di GIANNI DRAGONI
Il commissariamento dell’Inpgi è sempre più vicino. La presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, alza le mani e ammette: “Questa potrebbe essere l’ultima relazione al bilancio firmata da un presidente eletto. La scadenza del 30 giugno si sta avvicinando pericolosamente senza che una reale soluzione al deficit strutturale dell’Istituto sia stata individuata concretamente: a quella data lo “scudo” che ci protegge da un’eventuale ipotesi di commissariamento non sarà più efficace”.
Perdite record
Si apre con queste parole la relazione della presidente al bilancio consuntivo 2020 dell’Inpgi. Parliamo della gestione principale o Inpgi 1. La perdita di esercizio del 2020 è -242,2 milioni di euro, con un peggioramento di -70,8 milioni rispetto al disavanzo del 2019 (era -171,4 milioni). La gestione previdenziale (che comprende anche l’assistenza) ha una perdita di 188,4 milioni, in peggioramento di 34,3 milioni rispetto alla perdita del 2019 (era -154,1 milioni). Per entrambi i risultati si tratta del record negativo nella storia dell’Inpgi.
Rischio di rimanere senza liquidità
Ma il dato più drammatico è che la quota del patrimonio investito che può essere venduta rapidamente si sta pericolosamente assottigliando, gli investimenti finanziari mobiliari, si è ridotta l’anno scorso da 369 a 217 milioni a fine 2020 (esclusi gli immobili). Pertanto l’Inpgi rischia già nel corso del 2022 di trovarsi a secco, senza soldi per pagare le pensioni, a meno che non recuperi nuove entrate oltre ai contributi che già incassa.
Approvazione a maggioranza
Il bilancio è stato approvato a maggioranza dal consiglio generale Inpgi, in videoconferenza. La seduta è stata in modalità virtuale, ma le perdite di esercizio e l’abbattimento patrimoniale dell’Inpgi sono, purtroppo, reali. Dati che mettono a nudo una situazione drammatica, vista anche la mancanza di efficaci rimedi contro una crisi che, sappiamo bene, deriva dal crollo dell’occupazione giornalistica.
Prosegue il calo dell’occupazione
“Nel frattempo la crisi dell’editoria non è certo migliorata, né purtroppo, affrontata in alcuna sede”, dice la relazione della presidente Inpgi. “Nel 2020 l’Istituto ha perso altri 855 rapporti di lavoro attivi che si aggiungono agli 865 persi nel 2019”. Il bilancio dice che “i rapporti di lavoro in essere alla fine dell’esercizio, come valore medio da gennaio a dicembre 2020 sono 14.829, con una diminuzione media annuale di 624 rapporti rispetto al valore dell’anno 2019”. Il rapporto tra giornalisti iscritti attivi e i pensionati ha continuato a scendere, è passato da 1,59 del 2019 a 1,53 del 2020. Un dato che certifica il fortissimo squilibrio, perché un rapporto sano per rendere sostenibile la previdenza è di 3 a uno tra attivi e pensionati.
Pagati oltre 500 milioni di ammortizzatori sociali in dieci anni
Cosa propone l’Inpgi per evitare il commissariamento? Solo palliativi, anche se, dopo i ritardi di anni nell’intervenire, ormai lo spazio di manovra dell’istituto è limitatissimo. Macelloni dice che il cda “ha adottato alla fine di gennaio una delibera di impegno a varare una serie di misure che incidono sia sulle entrate sia sulle uscite e che porteranno nelle casse dell’istituto circa 20 milioni all’anno. La deliberà dovrà essere finalizzata ma già sappiamo che non sarà sufficiente e non escluderà il rischio di commissariamento”. Aggiunge la relazione della presidente: “Tagli ulteriori rispetto a quelli immaginati sarebbero non solo inefficaci ma anche fortemente punitivi nei confronti di una categoria che negli ultimi dieci anni ha pagato di tasca propria oltre 500 milioni di ammortizzatori sociali e che vede il proprio lavoro continuamente svilito e le prospettive di futuro sempre più incerte”.
