ROMA – E’ stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione la condanna a sei anni e tre mesi di reclusione per “associazione a delinquere” e “truffa ai danni dello Stato” con esclusione delle attenuanti generiche per la gravità dei fatti commessi e l’intensità del dolo, nei confronti del figlio di Emilio Riva lo scomparso proprietario dell’ ILVA , Fabio Riva per essersi impossessato di circa 100 milioni di euro incamerati illecitamente dal 2008 al 2013 come contributi per le imprese che esportano.
A nulla è servito a Fabio Riva la transazione per un miliardo e 300 milioni raggiunta tra la famiglia Riva e l’amministrazione straordinaria di Ilva e Riva spa il 24 maggio 2017, per pagare i debiti con il fisco , soldi destinati a finanziare il piano di risanamento ambientale dell’acciaieria di Taranto, utilizzata come condotta riparatoria per ottenere meno anni di carcere. Secondo la Suprema Corte questo accordo è stato raggiunto quando ormai la responsabilità di Fabio Riva era già stata riconosciuta in giudicato.
Gli ermellini della Suprema Corte nella sentenza 18181 depositata dalla sesta sezione penale hanno confermato anche la condanna nei confronti di Alfredo Lo Monaco, manager italo-svizzero coimputato di Riva nel processo, ed ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade società dalla quale transitavano i soldi, a tre anni e sei mesi di reclusione per l’altro coimputato. I due avevano ottenuto uno sconto di pena nell’appello bis, pronunciato dalla Corte di appello di Milano il 29 giugno 2017 e disposto dalla stessa Cassazione che aveva dichiarato la prescrizione di un episodio di truffa ordinando al giudici di merito di ricalcolare le pene.
Mentre Fabio Riva aveva ottenuto tre mesi di sconto, Lo Monaco aveva ottenuto una riduzione più consistente, passata da cinque anni a tre anni e sei mesi di reclusione perché oltre alla prescrizione, su indicazione della Cassazione, non era stato più riconosciuto promotore dell’associazione a delinquere ma solo partecipe. Riva che è stato latitante all’estero per un lungo periodo e Lo Monaco avevano chiesto senza alcun successo, una sanzione più soft. Ma la Suprema Corte ha ritenuto ben motivata la decisione di negare ai due imputati le attenuanti generiche così come deciso fin dal primo grado dal Tribunale di Milano nel 2014.
Per la Cassazione, i giudici di merito hanno fatto riferimento con “puntuale giustificazione alla gravità delle condotte poste in essere per un numero rilevante di anni, all’intensità del dolo, all’assenza di resipiscenza” mostrata da Riva e Lo Monaco, “all’entità del danno, alla durata dell’associazione criminale“. Per quanto riguarda il solo Riva, infine, si sottolinea che “l’imputato si era volontariamente sottratto al processo” e anche successivamente non ci sono stati “elementi positivi di valutazione” della sua condotta: per Fabio Riva sanzionata anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, che è stata limitata a cinque anni per Lo Monaco.