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22 Luglio 2024 13:57
22 Luglio 2024 13:57

Intercettazioni, inchieste antimafia, indagini sulla magistratura: parla il procuratore di Potenza Francesco Curcio

Francesco Curcio, classe 1956, un magistrato dalla faccia e dai modi gentili, quando c’è da fare il magistrato, non guarda in faccia a nessuno indagando su politici, imprenditori e magistrati. Dopo averlo criticato (è il nostro lavoro) senza alcuna motivazione preconcetta o astio personale lo abbiamo incontrato ed intervistato.

Francesco Curcio è a capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza. Originario di Polla (Salerno), già magistrato della Procura Nazionale Antimafia, è stato in passato sostituto alla procura di Napoli. Ha indagato sulla P4, sulla compravendita dei senatori e su Finmeccanica, ed ha condiviso la titolarità di queste inchieste con il collega Henry John Woodcock. È stato anche titolare di indagini sui vertici dei Casalesi e sui rapporti tra il clan del boss Michele Zagaria e la Banda della Magliana nelle attività di riciclaggio. È stato uno dei pm del processo “Spartacus 3” che nel 2009 si chiuse con 50 condanne, pene per complessivi tre secoli di carcere e la confisca di numerosi beni nei confronti di presunti affiliati al gruppo del clan dei Casalesi.

La sua nomina nel 2018 era stata votato all’unanimità del Plenum del consiglio superiore della Magistratura, ma nel gennaio 2020 il Consiglio di Stato aveva annullato la sua nomina accogliendo il ricorso di Laura Triassi, che successivamente ha preferito farsi nominare a capo della procura di Nola. Insomma Francesco Curcio, classe 1961, un magistrato dalla faccia e dai modi gentili, quando c’è da fare il magistrato, non guarda in faccia a nessuno indagando su politici, imprenditori e magistrati. Dopo averlo criticato (è il nostro lavoro) senza alcuna motivazione preconcetta o astio personale lo abbiamo incontrato ed intervistato.

Adesso Curcio si è candidato alla guida della Procura di Napoli, incarico lasciato vacante lo scorso maggio da Giovanni Melillo salito al vertice della Direzione Nazionale Antimafia . Oltre a lui si sono candidati Giuseppe Amato, oggi a capo della procura di Bologna; Nicola Gratteri (procuratore capo a Catanzaro); Aldo Policastro (procuratore capo Benevento) e Rosa Volpe (procuratore aggiunto), che attualmente da mesi è la reggente pro-tempore dell’Ufficio della procura napoletana.

Procuratore in questi giorni si discute molto sull’importanza delle intercettazioni. Secondo buona parte della magistratura (e noi siamo dello stesso parere) sono fondamentali per un buon esito delle indagini contro il crimine organizzato, la corruzione politica e l’evasione fiscale. Non trova però che non sia giusto rendere di dominio pubblico intercettazioni sulla vita privata degli indagati, che non hanno alcuna valenza investigativa e tantomeno processuale ?

Ritengo quella sulle intercettazioni e sulla opportunità di restringerne l’ambito applicativo una polemica sciocca e di retroguardia, poiché, piuttosto che considerare l’interesse generale e, soprattutto, l’evoluzione del mondo intero negli ultimi 15 anni,  sembra guardare al passato,  mossa da una animosità determinata da vecchi rancori, da antiche dispute, da non sopiti interessi personali. La verità è che oramai in tutto il mondo la vita, la nostra e, sempre più, quella dei nostri figli e delle nuove generazioni, più che mutata si è rivoluzionata (forse senza che la nostra politica se ne sia accorta) poiché oramai i rapporti umani, sociali ed economici  – o comunque una loro parte essenziale –  le nostre relazioni private e pubbliche,  si svolgono sulla rete. Con  messaggi scritti e vocali sui diversi social,  le relazioni di qualsiasi genere (lecite ed illecite) si sviluppano sul web attraverso conversazioni, indicazioni, ordini, trasmissione di foto e documenti. Gli smartphone e ogni device, sono dunque divenuti  la nostra “scatola nera” e, dunque, “scatola nera” di tutti, anche chi delinque. E non solo, ovviamente di mafiosi e corrotti, o bancarottieri ed evasori, ma, solo per rimanere ad un tema su cui tutti hanno o mostrano di avere una accentuata sensibilità, anche di chi pratica minacce, stalking, violenze sessuali (anche e soprattutto contro minori) che per commetter questi illeciti pure comunica in rete ed utilizza il web. Gran parte di queste condotte illecite si realizzano sulla rete o comunque lasciano traccia sulla rete, passano sui messaggi scritti e vocali, sulle foto e le immagini che i device si trasmettono freneticamente.