La gestione previdenziale
Nel bilancio 2020 i costi della gestione previdenziale sono pari a 564,4 milioni, 6,38 milioni in più del 2019 (+1,14%). I ricavi della gestione previdenziale e assistenziale sono pari a 375,95 milioni, in calo di 27,96 milioni rispetto al 2019 (-6,9%). Per arrivare al risultato finale bisogna aggiungere a questi costi e ricavi i risultati della gestione patrimoniale, i costi di struttura, tra cui i costi del personale, le tasse. Concentriamoci sulla perdita di gestione, quella di -188,4 milioni: è pari alla metà di quanto incassa la gestione previdenziale (375,95 milioni). I costi sono pari al 150% dei ricavi (138% nel 2019). Se fosse un’azienda, sarebbe come se per ogni euro che incassa spendesse un euro e mezzo. Facendo un puro esercizio matematico, in base a queste cifre per pareggiare i conti tra entrate e uscite della gestione previdenziale l’Inpgi dovrebbe o tagliare di un terzo la spesa per tutte le pensioni o aumentare del 50 per cento i ricavi, cioè i contributi versati da imprese editoriali e giornalisti, oppure fare una combinazione tra queste misure.
Ogni 100 euro di contributi incassati se ne spendono 160 per le pensioni
Esaminando solo la gestione previdenziale Ivs (Invalidità, superstiti, vecchiaia), che secondo l’Inpgi “rappresenta il dato fondamentale per l’analisi della gestione”, i risultati sono ancora peggiori. I ricavi della contribuzione Ivs obbligatoria, comprensiva dei riscatti e ricongiunzioni, sono pari a 340,6 milioni (in calo rispetto ai 360,3 milioni del 2019), mentre la spesa pensionistica è pari a 545,6 milioni (in aumento dai 535,9 milioni del 2019). Questo determina un disavanzo di 205 milioni (peggiore dei -175,6 milioni del 2019). I costi della gestione Ivs sono pari al 160% dei ricavi, cioè ogni 100 euro di contributi incassati l’Inpgi ne spende 160 per pagare le pensioni (erano 149 euro nel 2019).
Le colpe della Fnsi e degli editori
La crisi dell’Inpgi, come detto, deriva dal crollo dell’occupazione giornalistica. Ma si accompagna a una compiacente politica sindacale della Fnsi che da molti anni, almeno a partire dal 2009, ha consentito agli editori di scaricare sull’Inpgi i costi delle ristrutturazioni, anche di quelle selvagge fatte in nome di crisi “prospettiche”, cioè basate solo su previsioni degli stessi editori. Così la prima missione di molti editori oggi non è quella di investire nei contenuti, innovare, preoccuparsi di come reggere all’urto dei gruppi “over the top” (facciamo un nome per tutti, Google) che stravolgono le regole di una corretta competizione nel mercato dell’informazione, ma lo svuotamento delle redazioni, la cacciata dei giornalisti, con massiccio ricorso alla cassa integrazione, ai prepensionamenti, all’incremento di “nuovi” rapporti di lavoro precari e mal pagati. Una politica al ribasso.
Ritardi negli interventi
La maggioranza che comanda nel sindacato è la stessa che da decenni esprime anche la gestione dell’Inpgi. E’ bene ricordare, per evitare tentativi di riscrivere la storia, che la gestione previdenziale e assistenziale dell’Inpgi è in passivo a partire dal 2011, dunque nel 2020 sono stati collezionati dieci anni consecutivi di perdita della gestione. Ma già dal 2008 erano visibili le prime crepe, perché nelle proiezioni si stava azzerando quello che era un attivo della gestione previdenziale di circa 100 milioni l’anno. Nonostante la crisi dell’occupazione, bisognava intervenire prima per correggere le regole della previdenza. Invece una riforma con un qualche effetto è stata approvata dal cda Inpgi solo nel settembre 2016. Ormai troppo tardi. Nei bilanci dal 2013 al 2016 l’Inpgi ha tentato di coprire i buchi di gestione con una cosmesi contabile, con la rivalutazione degli immobili conferiti al Fondo Giovanni Amendola, calcolando plusvalenze con l’allineamento dei valori a quelli stimati di mercato. Plusvalenze solo cartaceee, perché gli immobili sono rimasti dentro un contenitore, il Fondo Amendola, che appartiene al 100% all’Inpgi. Una parte sono stati poi venduti, ma con quotazioni cedenti che hanno fatto emergere minusvalenze. E molti appartamenti rimangono sfitti, l’Inpgi (e la società che gestisce il fondo) non li affitta per non dover riconoscere in caso di vendita lo sconto agli inquilini. Così il rendimento del patrimonio immobiliare è drammaticamente crollato. Ma c’è un’altra distorsione: il patrimonio immobiliare negli enti previdenziali è stato “costruito” con investimenti a tutela e garanzia delle future prestazioni. E’ un errore tentare di liquidarlo in pochi anni per pagare le spese correnti, come ha deciso di fare l’Inpgi.
