Attorno all’ultimo ricorso dei dissidenti napoletani del M5S contro la leadership di Giuseppe Conte ed il nuovo statuto è venuta alla luce un piccolo giallo: l’atto di citazione presentato da 8 militanti grillini non è stato ritirato e quindi è ritornato al mittente. Sul sito di Poste Italiane inserendo il numero della pratica si leggeva “La spedizione non è stata ritirata dal destinatario“, cioè Giuseppe Conte, e quindi “sarà restituita al mittente”. Evidentemente nessuno a “casa Conte” (che a dire il vero è casa della compagna Olivia Paladino) all’indirizzo in pieno centro storico di Roma in cui risiede, ha aperto la porta al postino o di proposito o perché assente per altri impegni, oppure qualcosa è andato storto quando ha suonato il postino.
“Abbiamo depositato ufficialmente un nuovo ricorso presso il Tribunale di Napoli assistiti dal nostro legale Lorenzo Borrè, costretti dal perdurare della conduzione illegittima del M5S da parte di un manipolo di persone autoproclamatosi ‘dirigenza‘”. Steven Hutchinson e gli altri attivisti grillini lo avevano preannunciato e puntualmente lo hanno fatto. “A chi derubrica le regole a cavilli abbiamo contestato 18 violazioni di carattere sostanziale, perché la democrazia è questione di sostanza” affermano i ricorrenti rappresentati sempre dall’avvocato Borrè, che hanno presentato infatti un nuovo ricorso per chiedere l’annullamento delle nuove votazioni sullo Statuto M5S.
E spiegano le loro ragioni : “Il Movimento al quale siamo iscritti non doveva essere questo e i risultati del nuovo corso condotto in modo oligarchico e vestito da partito sono sotto gli occhi di tutti, e restituiscono la cifra del danno che ha cagionato la nuova ‘dirigenza’ in violazione delle regole interne. Dunque siamo costretti a ricorrere ancora una volta alla giustizia, per difendere quei valori e quei principi nei quali, insieme a Gianroberto Casaleggio, abbiamo creduto e continuiamo a credere in questi anni e nei quali hanno creduto milioni di altri cittadini come noi“.
L’ avvocato Borrè che assiste gli attivisti-contestatori di Conte, chiaramente non si è arreso ed è riuscito a far consegnare il ricorso lo stesso, con una notifica questa volta a mezzo ufficiale giudiziario. Ed al secondo tentativo la notifica è andata a buon fine. Adesso può ripartire la guerra legale nel Movimento: con tanto di richiesta di sospensione cautelare di tutte le nomine.
I dissidenti si sono rivolti anche questa volta al Tribunale di Napoli, che già lo scorso febbraio aveva “congelato” tutti i vertici dei 5 Stelle, questa volta hanno contestato oltre al nuovo statuto, rivotato il 10 marzo, e la nomina di Conte a presidente, il 28 marzo, anche tutte le altre nomine della nomenclatura stellata appena riempite: i 5 vicepresidenti, con Paola Taverna vicaria, il “fido” Mario Turco il comitato di Garanzia (di cui fanno parte Roberto Fico, Virginia Raggi e Laura Bottici) e il neo-collegio dei probiviri, composto da Danilo Toninelli, Fabiana Dadone e Barbara Floridia.
Nel mirino degli attivisti contestatori c’è la circostanza che i militanti abbiano potuto esprimersi durante la tornata di “clic” soltanto su delle liste chiuse. Nel caso di Conte, persino, su un candidato unico, da approvare o cassare. Senza la possibilità per qualunque iscritto di ambire a un posto di vertice.
Non sono cavilli, afferma l’avvocato Borrè: “È un principio fondamentale, visto che si tratta di una questione attinente al principio di uguaglianza dei soci“. È stata contesta anche la convocazione dell’assise, firmata da “Paola Taverna nella sua qualità“. Per Borrè, la Taverna in realtà è un soggetto che non avrebbero avuto alcun titolo per farlo, “in quanto non rivestiva alcuna delle cariche previste dalla versione dello statuto vigente al momento della convocazione”. I tempi: su questa nuova istanza il foro di Napoli dovrebbe pronunciarsi entro l’estate, anche se potrebbe decidere prima sull’istanza cautelare. Mentre l’udienza sul precedente ricorso è stata fissata per il prossimo 17 maggio.
E’ finito il M5S dove “uno vale uno” così come è finita ai posteri l’ardua promessa di Giuseppe Conte che arrivato miracolosamente a Palazzo Chigi ambiva e prometteva di voler essere “l’avvocato degli Italiani”. In realtà lo è stato e continua ad esserlo solo di se stesso e della sua sfilza di “cortigiani” ma anche della famiglia della sua nuova compagna miracolata da decreti ad personam che hanno fatto risparmiare non pochi soldi ed una condanna al suo suocero acquisito Cesare Paladino.
Ma l’ avvocato Conte non aveva fatto i conti con la Corte di Cassazione che ha annullato senza rinvio l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Roma aveva revocato la sentenza di patteggiamento della condanna a 1 anno e 2 mesi di reclusione per peculato, emessa nei confronti di Cesare Paladino – amministratore della società che gestisce il Grand Hotel Plaza di Roma e padre della compagna dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte – in relazione all’omesso versamento delle tasse di soggiorno riscosse. Conte con il suo decreto aveva salvato il suocero, e la condanna penale venne annullata grazie a una “leggina” dell’ex premier.
La notizia del proscioglimento del suocero di Giuseppe Conte a seguito di una norma varata dal governo dello stesso Conte aveva provocato, negli scorsi mesi, diverse polemiche. Il giudice aveva accolto l’istanza, in sede di incidente di esecuzione, presentata dalla difesa di Paladino dopo l’approvazione del “decreto Rilancio“, in cui è contenuta una norma – da alcuni definita «pro-albergatori» che prevede una sanzione solo in via amministrativa per tali condotte. Secondo la Procura di Roma, invece, la norma in questione non poteva essere applicata in modo retroattivo.
«A mio avviso è una decisione che va rispettata e che segna continuità con l’orientamento già espresso in precedenza dalla Suprema Corte», commenta l’avvocato Stefano Bortone, difensore di Paladino. Secondo il legale, però, «restano molte perplessità sul piano giuridico e appare pertanto più una decisione dettata da motivi organizzativi che dall’intento di rispettare appieno i principi di diritto». Ma la recente decisione della Suprema corte, «inguaia» il suocero dell’ex premier e, probabilmente, mette una pietra anche su quelle polemiche.
Lo ha deciso la 1a sezione penale della Cassazione in una camera di consiglio svoltasi lo scorso 16 aprile, che accogliendo il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del giudice, risalente al 30 novembre scorso, che aveva revocato la sentenza di patteggiamento emessa nel luglio 2019 ritenendo che il fatto non fosse «previsto dalla legge come reato».