Nel settore delle indagini penali, rinunciare ad intercettare questi flussi significa, semplicemente rinunciare a conoscere ed investigare la quasi totalità dei reati che abbiamo indicato e tanti altri ancora. Tanto  varrebbe – e sarebbe più onesto e trasparente – dichiararne apertamente  la non punibilità. E se si sostiene che nel passato sono state pubblicate da alcuni conversazioni non rilevanti e “pruriginose” per finalità anche bieche bisogna anche considerare che la legge, all’epoca, obbligava i pubblici ministeri ad includere nel materiale probatorio depositato alle difese (che dunque diveniva pubblico e pubblicabile) tutte le conversazioni, anche quelle apparentemente private e irrilevanti, sul presupposto – che non condividevo neanche all’epoca – che la difesa avesse diritto ad avere copia in modo libero e senza alcun filtro di tutte le intercettazioni. E verificare se  anche in quelle telefonate private si annidassero elementi a favore degli indagati.  Dal 2020, tuttavia, è entrata in vigore una profonda riforma delle intercettazioni che a mio avviso sta funzionando molto bene. Questa riforma, infatti, blinda le conversazioni irrilevanti e che incidono sulla riservatezza dei soggetti coinvolti (salvo che anche queste conversazioni private forniscano la prova del delitto per cui si procede) non consentendone la trascrizione e la pubblicazione (ma consentendo alle difese di conoscerle)  ma, al contempo, ha regolamentato in modo equilibrato le attività d’intercettazione consentendo agli investigatori di utilizzare in modo efficace questo essenziale mezzo di ricerca della prova. Non è un caso che negli ultimi due anni non si sono rilevate doglianze per la pubblicazione di conversazioni o chat che riguardavano la vita privata di terzi estranei. Penso che in un paese democratico come il nostro in cui (per fortuna) al governo vi è una alternanza politica fra diversi schieramenti  i nuovi governi che si insediano, seppure legittimi portatori di altre idee e valutazioni rispetto al precedente, non possano, sol per questo, buttare al mare tutte le riforme e le leggi fatte dal passato governo,  ma valutare caso per caso in modo pragmatico le cose fatta da chi li ha preceduti e cambiare quelle che hanno dato cattiva  prova, ma mantenere quelle che funzionano, come oggettivamente è la riforma del 2020 sulle intercettazioni.

Dottor Curcio, cosa pensa del rapporto magistratura-stampa“amica” ? Non pensa che forse per restituire il prestigio dovuto alla magistratura, bisognerebbe cercare meno protagonismo mediatico, lasciando parlare la qualità delle indagini e le risultanze processuali ?

Esistono questi fenomeni o sono esistiti. Io personalmente penso che la stampa non debba essere, a priori, amica. Deve rispettare l’istituzione, anche giudiziaria, ma esercitare liberamente il diritto di critica laddove ritenga ci siano errori da parte di chi applica la legge (anche se spesso si confonde la responsabilità di chi fa leggi sbagliate e quella di chi deve applicare tutte le leggi comprese quelle sbagliate).  Ma neppure può esistere una stampa pregiudizialmente nemica. Di nessuno, neanche dei Magistrati.  Sul versante dei nemici “a priori” proprio negli ultimi anni ho notato che  esistono non uno ma più giornali la cui mission editoriale sembra proprio questa : screditare, comunque, la magistratura e meglio ancora i pubblici ministeri. Qualunque cosa facciano. Se fanno bianco bisognava fare nero se fanno nero bisognava fare bianco. Si tratta di una pratica un pò ridicola e provinciale. Ridicola perché è come se si creasse un giornale per screditare tout court i medici, o gli ingegneri, o gli avvocati piuttosto che gli imprenditori italiani, quando chiunque comprende che ci sono medici bravi e medici incapaci, imprenditori che creano ricchezza e lavoro e imprenditori che speculano e basta . Provinciale perché praticata solo da noi per corrispondere ad interessi economici e politici ben definiti che in Italia si sono fra loro coagulati per una serie di circostanze nel corso degli ultimi 30 anni.  Insomma, un giornale non è un partito politico e non deve essere legata a filo doppio ad una corporazione piuttosto che ad uno schieramento politico, perché ciò gli impedisce di svolgere la sua principale funzione : essere libero di stare sempre dalla parte dei cittadini ed essere davvero il cane da guardia della democrazia per difenderla dagli abusi di ogni potere.  Quanto alla seconda parte della sua domanda, che per la verità contiene la risposta, mi trova in perfetta sintonia. La sobrietà deve essere una cifra essenziale della professionalità dei magistrati. Il magistrato può – e talora deve – interloquire con i mezzi d’informazione, ma sempre con misura, garbo ed equilibrio, senza mai debordare, anche in termini di eccessiva presenza sui mass media. Ritengo di attenermi scrupolosamente a questi principi : a parte i doverosi comunicati stampa e talora le conferenze per illustrare in modo trasparente le attività dell’Ufficio all’opinione pubblica, questa, se non erro, è la terza intervista che rilascio in 5 anni di attività da Procuratore della Repubblica.  

