di Francesco Petrelli
Cresce da tempo l’idea che i diritti della persona siano un vezzo illuministico, una cosa un poco snob che non riguardi affatto l’intera comunità democratica, ma solo un’esigua schiera di malfattori che lucra su quella bizzarra idea che vi debba essere un limite all’invadenza dello Stato, ed alla sua azione repressiva.
Un limite invalicabile che disegna in fondo il perimetro della sua stessa legittimazione. Si fa affermando l’idea irresponsabile che il Paese possa essere “rigirato come un calzino” e che non se ne debba aver paura se non si ha nulla da nascondere. Un assioma tanto allettante quanto pericoloso, sul quale occorrerebbe fare qualche non oziosa riflessione.
Solo chi non possiede nulla, infatti, non ha niente da nascondere. In senso morale si intende. Solo chi non ha alcuna idea dei propri diritti civili, chi vive nell’oblio dei principi che li fondano e delle idee che nutrono i rapporti dei singoli cittadini con l’autorità dello stato, non possiede nulla e non può perdere nulla. Chi dice di non temere affatto di essere intercettato perché “non ha nulla da nascondere”, vive della miseria di questo equivoco. Ovvero nell’ingenuità dell’idea che i diritti di libertà e i diritti della persona siano cose che riguardano esclusivamente i corrotti e i delinquenti. Che l’onestà non abbia bisogno di tutele e di statuti, di regole e di costituzioni. Che le garanzie le abbiano inventate gli usurpatori ai danni delle persone per bene. Una convinzione tanto errata quanto pericolosa che insuffla a sua volta negli individui un’idea proprietaria dei diritti, dei quali ognuno può far quel che vuole.
Tutte le “notti di San Bartolomeo” che ci son servite per affermare l’idea della tolleranza religiosa, tutti i tormenti e tutti i supplizi che son stati necessari per produrre l’idea della “dolcezza delle pene” e della inviolabilità del corpo dell’ultimo dei dannati, tutti i soprusi, le discriminazioni razziali, le espropriazioni, i confini e le altre misure di polizia degli stati totalitari, ci hanno infine convinto della necessità e della imprescindibilità della libertà personali senza le quali le libertà civili e politiche neppure si danno. Ci hanno persuaso del fatto che le libertà stanno e cadono tutte assieme.
Svenderle, mortificarle, cederle al primo offerente, dimenticando che quei diritti di libertà sono stati conquistati per tutti e sono dunque di tutti, significa danneggiare l’intera collettività. L’inviolabilità dei domicili e delle comunicazioni, la natura sacra e inviolabile del diritto di difesa, la presunzione di innocenza, dovrebbero essere intesi come un patrimonio comune, diffuso ed inalienabile, coessenziale ad una società democratica matura. Non proprietà del singolo che, ingenuamente convinto di essere al riparo da ogni possibile illibertà, pensa che aprire la porta al “grande fratello” sia un gesto di grande modernità.
Compie invece quel che Herbert Marcuse, oltre cinquanta anni fa, teorizzava nella sua opera più pessimista, L’uomo a una dimensione, laddove nel segno di una “confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà” gli uomini erano indotti a deprivarsi dei propri diritti ed a rendersi ingenuamente schiavi da sé stessi consegnandosi ad un potere illiberale, tecnologico e invasivo.
Solo perché non hanno più nulla da nascondere.
*avvocato, segretario Unione Camere Penali