ROMA — Stavolta i nemici interni di Luigi Di Maio si sono esposti e presentati in massa decisi a raggiungere l’obbiettivo di disarcionare Di Maio dalla guida del Movimento 5 Stelle, sin dall’indomani della pesante sconfitta delle ultime Elezioni , che viene accusato ancora una volta di aver concentrato su di sè e sulla corte dei suoi “fedelissimi” troppo potere, e di volerlo gestire in totale autonomia solitudine potendo contare sul sostegno di Davide Casaleggio e della inattendibile piattaforma Rousseau, che viene utilizzata (senza alcuna forma di garanzia e democrazia) come specchietto per le allodole a fronte delle scelte calate dall’alto come l’alleanza col Pd, e l’accordo per le regionali in Umbria, anziché essere come millantato uno “strumento di democrazia diretta“.
Luigi Di Maio viene accusato di voler occupare troppi ruoli, lasciando così facendo il Movimento senza una guida, sopratutto ora che il “signorino” di Pomigliano sarà spesso fuori Italia dopo essere diventato ministro degli Esteri, pur essendo privo di alcuna esperienza, senza conoscere le lingue straniere, ed essersi reso responsabile di sconfinamenti politici in altri Paesi .
Ieri pomeriggio il senatore Emanuele Dessì si è presentato con un documento di poche righe davanti gruppo Cinquestelle a Palazzo Madama diventato negli ultimi tempi un “covo” di rancori e malcontento, facendo una proposta sin troppo esplicita: votare la modifica statutaria per sostituire Di Maio con un organo collegiale a dieci componenti, cioè ripristinare il vecchio “direttorio”. Secondo il vicecapogruppo Gianluca Perilli, non si può fare perchè ci sono delle procedure da rispettare. Ma l’adesione al documento di Dessì è stato condiviso da molti, forse troppi e si quindi avviata una raccolta firme per chiedere quello che la maggioranza dei senatori grillini ritiene non più rinviabile, con un appello aperto al garante Beppe Grillo affinchè intervenga per rimediare alla situazione imbarazzante che mette a serio rischio la tenuta del Governo nelle aule di Palazzo Madama.
Contro Di Maio si è formato un “correntone” di storici esponenti grillini: da Barbara Lezzi a Nicola Morra, Alberto Airola e Mario Giarrusso. Assieme a loro gran parte della truppa dei parlamentari grillini arrivati al secondo mandato, come anche Luigi Di Maio, che sembrano pronti a voler destabilizzare e rovesciare quello che sembrava uno strapotere intoccabile fino a poco tempo fa .
I “falchi” del gruppo M5S al Senato approfittando sull’ assenza di Paola Taverna, e sul fiancheggiamento esterno di Alessandro Di Battista, hanno quindi avuto gioco facile a pilotare il dibattito contro Di Maio potendo contare sul fiancheggiamento degli oppositori come Nicola Morra, della linea politica di Di Maio: “Lo dico da sempre, Luigi non può fare tutto da solo, serve più condivisione” , posizione che può contare anche sulla rabbia e delusione degli (ex) fedelissimi, Barbara Lezzi e Michele Giarrusso su tutti, che sono stati esclusi dal governo. Emblematico il silenzio di alcuni dei fedelissimi in passati ritenuti più vicini a Di Maio, come Danilo Toninelli attuale capogruppo in pectore. Segno che ha scavato a fondo.
A remare contro sono Di Maio sono i grillini che non hanno condiviso l’intesa con il Pd, e che non hanno accettato di esserne rimasti ai margini. Vuoi perché hanno perso potere, o perché non ne hanno guadagnato abbastanza. Tutti i dissidenti fanno capo ad Alessandro Di Battista più o meno esplicitamente . Rispetto alle correnti sotterranee che da sempre vivono dentro i 5 stelle, sebbene negate, la novità, è che ora i nuovi protagonisti dell’opposizione interna si coordinano e vengono allo scoperto. Si confrontano, discutono, condividendo reciprocamente i post che scrivono sui social. Così facendo si è creata una vera e propria “rete” di opposizione interna e puntano a raggiungere dei risultati immediati: in primo luogo ad aumentare la loro influenza nei gruppi parlamentari e tra gli eletti nei comuni e nelle regioni di tutt’Italia. Anche perchè non avendo Beppe Grillo schierato dalla loro parte, è solo aggregando la base del movimento che possono sperare di ribaltare l’attuale vertice.