I prepensionamenti saliti a 1.145
Una mazzata ai conti dell’Inpgi è stata inferta dai prepensionamenti, supinamente accettati dalla Fnsi e da molti comitati di redazione delle imprese editoriali. Alla data di chiusura del bilancio 2020 – dice la relazione – “sono stati liquidati complessivamente 1.145 prepensionamenti, di cui 24 nell’esercizio in esame”, 15 nell’anno precedente. L’onere complessivo anticipato dall’Inpgi l’anno scorso è stato di 23,4 milioni (29,3 milioni nel 2019) “interamente coperto dal finanziamento da parte dello Stato”, dice l’istituto. La relazione precisa che la legge ha posto l’onere dei prepensionamenti “a carico dello Stato a partire già dall’anno 2009”. “A decorrere dall’anno 2014 i prepensionamenti sono stati rifinanziati con le leggi 114/2014, 232/2016, 96/2017 e 160/2019 che hanno aumentato gli importi a carico dello Stato in maniera progressiva, prima crescente e poi decrescente, fino all’anno 2027”. Per il 2020 il finanziamento è stato pari a 44 milioni. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, che il bilancio non dice. I prepensionamenti (ora consentiti a partire dal compimento dei 62 anni di età) fanno perdere contributi preziosi all’Inpgi e aumentano la durata nel tempo dell’erogazione delle pensioni a chi lascia il lavoro prima dell’età di vecchiaia (oggi 67 anni), per cui l’istituto subisce un onere molto elevato. Il bilancio però non lo quantifica, neppure per stime.
Contratti di solidarietà per 2.589 giornalisti
Per gli ammortizzatori sociali il bilancio dice che nel 2020 sono stati spesi 12,47 milioni per gli indennizzi (17,23 milioni nel 2019), la somma più alta è per i trattamenti di disoccupazione (5,54 milioni), seguita dai contratti di solidarietà (3,4 milioni). I giornalisti che hanno avuto la Cigs per contratti di solidarietà sono stati 2.589 nel 2020 (2.560 l’anno precedente).
Patrimonio investito diminuito di 224 milioni a 980 milioni
Solo un immobile è rimasto di proprietà diretta dell’Inpgi, a Napoli in via Santacroce 40, tutti gli altri sono nel Fondo Amendola che è contabilizzato nel patrimonio finanziario. Il risultato della gestione immobiliare è negativo, -37.535 euro, saldo tra 178.325 euro di proventi e 215.678 di costi. Secondo l’Inpgi questo immobile ha un valore di bilancio di 5,18 milioni ed è in attesa di autorizzazione della soprintendenza delle Belle arti per il conferimento al Fondo, con un”valore di mercato” stimato dall’Inpgi di 7,68 milioni. Il patrimonio investito totale dell’Inpgi secondo il bilancio 2020 ha un un valore di mercato di 980,4 milioni, inferiore di 224,4 milioni al valore di mercato del 2019 (1.204,9 milioni). Nel 2016 il patrimonio era a bilancio per un valore di mercato di 1.741 milioni. Questa forte contrazione del valore è causata soprattutto dalla vendita ogni anno di quote di fondi d’investimento, sono stati ceduti anche immobili, fatta dall’istituto per coprire le perdite di gestione.
