di Marco Ginanneschi
Tra le diverse categorie che si sono sentite danneggiate e sono salite sulle barricate in questi mesi per protestare contro le riforme volte a rendere l’economia francese più competitiva, forse la più improbabile è quella dei notai. Questa particolare classe di legali, che supervisiona gran parte delle transazioni commerciali e tiene i registri immobiliari pubblici, si opponeva a una modesta sfoltita al groviglio di normative che vincola la loro professione. Anche in Italia, il governo ha provocato indignazione tentando di alleggerire le regole della professione. Il chiasso sollevato da cambiamenti minori su attività molto protette mostra perché le riforme strutturali procedono così lentamente in alcune delle più grandi economie europee.
In America, il compito principale dei notai è rappresentato dal certificare documenti, un lavoro noioso che richiede poca qualificazione. In Francia e in Italia, invece, come in gran parte dell’Europa continentale, beni di valore (case, aziende, azioni, e così via) non possono cambiare di proprietà senza l’approvazione di un notaio. L’ingresso nella professione è regolato da un rigoroso esame. Il numero dei notai è limitato, così come la regione in cui possono esercitare; alcuni dei loro onorari sono anch’essi fissati. In Francia ci sono anche regole su chi può possedere un’impresa notarile (i notai, ovviamente) e chi può lavorare all’interno di queste (non gli avvocati, i ragionieri o altri professionisti). Così, un’impresa notarile può cambiare di proprietà solo con il benestare dell’associazione professionale. In Germania, i notai devono leggere tutti i documenti ad alta voce di fronte alle parti interessate prima di firmarli, chiuderli con un nastro e sigillarli con la ceralacca rossa (quando poi tornano a casa, si applicano delle sanguisughe e leggono al lume di candela…).
Tutte queste normative fanno lievitare i costi e proteggono i notai dalla concorrenza, facendone una professione molto remunerativa. Nel 2010, il notaio libero professionista francese medio guadagnava 190.812 euro (265.309 dollari). In Italia, la cifra ammontava a 210.400 dollari. Il margine di profitto medio dei notai francesi nel 2010 era del 35 per cento. Questi costi sono sostenuti, ovviamente, da chi compra e vende beni, in particolare immobili. L’Ocse, un club in larga parte di paesi ricchi, ha rivelato nel 2009 che le spese legali fanno aumentare i costi dell’acquisto di una casa dell’1 per cento in Francia e del 2 per cento in Italia, rispetto allo 0,25 per cento nel Regno Unito. Tra il 1981 e il 2011, mentre i prezzi delle proprietà francesi s’impennavano, le spese sostenute per le transazioni immobiliari, che rappresentano la metà delle entrate dei notai, sono cresciute del 68 per cento. E questo nonostante l’uso crescente della tecnologia, che ha aiutato a far calare le spese dei notai.
La riforma francese prepara il terreno a un aumento del numero dei notai in alcune parti della Francia. Rende anche i loro onorari più trasparenti. Meglio ancora, i notai saranno autorizzati ad aprire studi con ragionieri e avvocati per fornire ai clienti uno “sportello unico”, cosa che dovrebbe aiutare ad abbassare i prezzi delle transazioni. Ma la legge che introduce queste misure è così controversa che il governo non ha voluto rischiare di sottoporla al voto dell’Assemblea Nazionale ma l’ha mandata avanti attraverso un decreto.
In Italia, diversi governi si sono dedicati ai privilegi dei notai. Dal 2006, per esempio, è possibile comprare una macchina usata senza fare ricorso a un notaio. Nel 2012 il governo di allora ha abolito le tariffe fisse. Questo, insieme a un crollo delle transazioni, ha tagliato le loro entrate: nel 2008 il loro fatturato medio era di 440.800 euro. Il governo attuale vuole spingersi ancora più in là, permettendo ai notai di esercitare in tutto il paese invece che in una regione designata. Spera anche di abolire la disposizione secondo la quale i notai mettono insieme le loro entrate allo scopo di assicurare un minimo per tutti: un sistema che disincentiva la competizione. In modo ancora più radicale, vorrebbe permettere a semplici avvocati di autorizzare determinate transazioni che sono attualmente di competenza esclusiva dei notai, come la vendita di proprietà non residenziali che valgono meno di 100mila euro e la registrazione di particolari tipologie di aziende.
I notai argomentano che autorizzare delle transazioni senza la loro supervisione aumenterà il rischio di frode. La Banca mondiale, dopo tutto, considera il sistema italiano di registrazione delle proprietà superiore a quello britannico o tedesco. Ma l’Italia, d’altra parte, un posto terribile per far rispettare un contratto in sede giudiziale, cosa che diventerebbe necessaria se gli avvocati subentrassero al posto dei notai. “In un Paese dove ci sono così tante cose da cambiare”, commenta Eliana Morandi, un notaio italiano che ha lavorato anche negli Stati Uniti, “è irrazionale pensare di iniziare con una cosa che funziona”.
Ma ci sono buone ragioni per preoccuparsi degli alti costi delle transazioni. Uno studio dell’Ocse pubblicato nel 2011 ha rivelato che gli alti costi legali sugli acquisti delle case agiscono come un disincentivo rilevante a traslocare. Il rapporto suggerisce che anche una piccola riduzione di questi costi incoraggerebbe una maggiore mobilità, cosa che potrebbe aiutare i disoccupati a trovare un lavoro. Con una disoccupazione al 10,2 per cento in Francia e al 12,6 per cento in Italia, sembrerebbe una riforma che chiunque dovrebbe firmare.