Una rivolta quella degli esponenti del M5S al Senato che quindi coinvolge e tocca di fatto anche Davide Casaleggio il figlio del co-fondatore del movimento, che viene accusato senza tanti giri di parole, di interagire in simbiosi con Di Maio pur di perseguire i suoi interessi personali, a danno del Movimento. Giarrusso non usa mezzi termini: “L’utilizzo della piattaforma Rousseau va precisata e rafforzata, le decisioni non possono essere rimesse sempre alla discrezionalità del capo. Il potere si tramanda di padre in figlio solo nelle monarchie o nelle dittature, ma la storia insegna che finiscono sempre nel sangue. Ma siccome viviamo in un’epoca diversa, per il nostro caso sarà sufficiente un grosso vaffa alla Grillo“.
Arriva una stoccata anche nei confronti di Toninelli, candidato capogruppo al Senato: “Danilo deve raccontarci per filo e per segno come mai abbiamo mandato a quel paese 6 milioni di elettori. Finché non chiarisce su quanto successo nell’ultimo anno e mezzo, non abbiamo bisogno di ulteriori ambiguità” . Ma se il Senato sembra una pentola in ebollizione pronta ad esplodere , anche la Camera Di Maio non se la passa meglio. Basti pensare al toto-capogruppo. Per il ruolo attualmente ricoperto da Francesco D’Uva si sono fatti avanti in undici: Emanuela Corda, Sebastiano Cubeddu, Gianfranco Di Sarno, Leonardo Donno, Paolo Giuliodori, Anna Maccina, Pasquale Maglione, Marco Rizzone, Francesco Silvestri, Raffaele Trano e Giorgio Trizzino. Un vero e proprio intrigo di cordate, correnti interne e sottocorrenti pronte a scontrarsi tra di loro, nella consapevolezza che ci sarà tempo fino a lunedì per ritirare la candidatura e trattare nuove posizioni nel direttivo.
Il vero scontro che si profila all’orizzonte è tra Macina e Silvestri (in tandem con Riccardo Ricciardi considerato molto “vicino” a Roberto Fico. Minuzie rispetto a quanto sta accadendo a Palazzo Madama con i senatori che hanno messo alla berlina per la prima volta il leader Di Maio sempre più contestato e debole. Fantascienza fino a qualche mese fa, proprio come l’accordo con il Pd. Ma tutto, appunto, può succedere.
Si confida quindi ancora su Grillo per disarcionare Di Maio. Il senatore Primo Di Nicola sostiene che “serve più collegialità, tornare allo spirito originario. È ora di introdurre il principio democratico dell’elezione dal basso verso l’alto di tutti i livelli, organi e cariche”, e quindi occorre modificare lo Statuto che peraltro è stato “scritto da Luca Lanzalone“, l’ex presidente dell’ Acea di Roma finito prima in carcere ed ora sotto processo per corruzione, e “che presenta vari profili di nullità perché contrasta coi nostri principi, a cominciare da quello che vieta il cumulo degli incarichi», aggiunge da giurista Ugo Grassi.
Il leader politico Luigi Di Maio, in viaggio diplomatico in America, sembra spiazzato e tace, lasciando parlare il suo staff. “Luigi Di Maio è all’assemblea delle Nazioni Unite, sta pensando al Paese“, sostenendo che il processo di riorganizzazione del Movimento sia stato già avviato. Nel frattempo scatta la contraerea a difesa, che però viene immediatamente sminuita da Morra : “Il sale della democrazia è il confronto, in cui tutti possono dire la loro e vengono ascoltati“.
In assemblea sono pochi a parlare. Lo fa il senatore Vaccaro che dice “Luigi ha portato il M5s al 33%, siamo al suo fianco” dimenticando che nelle ultime due tronate elettorali il M5S ha perso la leadership dei consensi nel Paese . “Piena fiducia” aggiunge il Sen. Coltorti. Ma in molti sono rimasti zitti in assemblea. Ed ora i fedelissimi di Di Maio temono che anche il gruppo alla Camera possa allinearsi alla sfiducia ricevuta dal gruppo di Palazzo Madama.
I sottoscrittori del documento contro Di Maio non sono degli oppositori qualsiasi, ma degli ex “fedelissimi” che hanno gestito anche molto potere. e che hanno attraverso Max Bugani un legame stretto anche con l’associazione Rousseau, Dopo la lite che li ha divisi, Bugani consigliere comunale a Bologna socio di Davide Casaleggio, è tornato dalla parte di Di Maio, ma è molto arrabbiato per com’è andata la trattativa del nuovo contratto col Pd considerato “un accordo al ribasso“. Il nemico è anche il premier Giuseppe Conte. E nemici sono i parlamentari che si sono allineati con Di Maio per l’accordo a tutti i costi pur di governare insieme al Partito Democratico. Adesso gli ex “colonnelli” ce l’hanno anche e soprattutto con il capo politico Di Maio. E assicurano che continueranno a farsi sentire.