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3 Luglio 2024 03:27
3 Luglio 2024 03:27

La Corte Costituzionale censura i pm per l’uso delle chat e gli sms di Renzi: “Andava richiesta l’autorizzazione alle Camere”

La Corte Costituzionale così scrive: «Gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi e chiedere l'autorizzazione della Camera». ALL'INTERNO LA SENTENZA DELLA CONSULTA

La Corte Costituzionale ha dato ragione al senatore Matteo Renzi che si doleva per l’uso processuale delle sue chat da parte della procura di Firenze; i pubblici ministeri hanno torto ad insistere sulla loro tesi che un messaggio o una mail, se lo si preleva dal computer di chi riceve e non s’intercetta al momento della trasmissione, non sarebbero da considerare corrispondenza, ma un mero documento. E perciò il senatore esulta: “Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto”.

Scrive la Corte: Tali messaggi sono stati ritenuti riconducibili alla nozione di «corrispondenza», costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce, come invece sostenuto dalla Procura, con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori”.

la Corte Costituzionale

E’ una notevole vittoria del senatore, e dell’ aula di Palazzo Madama che lo aveva appoggiato in questa battaglia tanto da sollevare un “conflitto di attribuzione” contro la procura di Firenze innanzi alla Corte costituzionale.

La Corte Costituzionale ha precisato che Gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi“.

La sentenza al di là del valore per il singolo caso, che pure rappresenta un momento di svolta nel braccio di ferro che Matteo Renzi ha ingaggiato contro la procura di Firenze, segna un punto fermo che da ora in poi diventa cruciale per ogni inchiesta in Italia: i magistrati sappiano che non basta sequestrare un computer o uno smartphone per poi prelevare al suo interno ogni tipo di comunicazione archiviata, che siano mail o messaggistica di vario tipo. Mail e messaggi infatti vanno equiparati a “corrispondenza” e come tali sono protetti dalla costituzione e vanno maneggiati secondo la specifica normativa. Come recita l’articolo 15, “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Esulta via social lo stesso leader di Italia viva, spiegando: “Io sostenevo che il comportamento dei pm di Firenze violasse la Legge (e la Cassazione ci ha dato ragione 5 volte) e che violasse anche la nostra Costituzione. Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto“. L’ex premier ha poi proseguito parlando di “indagine assurda” e ringraziato i “senatori che hanno votato in Aula per sollevare il conflitto sfidando l’opinione pubblica in nome del diritto”.

La Consulta invece ha dato torto a Renzi, sulla sua documentazione bancaria. La procura di Firenze ha quindi potuto legittimamente acquisire i suoi estratti conto nell’ambito della inchiesta Open, e senza chiederne l’autorizzazione alla Camera di appartenenza, ma soltanto perché erano allegati a una segnalazione partita dalla Banca d’Italia. Se fossero stati inviati dalla banca al diretto interessato, questi, in quanto senatore, sarebbe stato protetto dalle prerogative parlamentari.

CdG-consulta-renzi

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