Le indagini della Procura di Potenza vedono indagati dei magistrati (ed alcuni dei quali finiti a processo). Cosa si prova nell’indagare, inquisire e chiedere l’arresto (che è poi disposto da un Gip) di un collega ?

Il Magistrato, più di ogni altro professionista o di ogni altro rappresentante delle istituzioni, conosce o dovrebbe conoscere la legge penale ed è, o dovrebbe essere, consapevole del danno che provocano le sue violazioni, del disvalore delle condotte illecite . E’ pagato per fare rispettare la legge penale e deve punire – e punisce – chi la viola. Si capisce, allora perché la commissione di reati da parte dei Magistrati sia  molto più grave di quella commessa da un comune cittadino, ma direi, di più, da qualsiasi altro rappresentante delle Istituzioni. Perché il magistrato che delinque tradisce la stessa ragion d’essere della istituzione che rappresenta. Dunque, è con dolore, ma anche senza esitazioni, perseguiamo con rigore le condotte illecite dei Magistrati, di tutti i Magistrati  a prescindere da qualsiasi altra considerazione(fra i nostri indagati ed imputati ne troverà di ogni idea, estrazione, corrente e funzione). Ciò quando, ovviamente, ne sussistono i presupposti di legge e tenendo conto che molto spesso, le denunce contro i  Magistrati sono strumentali e tendono a colpire coloro – e sono molti –  che fanno il loro dovere fino in fondo, piuttosto che i pochi che commettono reati.      

A Potenza ha aperto recentemente una sezione operativa la D.I.A. che opererà con la D.D.A. da lei coordinata. Come si è evoluta la criminalità in Basilicata, vista dal suo osservatorio privilegiato conseguente alle sue pregresse esperienze antimafia ?

Ritengo che dopo cinque anni di attività in Basilicata, la mia più grande soddisfazione professionale sia stata proprio quella di essere riuscito a convincere tutte le istituzioni coinvolte della necessità di  aprire una Sezione operativa della Dia a Potenza. Questo per una serie di ragioni : in primo luogo è la dimostrazione concreta e non “a chiacchere” che lo Stato in tutte le sue articolazioni (da quelle locali, che hanno appoggiato l’iniziativa a quelle nazionali) ha compreso e preso atto della gravità del fenomeno  mafioso in  Basilicata, gravemente sottovalutato in passato,  che in alcune zone della nostra Regione, per il numero e la gravità dei reati commessi (estorsioni, incendi, traffico di droga, omicidi) ha la stessa intensità che si registra in altre zone del paese  in cui notoriamente il fenomeno si è radicato (Calabria, Puglia, Campania, per rimanere alle regioni limitrofe). E lo dico con cognizione di causa avendo svolto o coordinato indagini che hanno riguardato realtà criminali – come quella dei casalesi o della ‘ndrangheta – di eccezionale gravità. In secondo luogo sono molto soddisfatto perché è stata finalmente creata – ed è destinata ad operare in modo stabile per gli anni a seguire – una struttura efficiente e specializzata in grado di contrastare efficacemente il fenomeno criminale a beneficio dei tantissimi lucani onesti e per bene. Ed i primi risultati già si vedono ( si guardi, ad esempio, all’indagine sugli incendi dei Lidi a Scanzano Ionico).

Quanto poi  alla evoluzione della mafia lucana, faccio notare, in primo luogo, che dopo anni, nel Luglio scorso, un Tribunale lucano, quello di Matera, ha emesso una condanna per 416 bis cp, condannando gli imputati a a secoli di carcere. Dunque parliamo di fatti che non sono ipotesi della DDA o della Polizia Giudiziaria ma di delitti ritenuti provati da un Collegio giudicante, ferma restando  ovviamente, la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva.

