tutto ciò sostengono i collaboratori di Emiliano, con la lettura del decreto ingiuntivo tutto era noto, anche i pagamenti dell’avvocato foggiano. Una teoria poco credibile in quanto il decreto ingiuntivo lo conoscono solo gli attori: cioè chi chiede il pagamento e la controparte.
La società Margherita srl secondo l’ipotesi di accusa della Procura di Bari aveva ottenuto il 22 settembre 2016 l’autorizzazione unica per installare un parco eolico da 30 MW nel territorio di San Severo, impianto in attesa di autorizzazione fin dal 2009: l’accusa ritiene che l’autorizzazione e il contributo elettorale possano in qualche modo essere collegati.
L’ avvocato Mescia al momento non risulterebbe coinvolto nell’indagine, che viene coordinata dal procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno. L’ ipotesi di reato accusatoria, invece, si basa sulla circostanza che i fratelli Ladisa avrebbero pagato la somma reclamata dall’imprenditore torinese Pietro Dotti , “sollecitati” dal governatore e dal suo capo di gabinetto. Agli imprenditori baresi coinvolti vengono contestate le false fatture, emanate per giustificare il pagamento.
“Avere appreso preventivamente di atti giudiziari che poi effettivamente si sono svolti così come mi era stato anticipato – dichiara Emiliano nel comunicato di ieri pomeriggio – mi ha molto colpito. Mi auguro che tale circostanza consenta alla procura della Repubblica di Bari di accertare sino in fondo la verità a tutela mia personale, della funzione da me esercitata e soprattutto della comunità che rappresento“.
Emiliano però si guarda bene dal raccontare perchè chieda a due imprenditori che forniscono i propri servizi a molteplici enti pubblici, di pagare la sua campagna elettorale. E forse sarebbe il caso di scavare anche nel passato. La legge è e deve essere uguale per tutti. Sopratutto per Michele Emiliano. Il fatto che sia venuto a conoscenza in anteprima tramite un giornalista barese delle mosse della polizia giudiziaria a suo carico è un fatto ancora più inquietante di quanto gli viene contestato.
Ci auguriamo quindi di sapere anche chi è il giornalista che ha “spifferato” l’inchiesta al governatore pugliese. Anche se il Consiglio di disciplina dell’ Ordine dei Giornalisti di Bari, spesso e volentieri dorme… sulle questioni deontologiche, al punto tale che sarebbe opportuno un intervento del Ministero di Giustizia. E’ il tempo di mettere fine a certi abbracci fra giornalisti, politici e magistrati “deviati”.