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22 Novembre 2024 02:19

La manovra in deficit del Governo spaventa la Borsa, bruciati 22 miliardi. Ecco perchè qualcosa non quadra…

A cause della manovra fortemente voluta dal M5S , la Borsa di Piazza Affari a Milano brucia 22 miliardi. "È abbastanza chiaro che i costi si scaricherebbero in maniera sempre maggiore sui giovani, cioè chi lavorerà in futuro" spiega il professor Francesco Daveri, docente di Macroeconomia alla Business School dell' Università Bocconi di Milano. Le misure sono state duramente criticate dal presidente dell’Inps, Tito Boeri. "C’è una grande iniquità nelle scelte del governo sulle pensioni e questo è un pericolo molto serio"

ROMA – Butte notizie per la finanza e l’economia italiana.  Il Def, varato dal Governo giovedì sera, affossa i mercati: crolla Piazza Affari e vola lo spread. Il differenziale Btp-Bund, che stamani aveva sfondato quota 280 punti base, ha chiuso in rialzo a 267 punti base da 235, sulla piattaforma Bloomberg, col tasso sul decennale al 3,13%

La Borsa di Milano in profondo rosso. Il Ftse Mib lascia sul terreno il 3,72% a 20.711 punti. Sotto pressione i titoli bancari.  Il Ftse All Share, l’indice che rappresenta tutte le azioni del listino, ha perso il 3,51%, mandando in fumo oltre 22 miliardi di euro di capitalizzazione 

Il reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, abolizione della riforma Fornero. Tre fra i capisaldi della definita “manovra del popolo” annunciati ieri dal vicepremier Luigi Di Maio in realtà rischiano di scaricarsi sui giovani, quelli intesi come il blocco anagrafico che è appena entrato nel mercato del lavoro o cercherà di metterci piede nei prossimi anni.   A  far lievitare la “tassa” sulle nuove generazioni sono soprattutto le due misure che hanno tenuto sotto pressione fino all’ultimo l’esecutivo, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della Legge Fornero. Un accoppiata di misure dai costi importanti – 10 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza 7 miliardi per abolire la Fornero – senza alcuna chiara garanzia sul risultato.

Il reddito di cittadinanza in realtà potrebbe creare più spese che benefici, mentre il nuovo sistema pensionistico, la cosiddetta “quota 100“, si tradurrebbe in un carico fiscale ultradecennale per le nuove generazioni, e tuto ciò senza valutare alcuni effetti collaterali a misure minori, come un incremento del precariato.  Il reddito di cittadinanza, identificato con contributo da 780 euro per chi è disoccupato e maggiorenne, dovrebbe essere destinato ad un totale di 6,5 milioni di persone, senza differenziazioni particolari sull’età anagrafica. L’impatto teorico dovrebbe essere quello di ridurre la povertà relativa e di incentivare, in parallelo, una ricerca attiva del lavoro: i beneficiari sono tenuti a iscriversi ai centri per l’impiego, accettare una delle prime tre proposte che gli vengono avanzate nell’arco di due anni e seguire corsi di formazione.

La pericolosa manovra del governo Lega-M5S prevede anche una misura pressoché identica in ambito prevideziale, chiamata “pensione di cittadinanza” e consistente nell’integrare gli assegni pensionistici inferiori ai 780 euro fino a che non si raggiunge quella soglia. L’idea del reddito di cittadinanza potrebbe servire a contrastare la povertà relativa delle nuove generazioni in alcune regioni del Mezzogiorno, dove i tassi di disoccupazione viaggiano anche oltre il 50% nella fascia 15-24 anni e intorno al 30% nel blocco dei 25-34enni.