Bruciate risorse finanziarie per 210 milioni
La relazione dice che “la gestione reddituale dell’esercizio ha comportato un assorbimento di risorse finanziarie per 209,57 milioni (anno precedente 140,4 milioni), coperto dall’afflusso di risorse derivanti dalla vendita di titoli finanziari del patrimonio immobilizzato e dell’attivo circolante”. E’ come se un padre di famiglia avesse venduto dei Btp, quote di fondi o azioni in cui negli anni ha investito i risparmi per finanziare le spese di mantenimento della famiglia. A poco a poco il patrimonio si esaurisce e la famiglia finisce sul lastrico. Di questo passo, il patrimonio finanziario dell’Inpgi si esaurirebbe nel giro di 4-5 anni. Ma poiché dentro i 941 milioni di portafoglio ci sono anche i fondi immobiliari (per 724 milioni), difficili da vendere (salvo svendite), gli investimenti finanziari mobiliari, i più facili da liquidare, ammontano a solo 217 milioni. Pertanto la liquidità effettiva su cui l’Inpgi può contare, se anche quest’anno dovrà vendere titoli con lo stesso ritmo del 2020, molto probabilmente non consente più di un anno di vita. Cioè già nel corso del 2022 l’Inpgi potrebbe rimanere a secco, senza soldi, a meno di ulteriori dismissioni immobiliari o di nuove entrate che non sappiamo da dove possano arrivare. Questo è probabilmente il dato più drammatico che emerge da questo bilancio.
Rendimento negativo del portafoglio mobiliare
Il patrimonio investito è composto da 31,65 milioni di residui finanziamenti (mutui e prestiti), 7,68 milioni da immobili (quello di Napoli citato), mentre il portafoglio ha un valore di mercato di 941 milioni, in calo rispetto a 1.155,8 milioni del 2019, è composto da 724 milioni di investimenti finanziari immobiliari e 216,9 milioni di investimenti finanziari mobiliari. La relazione dice che questo valore (cioè 941 milioni), confrontato con il valore di bilancio (pari a 986,3 milioni) “conduce a una minusvalenza implicita netta dell’anno pari a 45,2 milioni”. Secondo la relazione nel portafoglio mobiliare, che è composto da quote in fondi d’investimento (immobiliari come il Fondo Amendola, oppure fondi azionari, obbligazionari e private equity), nell’anno c’è stata una minusvalenza netta, determinata dalla differenza tra le minusvalenze del comparto immobiliare per 77,6 milioni, al netto delle plusvalenze nel comparto titoli detenuti presso la Sicav lussemburghese pari a 19,6 milioni e dalle plusvalenze nel comparto del private quity pari a 12,7 milioni. Il rendimento finanziario del portafoglio mobiliare, che comprende anche il Fondo Amendola, è negativo, “è stato pari a -1,29%”, mentre nel 2019 era stato del 5,06 per cento. Il risultato contabile economico di bilancio del portafoglio titoli è negativo per -7,4 milioni (rispetto a un utile di 5,4 milioni nel 2019). Su questo risultato incidono svalutazioni per 12,13 milioni, si riferiscono al Fondo Amendola per 9,29 milioni e “ad un altro fondo di private equity” per 2,84 milioni.
Costi di struttura pari a 23,7 milioni
I costi di struttura ammontano a 23,7 milioni complessivi, 560.611 euro in meno rispetto al 2019. Per il personale la spesa è di 16,83 milioni (45.605 euro in più del 2019), a fine 2020 il personale amministrativo era di 188 dipendenti, 7 in meno dell’anno precedente, tra cui un dirigente. Per gli organi dell’ente la spesa è di 1,32 milioni, aumentata di 196.552 euro, “influenzato dall’onere straordinario per l’espletamento delle elezioni degli organi statutari, pari a 270mila euro”. I costi complessivi per i componenti degli organi statutari, per indennità, rimborsi trasferte e spese di rappresentanza, ammontano a 1,049 milioni. Il bilancio dice che c’è stato un “aumento dei compensi ed indennità degli organi collegiali”. Uno spaccato di questi costi mostra 628.704 euro per compensi ed indennità agli organi collegiali (21.877 euro in più del 2019), 234.543 euro per il collegio sindacale (-1.923 euro), 100.418 euro per rimborsi spese organi colelgiali e collegio sindacale (-96.981 euro).