Più complessivamente, per tracciare un sintetico quadro della criminalità organizzata lucana, sulla base delle nostre indagini, possiamo dire che è possibile identificare tre tipi di organizzazioni criminali diverse fra loro nella nostra Regione. Un primo tipo è presente sul litorale ionico lucano, e si tratta di sodalizi dediti ad estorsioni, alla imposizione di forniture e servizi alle imprese, al condizionamento delle pubbliche amministrazioni (il Comune di Scanzano Ionico è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2019), alla monopolizzazione di interi comparti economici che ruotano intorno al turismo, alla ristorazione, al commercio di generi alimentari, all’edilizia I collegamenti di questi gruppi sono sia con le organizzazioni tarantine che con alcune organizzazioni calabresi. Un secondo tipo di sodalizio criminale opera nel Vulture Melfese ed ha stretti collegamenti con la criminalità organizzata di Cerignola e del foggiano. Le attività illecite cui sono dediti sono lo spaccio di stupefacenti, le estorsioni e le imposizioni di servizi nel settore agricolo. Infine le organizzazioni potentine, più evolute, con forti rapporti con ‘ndrangheta di alto livello presente a Cutro ( il sodalizio Grande Aracri con il quale ha gestito attività di scommesse e gioco d’azzardo on line) ed a  Rosarno ( la famiglia Pesce) che sviluppa le sue attività criminali nel grande traffico internazionale di stupefacenti, nel riciclaggio, nel recupero crediti, nelle estorsioni.   

Lei è stato alla Procura di Napoli ma anche alla Direzione Nazionale Antimafia prima di approdare alla guida della Procura di Potenza, Ufficio che, ci spiace ricordare, è stato sempre nell’occhio del ciclone. Cosa l’ha spinta a fare domanda per Potenza ?

Sono nato a Roma, dove ho vissuto circa 30 anni, ho sposato una napoletana ed ho vissuto a lungo a Napoli, ma sono originario di Polla, una paese della provincia di Salerno al confine con la Basilicata, una terra che fa parte della Lucania storica. Siamo lucani. Amministrare la giustizia in una terra che sento mia è stato un onore. Le polemiche precedenti non mi interessano. Sono spesso, non dico sempre,  strumentali. Ricordo per dirne uno, caso esemplare di polemiche inutili : quella contro le indagini svolte dal mio Ufficio nel 2015/2016 sull’ENI. Si diceva “vediamo queste indagini così eclatanti che fine faranno” oppure “hanno prima indagato un Ministro, lo hanno fatto dimettere e poi si è visto che non c’entrava nulla”. Ebbene, nel silenzio generale e nel silenzio di chi aveva sollevato polemiche, i dirigenti dell’Eni coinvolti nelle indagini – ferma restando la presunzione d’innocenza – sono stati in buona parte condannati in primo grado  le accuse hanno retto bene al controllo giurisdizionale, e quanto al Ministro basterà dire che non era mai stato indagato dalla Procura di Potenza (e dunque non poteva essere per questo archiviata la sua posizione) mentre le dimissioni erano state doverosamente rassegnate da questo Ministro per motivi di opportunità politica (evidenziati anche dall’allora capo del Governo Matteo Renzi) poiché dalle indagini risultava che leggi in via di approvazione che rientravano nella competenza del Ministro in questione erano oggetto di attività di “lobbing”  da parte del compagno di quel Ministro. Dunque ancora una volta una polemica senza senso contro i Magistrati. 

Procuratore la sua nomina a Potenza è stata oggetto di un ricorso alla Giustizia Amministrativa da parte della sua collega Triassi. I Giudici Amministrativi a seguito  di questo ricorso hanno censurato le valutazioni del CSM. Vuole spiegare ai nostri lettori meglio la vicenda ?