Tutto ciò però non produce alcuna maggiore occupazione, raggiungendo esclusivamente il risultato di aumentare il peso della fiscalità su tutti (giovani e meno giovani) senza risolvere in realtà i disagi della categoria più vulnerabile, cioè quella dei giovani. I rischi sottovalutati sono almeno due.  In primo luogo l’incentivo monetario potrebbe fare da deterrente all’accettazione di un lavoro o favorire l’economia in nero (quindi in evasione fiscale), consentendo ad alcuni beneficiari di fare un lavoro non dichiarato e incassare in parallelo il sussidio. In secondo luogo non vi è alcuna certezza e garanzia che i centri per l’impiego riescano davvero a produrre tre richieste di lavoro pro capite nell’arco di 24 mesi, se si considera che fra 2003 e 2010 (dati Isfol) hanno ricollocato meno del 3% di chi cercava lavoro.

il premier Giuseppe Conte ed il suo portavoce Rocco Casalino

La manovra accenna anche a una riforma delle strutture in questione, ma non è stato chiarito in alcun modo come verrà attuata e quali saranno le risorse specifiche scorporate dal pacchetto da 10 miliardi di euro per la misura. o favorire l’economia «informale», cioè in nero, permettendo ad alcuni beneficiari di mantenere un lavoro non dichiarato e incassare in parallelo il sussidio. Va detto che la manovra accenna anche a una riforma delle strutture in questione, ma non è chiaro come verrà attuata e quali saranno le risorse specifiche scorporate dal pacchetto da 10 miliardi di euro per la misura.

Il peso economico più tangibile per le nuove generazioni, arriverebbe comunque dall’introduzione della cosiddetta quota 100 sulle pensioni (un sistema che permette di andare in pensione in anticipo quando si raggiunge la somma 100 fra età anagrafica e anni totali di contributi). In questo caso si parla di un costo di 7 miliardi per il 2019, ma la spesa rischia di distribuirsi soprattutto sul lungo periodo.

Capire il perché è abbastanza semplice. Se si permette di abbassare l’età pensionsabile rispetto ai 67 anni attuali, le opzioni sono due: abbassare l’assegno pensionistico di chi sceglie di ritirarsi prima o far pagare il tutto alla fiscalità generale. A quanto si apprende la via percorsa dalla quota 100 dovrebbe essere la seconda, traducendosi in un maggior carico di tasse per chi verserà i contributi in futuro. “È abbastanza chiaro che i costi si scaricherebbero in maniera sempre maggiore sui giovani, cioè chi lavorerà in futuro” spiega al quotidiano economico-finanziario Il SOLE 24ore il professor Francesco Daveri, ordinario di Politica economica all’Università di Parma e docente di Macroeconomia alla Business School dell’ Università Bocconi di Milano.

il professore Francesco Daveri

Sia Salvini che Di Maio hanno sostenuto che la platea di lavoratori in uscita circa 400mila lascerebbe spazio a un numero identico di giovani in entrata. Un gioco a risultato zero che, però, trova pochi riscontri nei fatti. “Dietro sembra esserci l’idea di fondo che l’economia italiana sia imbalsamata, sempre con lo stesso numero di lavoratori: se ne escono 100 ne entrano 100. Ma non è così semplice” commenta  Carlo Mazzaferro, professore al dipartimento di Scienze statistiche all’Università di Bologna. A dire il vero in realtà emerge il contrario: l’aumento del lavoro nelle fasce più adulte delle popolazione è sempre coinciso con l’aumento del lavoro anche per quelle più giovani.

È vero che negli anni della crisi si è creata una polarizzazione sfavorevole alle nuove generazioni ed a tutt’oggi, il lavoro over 50 cresce a ritmo molto più intenso di quello under 30:  fra il 2004 ed il 2017 il tasso di occupazione della fascia 55-64 anni è salito 46,2% al 52,2% mentre per chi ha fino a 29 anni  il salto è cresciuto da 34,7% soltanto al 36%  cioè appena dell’ 1,3%. In entrambi i casi le assunzioni sono vincolate a fattori diversi da una questione di flussi fra uscite ed entrate di risorse nella forza lavoro, come la crescita economica  tutt’altro che esaltante per l’Italia , l’elevato cuneo fiscale ed in generale, la capacità della aziende di assorbire certe risorse.