Al sindacato e associazioni stampa 2,47 milioni
Resiste, incomprimibile alla crisi in cui versa l’Inpgi, la tassa su tutti i giornalisti costituita dai costi per “servizi resi dalle associazioni regionali della stampa e dalla Fnsi”, pari a 2,47 milioni, identica all’anno precedente. Una quota di tali costi è stata addebitata alla gestione separata o Inpgi 2, per 1,131 milioni (810mila nel 2019). In questo modo anche i non iscritti al sindacato pagano i costi per “servizi resi” (non meglio specificati nella relazione di bilancio) da Fnsi e associazioni regionali.
La riserva tecnica copre solo 2,1 annualità di pensione
Il patrimonio netto contabile si è ridotto da 1.402,7 a 1.160,5 milioni, dopo la copertura della perdita dell’esercizio. La riserva legale Ivs, che costituisce la riserva tecnica, dopo l’utilizzo per la copertura del disavanzo di gestione 2020 si è ridotta a 1.144,09 milioni. Copre solo poco più del costo di due annualità di pensione corrente (pari a 545,6 milioni nel 2020) , l’indice è 2,097, inferiore al valore del 2019 che era 2,587. La copertura peggiora e non raggiunge l’obbligo di 5 annualità di pensione previsto dalla legge del 1994 (art. 1, comma 4, punto c) del D. Lgs. numero 509/1994). L’Inpgi però, con il consueto cavillo legale, un escamotage interpretativo, sostiene che la legge è rispettata perché prende come riferimento l’annualità di pensione del 1994 “così come chiarito dalle disposizioni contenute nella legge 449/97”. Sorprendente: per calcolare la capacità di copertura della riserva tecnica nel 2020 si prendono i dati di 26 anni prima! E’ come se si pretendesse di comprare una casa o fare la spesa oggi pagandola ai prezzi del 1994. L’annualità di pensione nel 1994 era di 149,2 milioni, mentre nel 2020 è di 545,6 milioni. Eppure l’Inpgi, con nonchalance, nella relazione afferma che “il rapporto tra la riserva Ivs, dopo la copertura del disavanzo d’esercizio e l’annualità di pensione al 31/12/1994 pari a 149,2 milioni, passa da 9,289 dell’anno precedente a 7,666 dell’anno in esame”.
Aumentano i debiti tributari
I debiti tributari aumentano da 25,2 a 49,8 milioni a causa del debito residuo (23,9 milioni) per un accertamento tributario per imposte Ires relative ad esercizi precedenti (2014-2018) avvenuto nel 2020. Il Cda dell’Inpgi in luglio ha aderito all’accertamento e ha cominciato a pagare, il pagamento avverrà a rate fino al 2024. Gli altri debiti sono composti dai versamenti dovuti al fisco per pensioni e stipendi pagati a dicembre 2020, i versamenti vengono fatti nel 2021.
L’attività di vigilanza antievasione è diminuita
L’attività ispettiva ha visto un crollo di quasi l’80% dell’importo dei contributi evasi e omessi accertati nel corso dell’esercizio: 1,266 milioni di contributi evasi rispetto ai 6,38 milioni del 2019 e sanzioni civili per 489mila euro rispetto a 2,06 milioni del 2019. In totale 1,755 milioni di importi accertati da ispezioni, -79,2% rispetto all’anno precedente (pari a 6,68 milioni di euro in meno di accertamenti). L’Inpgi dice che lo stato di emergenza a causa del Covid “ha profondamente inciso anche sulle attività ispettive svolte dai funzionari dell’stituto”. Con il Covid, insomma, gli evasori l’hanno fatta franca.
Inpgi 2 in attivo, patrimonio a 724 milioni
Sono positivi i conti della gestione separata, Inpgi 2, che però eroga pensioni infime, a causa della modestia dei contributi versati. Il bilancio di Inpgi 2 è in utile per 26,12 milioni, in forte calo rispetto ai 76,88 milioni del 2019. Anche la gestione previdenziale ha visto ridursi l’utile da 45,7 a 39,6 milioni. Aumenta il valore di mercato del patrimonio investito (portafoglio mobiliare), da 652,4 milioni del 2019 a 723,8 milioni a fine 2020. Quest’anno potrebbe esserci il sorpasso: il valore di mercato del patrimonio investito di Inpgi 2 potrebbe superare quello di Inpgi 1.