La questione è molto semplice : il CSM, nell’esaminare i curricula dei molti candidati al posto di Procuratore di Potenza, aveva omesso di specificare che fra i diversi titoli professionali di uno dei diversi aspiranti, la dr.ssa Triassi, a causa della temporanea assenza di un Procuratore Capo (il dott. Colangelo era stato trasferito ad altro Ufficio ed il posto era vacante ) ed in attesa che venisse nominato il nuovo Capo (che sarà l’ottimo collega Gay) era stata Procuratore “facente funzioni” per un certo numero di mesi in quanto Magistrato più anziano dell’Ufficio. All’esito della comparazione dei titoli dei diversi candidati, il CSM mi nominò all’unanimità Procuratore a Potenza. La sola collega Triassi, fra tutti i candidati, fece ricorso ai Giudici Amministrativi. I Giudici amministrativi accolsero il ricorso affermando, non che la Collega avesse più titoli del sottoscritto, ma (giustamente) che il CSM aveva sbagliato a non inserire fra i titoli della Collega lo svolgimento di fatto delle funzioni di Procuratore e dunque non aveva potuto svolgere una comparazione completa fra i diversi aspiranti più precisamente fra il sottoscritto e la collega Triassi. Per tale ragione i Giudici Amministrativi, censurando il provvedimento di nomina, imposero  al CSM di svolgere nuovamente la comparazione fra i titoli della dr.ssa Triassi (comprendendo fra questi, questa volta, anche l’esperienza di facente funzioni della collega) ed i titoli del sottoscritto, che dalla sua parte avevo circa 30 anni di attività da PM  che avevo svolto sia presso le DDA di Roma, Napoli e Reggio Calabria che, per 6 anni, presso la Direzione Nazionale Antimafia. Rappresento questi ultimi 6 anni di attività di coordinamento investigativo a livello nazionale, secondo l’art 12 del Decreto legislativo 160 del 2006  (che regola la materia delle nomine dei magistrati) ai fini della nomina a Procuratore della Repubblica, è funzione equiparata allo svolgimento pregresso di funzioni direttive. Il CSM non giunse a svolgere di nuovo questa comparazione, poiché la collega Triassi preferì legittimamente e liberamente  optare per la nomina a Procuratore della Repubblica di Nola – funzione per la quale a suo tempo ed ancora prima di farla per la Procura di Potenza  la dr.ssa Triassi aveva fatto domanda ed in relazione alla quale, nel frattempo, la Commissione del CSM ( la 5a n.d.a.) che si occupa di incarichi direttivi l’aveva proposta al Plenum del CSM.  In tale modo la Triassi rinunciò  al ricorso per il posto di Procuratore di Potenza e, quindi, come conseguenza  a sottoporre al CSM, per una nuova “comparazione”, i suoi titoli con quelli del sottoscritto. Il CSM ne prese atto e confermò de plano la mia precedente nomina.

il magistrato Francesco Curcio ed il collega Henry John Woodcock

Procuratore, lei insieme al suo collega Woodcock siete stati titolari delle indagini della Procura di Napoli sulla famigerata “P4” che hanno visto finire in carcere un vostro collega, il magistrato Papa, all’epoca dei fatti parlamentare di Forza Italia. Molti giornali compreso il nostro (sbagliando e ne facciamo pubblica ammenda)  hanno scritto che erano stati tutti assolti in appello, ma così in realtà non era accaduto. Vuole spiegare ai nostri lettori esattamente come si è concluso quel processo ?

Ancora una volta la questione è semplice :  l’indagine P4, nonostante le molte imprecisioni che hanno contraddistinto la sua rappresentazione mediatica, è stata una indagine importante e fondata. Il suo principale imputato, il dott. Bisignani, patteggiò la pena decidendo liberamente di farlo (e la decisione proveniva non da un minus habens, ma da un uomo la cui  intelligenza, capacità relazionale e di comprensione  della realtà non possono essere messe in discussione). Il che non viene mai ricordato. L’altro imputato , Alfonso Papa, Magistrato e Parlamentare, arrestato per gravi reati contro la PA con autorizzazione della Camera di appartenenza (che, all’epoca, giova ricordare, era in maggioranza dello stesso schieramento politico del Papa) venne condannato in primo grado – dopo un dibattimento durato 5 anni – a 4 anni e sei mesi di reclusione per una serie di delitti contro la PA ( il Papa, nel 2021, è stato condannato, sempre dal Tribunale di Napoli, ancora una volta, ad analoga pena, per altri reati contro la PA, questa volta con aggravante mafiosa). In appello, nel 2019, i reati sono stati dichiarati prescritti. Cosa evidentemente non ascrivibile né a me, né al collega Woodcock che per la verità con molta solerzia avevamo tratto a giudizio Papa – ancora detenuto –  dopo pochi mesi d’indagine, con richiesta di giudizio immediato del settembre del 2011.  Se ci si chiede quale sia la ragione della lentezza dei processi in Italia, e perché un Tribunale ed una Corte, in Italia, in 8 anni non riescano  a concludere un procedimento a  carico non di 100 ma di un solo imputato, se ci si chiede a chi giovi questa lentezza e di chi siano le eventuali responsabilità, il caso Papa lo proporrei come caso emblematico da analizzare. Perchè è dai casi concreti che si comprendono le disfunzioni di un sistema, non dalle teorie astratte.

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