La Dia-Direzione investigativa antimafia di Lecce ha sequestrato beni mobili ed immobili, per un valore complessivo di 180 mila euro, nella disponibilità di Cosimo De Leonardo, 63enne di Taranto, già condannato per associazione di tipo mafioso, traffico illecito e violazione della disciplina degli stupefacenti, detenzione illegale di armi e munizioni, lesioni personali e violazione delle disposizioni sul controllo delle armi. Sotto sequestro sono finiti due immobili, sei autoveicoli, due motocicli e un bar. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dall’ufficio misure di prevenzione della seconda sezione penale del Tribunale di Taranto.
L’operazione rientra nell’indagine, denominata “Città Nostra”, svolta della Squadra mobile di Taranto che nel giugno dello scorso anno ha consentito il fermo di 37 persone accusate, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, porto e detenzione illecita di armi, estorsione, rapina e detenzione di ordigno esplosivo.
“La città è nostra” così si esprimeva il boss del clan Di Pierro intercettato mentre commentava con alcuni affiliati il controllo indiscusso delle attività illecite a Taranto. Le indagini erano iniziate ad aprile del 2015, dopo la scarcerazione del pluripregiudicato Cosimo Di Pierro al quale era stata concessa, per motivi di salute, la misura della detenzione domiciliare. Il boss, come accertato nel corso delle intercettazioni, sin dalla sua scarcerazione, aveva dichiarato di volersi “impossessare della città” e aveva ricostruito, a questo scopo, un’organizzazione criminale che aveva la disponibilità di armi ed esplosivi e che aveva la capacità di imporre periodici pagamenti di denaro a commercianti e spacciatori dei quartieri “Borgo” e “Solito”.
Il gruppo criminale, profondamente radicato nel territorio del capoluogo jonico e incentrato sulla figura di Cosimo Di Pierro, poteva contare su numerosi giovani “fedelissimi” che ne rappresentavano il braccio armato. Per rafforzare il legame tra i componenti, erano previste anche cerimonie di iniziazione e di affiliazione, sulla falsariga dei rituali di matrice ‘ndranghetista, da cui ne mutuavano anche il gergo. In particolare, il rituale praticato era articolato in più fasi: vi era una prima fase in cui veniva recitato, come una litania, il testo propiziatorio, contenente i canonici riferimenti a Mazzini, Garibaldi e Lamarmora, seguito poi dalla “punciuta”, cioè il rito della puntura dell’indice della mano, con il sangue che viene adoperato per imbrattare un’immaginetta sacra a cui viene dato fuoco.
Il clan, inoltre, interagiva con altri gruppi criminali locali che gestivano lo spaccio di droga, le attività estorsive e l’acquisizione illecita di attività imprenditoriali. Nel corso dell’esecuzione del decreto di fermo, vennero sequestrate cinque pistole, 350 grammi di hashish e reperti archeologici. All’operazione parteciparano gli agenti delle Questure di Bari, Brindisi Lecce, Foggia, Potenza, Campobasso, della Sezione della Polizia stradale di Taranto e del Reparto prevenzione crimine e del Reparto volo di Bari, con l’impiego di circa 200 poliziotti.
Nota per i lettori: ecco cosa (NON) hanno pubblicato i cronisti… giudiziari la Gazzetta del Mezzogiorno, l’edizione pugliese de La Repubblica ed il Nuovo Quotidiano di Puglia .