“Mitica”: è questo il nome dell’operazione coordinata dalla Procura della Repubblica di Bari, che ha disarticolato un’associazione a delinquere dedita a frodare il fisco.
Le indagini iniziate alla fine del 2015 sono state svolte avvalendosi di intercettazioni telefoniche ed ambientali, pedinamenti, appostamenti, accertamenti di natura finanziaria e patrimoniale nei confronti di vari soggetti appartenenti ad un sodalizio criminale, costituito da imprenditori professionisti locali che, avvalendosi di imprese “cartiere” riconducibili prestanome, hanno posto in essere un articolato sistema di false fatturazioni, per un ammontare complessivo di oltre 107 milioni di euro.
Diversi gli arresti ed i sequestri a Bari e provincia, tuttora in corso da parte del Nucleo di Polizia Tributaria barese, in esecuzione di una ordinanza che applica misure cautelari personali e patrimoniali emessa dal G.I.P. del Tribunale del capoluogo su richiesta della locale Procura della Repubblica. Agli arresti domiciliari sono finiti Giuseppe e Domenico Cardone, amministratori della società Stimac, Costantino Cardone, amministratore della società Miti, Mario Melcarne e Arcangelo Cellamare, amministratori della società Phone Global Service, Lorenzo Gentile, amministratore della società Service ad Consulting, Vincenzo De Guglielmo amministratore della società Degu Service, Domenico Grossi, imprenditore con la propria ditta Dg Costruzioni e Forniture edili, ed un commercialista di Triggiano , Giovanni Antonio D’Elia, .
Il profitto dell’attività illecita realizzato dalla consorteria è stimato in oltre 18 milioni di euro. E’ stato disposto il sequestro diretto del denaro nei confronti di Stimac e Phone Global Service ed, in caso di mancato rinvenimento del denaro presso le aziende, il sequestro cosidetto per equivalente, con vincolo di solidarietà nei confronti delle indicate persone sottoposte ad indagine.
L’artificioso sistema di rendicontazione contabile consentiva ai partecipanti di ottenere illeciti vantaggi fiscali, sottraendosi al pagamento delle tasse per una parte considerevole dei reali ricavi provenienti dalle rispettive attività imprenditoriali effettivamente svolte e così facendo potevano contare su riserve finanziare occulte, alcuni delle quali depositate su conti bancari all’estero, provenienti dal denaro contante “di ritorno”, cioè di quanto rientrava a fronte dei pagamenti delle false fatture ricevute.
L’organizzazione di evasori aveva accumulato una ingente liquidità, attraverso un parallelo meccanismo di false fatturazioni, che prevedeva la restituzione al netto della provvigione (il profitto) di spettanza degli associati e che veniva successivamente messa a disposizione di altri imprenditori, esterni al sodalizio, per esigenze in corso di approfondimento.
Oltre alle imprese “cartiere”, cioè quelle che emettevano fatture per prestazioni inesistenti, che utilizzavano esclusivamente un conto corrente bancario mediante il quale transitavano i predetti flussi finanziari, sono risultate coinvolte imprese esercenti attività del settore del commercio di prodotti per telefonia e nella produzione di manufatti in cemento, il cui ruolo era quello di ricevere le false fatture delle “cartiere” e dalla società di telefonia ed emettere analoghi documenti falsi nei confronti degli imprenditori che avevano la necessità di disporre del denaro contante.