TARANTO – Militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Taranto hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal gip Vilma Gilli, di alcuni siti ubicati al confine nord dello stabilimento ILVA di Taranto che ricadono in agro dei comuni di Taranto (nelle adiacenze della Cava Mater Gratiae) e di Statte (Gravina Leucaspide), per una superficie complessiva pari a circa 530.000 metri quadrati, trasformati in discariche di rifiuti pericolosi.
L’attività investigativa eseguita dalle Fiamme Gialle ha consentito di individuare nelle suindicate aree circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale, in cumuli dell’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna.
Nove le persone indagate tra responsabili amministrativi e tecnici pro-tempore dell’Ilva spa dal 1995 al 2012 (gestione Gruppo RIVA) che facevano parte del cosiddetto “Consiglio di famiglia“, considerata come scrive il gip nel suo provvedimento di sequestro “una struttura occulta retta da un Patto di famiglia, all’interno della quale erano prese tutte le decisioni più importanti che riguardavano la gestione degli stabilimenti”.
Il provvedimento di sequestro con avviso di garanzia è stato notificato a Fabio Arturo, Claudio, Nicola, Cesare Federico e Angelo Massimo Riva (che facevano parte del Consiglio di famiglia), a Luigi Capogrosso l’ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, Antonio Gallicchio (responsabile del Laboratorio Ecologia, Oli e Circuiti); Domenico Giliberti (redattore della rendicontazione del piano di caratterizzazione Ilva-Sanac) e Renzo Tomassini il responsabile delle discariche per rifiuti industriali a servizio del centro siderurgico .
La richiesta di sequestro dell’ area contaminata, è stata avanzata dal pubblico ministero dr. Mariano Buccoliero, agli indagati ciascuno per il proprio incarico in azienda “non effettuando la dovuta ed obbligatoria attività di controllo e sorveglianza, nonché occultando il reale stato dei luoghi costituito da circa 5 milioni di tonnellate di cumuli di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale situati su tutto l’argine sinistro della Gravina Leucaspide sino al limite del confine con l’azienda agricola di proprietà della famiglia De Filippis, consentivano l’utilizzo e comunque mantenevano, senza metterle in sicurezza, diverse discariche abusive a cielo aperto dei rifiuti di cui sopra per le quali non era istituita alcuna documentazione contabile ambientale anche ai fini della tracciabilità e garanzie finanziarie per la fase di post-gestione“.
Così facendo avrebbero determinato “la realizzazione ed il mantenimento di grandi depositi costituiti dai suddetti rifiuti dall’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna. Tutte opere prive di copertura e rimedi contro lo spandimento di polveri pericolose per la salute, frane (dei depositi di cui sopra) e dispersione in falda del percolato“.
Secondo la contestazione degli inquirenti, conseguentemente “a seguito di ripetute e prevedibili frane dei cumuli di rifiuti che precipitavano nella Gravina, determinavano il mutamento della morfologia della stessa con l’occupazione del fondo di essa ad opera dei suddetti rifiuti (su terreno demaniale e privato), cagionando la deviazione del corso d’acqua ivi esistente. Cosi inquinando l’ambiente circostante e le acque pubbliche torrentizie che scorrevano nel letto della Gravina, acque che insieme a quelle meteoriche, dilavavano i predetti cumuli, trasportando gli stessi e le sostanze nocive contenute per tutta l’estensione della Gravina, depositandoli, in ultimo, anche nei terreni dei De Filippis, nonché nella falda sottostante“.
Gli indagati non avrebbero proceduto neanche “alla dovuta attività di bonifica, cagionando un grave disastro ambientale, alterando e distruggendo una zona di grande pregio paesaggistico e sottoposta alla relativa tutela“.
Appare evidente per il Gip dr.ssa Vilma Gilli, “che la decisione di occultare la situazione delle cosiddette collinette, dato il suo enorme rilievo ambientale ed economico, sia stata assunta proprio all’interno di tale struttura”, a vario titolo, per i reati di disastro ambientale doloso, distruzione e deturpamento di risorse naturali, danneggiamento, getto pericoloso di cose e mancata bonifica dei siti inquinanti.