Un altro inconviente della manovra potrebbe nascondersi, incredibilmente in un’agevolazione prevista dalla “flat tax” tanto cara alla Lega di Salvini: l’aliquota del 15% sulle partite Iva per i redditi fino ai 65mila euro. Il primo step verso quella che dovrebbe trasformarsi nella flat tax, anche se di “flat” è rimasto poco e si marcia verso un sistema con almeno due aliquote di imposizione. Il tetto, spiega il professor Mazzaferro, potrebbe indurre i datori di lavori a preferire il lavoro autonomo all’occupazione dipendente, alimentando quindi la  precarietà nel mirino della componente pentastellata del governo.

Il ragionamento di base è piuttosto crudo, ma realistico. Se si può scegliere di evitarsi i costi di assunzione, ha senso “ostinarsi” su stabilizzazioni che richiedono procedure burocratiche e fiscali così onerose? “Le imprese ragionano in base agli stimoli che ricevono – conclude  Mazzaferro È chiaro che bisogna aspettare e vedere come si evolveranno davvero questo norme. Ma se qualcosa conviene, chi impedisce alle imprese di metterla in pratica?“.

Previste alcune riforme istituzionali: il potenziamento degli istituti di democrazia diretta e l’eliminazione del quorum strutturale nel referendum abrogativo; la riduzione del numero dei parlamentari, con la diminuzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 e la soppressione del Cnel. Incredibilmente il governo Lega-M5S  “ricicla” il progetto referendario di Matteo Renzi, che avevano fortemente osteggiato. Definirla “coerenza” significherebbe bestemmiare !

il ministro dell’ economia e finanze  Giovanni Tria

A rischio anche la credibilità del ministro Tria. Dopo che Piazza Affari ha ceduto il 3,72% e 22 miliardi di capitalizzazione, trascinata dalle forti vendite sui titoli bancari, più esposti all’andamento dei Btp. Al termine della seduta, lo spread chiude a 267 punti base dopo aver toccato un picco a 280 punti mentre il rendimento del Btp decennale ha superato il 3%. Il prossimo choc dovrebbe arrivare a fine ottobre, quando le agenzie di rating potrebbero tagliare il giudizio sull’Italia. Un esito “a questo punto quasi certo“, commenta un gestore, “e in parte già scontato dai mercati“. A deludere, si spiega dalle sale operative, non è tanto il numero in sé quanto la credibilità del ministro dell’Economia Giovanni Tria e del governo nel suo complesso, dopo che nei giorni scorsi è passato chiaro il messaggio che l’Italia avrebbe rispettato gli impegni con l’Europa. L’altro elemento di preoccupazione sui mercati è lo scontro con l’Europa, che ha già manifestato la propria preoccupazione per i numeri del Def e che dovrà dare il suo giudizio sulla manovra.

Il dato sul deficit “poteva essere peggio”, scrive in una nota Credit Suisse. Mentre Trianon è più percepito come garante del mercato“, commenta Alessandro Balsotti, gestore del Jci Fx Macro Fund. “Il problema è il punto di partenza del rating italiano, molto prossimo alla perdita dello status di paese Investment grade. La perdita di questo giudizio provocherebbe l’esclusione dell’Italia dai più importanti indici obbligazionari mondiali, scatenando la liquidazione forzata di titoli di Stato italiani da parte di molti investitori esteri, inclusa la stessa Bce, come accadde per Grecia e Cipro“, spiega Andrea Delitala, a capo dell’ Investment Advisory di Pictet Asset Management.  A preoccupare, tra le misure annunciate, anche le modifiche annunciate alla riforma Fornero del sistema pensionistico.

il presidente dell’ INPS, Tito Boeri

Le misure sono state duramente criticate dal presidente dell’Inps, Tito Boeri.C’è una grande iniquità nelle scelte del governo sulle pensioni e questo è un pericolo molto serio – ha detto Boeri -. Ammesso e non concesso che per ogni pensionato creato per scelta politica ci sia un lavoratore giovane bisogna tenere conto che chi va in pensione oggi in media ha una retribuzione di 36.000 euro lordi, mentre un giovane assunto con contratto a tempo indeterminato, cosa molto rara, avrà una retribuzione di 18.000 euro. Quindi ci vorrebbe la retribuzione di almeno due giovani lavoratori per pagare una pensione“.

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