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22 Luglio 2024 13:41
22 Luglio 2024 13:41

La politica e lo specchio rotto di Dorian Gray

Dovevamo arrivare a questa campagna per vedere forse -forse- le cose da un altro punto di vista. Offrendo al paese l’occasione per confrontarsi con quella parte di sé che la politica ha quasi sempre cercato di occultare. E cioè la conservazione di qualcosa - da una parte e dall’altra.

di Marco Follini*

Il centrodestra, per voce di Giorgia Meloni, si proclama “conservatore“. Non è un rovesciamento da poco. Agli albori, sotto l’egida di Berlusconi, quello stesso schieramento faceva del suo meglio per proclamarsi nuovo, inedito, quasi fresco di giornata. Un’armata di innovatori a cui era affidato finalmente il compito di rovesciare le tradizioni politiche che avevano tenuto banco fino a pochi anni prima. L’improvvisazione era il marchio di fabbrica di quel centrodestra e al tempo stesso il suo punto debole.

Si dirà che il conservatorismo di Fdi somiglia semmai all’eterno “Dio-patria-famiglia” tipico delle destre di tutti i tempi e di quelle fuori dal tempo. Più De Maistre che Prezzolini, per citare due dei suoi profeti. Ma è una paradossale novità che quella parola, conservatore appunto, assurga ora a nuovi fasti.

Giorgia Meloni

Dall’altra parte della barricata infatti c’è un’alleanza che ha anch’essa, a sua volta, più di molti tratti che richiamano antichi codici politici. Anche dalle parti del centrosinistra infatti si vuole mettere al riparo quel che resta delle più blasonate tradizioni politiche del dopoguerra, il quadro delle nostre alleanze internazionali, le preziose regole costituzionali che fissano l’equilibrio dei nostri poteri, e molti altri dei nostri usi e costumi. In una parola, tutto quello che il nostro passato collettivo ha saputo presidiare e per l’appunto conservare.

Così ancora una volta si potrebbe dire, prendendo in prestito Carlo Levi, che il nostro futuro ha un cuore antico. A patto di sapere che si dice ora quel che si è troppo spesso taciuto.

Il fatto è che nel gioco degli specchi di tutti questi anni l’enfasi sul progressismo, il rinnovamento, l’innovazione aveva spesso un che di forzato. Era un lessico diffuso, reiterato, qualche volta dogmatico. Eppure come tutti i dogmi poteva richiamare un’obiezione. Come a rivelare una diffusa scontentezza per se stessi, oltre che per l’ordine delle cose. Solo Berlinguer, nei tempi andati, ebbe il coraggio di definirsi “conservatore e rivoluzionario”. Ma forse anche nel suo caso era il secondo carattere che aveva la meglio sul primo.

Così, dovevamo arrivare a questa campagna per vedere forse -forse- le cose da un altro punto di vista. Offrendo al paese l’occasione per confrontarsi con quella parte di sé che la politica ha quasi sempre cercato di occultare. E cioè la conservazione di qualcosa – da una parte e dall’altra.

Naturalmente non è detto che le parole debbano essere prese alla lettera. Tantomeno in una campagna tra le più brutte che si siano viste fin qui (a detta innanzitutto da coloro che la conducono). Ma quelle parole svelano pur sempre qualcosa, anche quando vorrebbero nasconderlo. Come se stesse affiorando un sottinteso che per anni e anni abbiamo fatto del nostro meglio per non rivelare a noi stessi.

Il fatto è che noi siamo un paese conservatore. Che però non ama raccontarsi come tale, ed è sempre suggestionato da chi gli offre lo specchio di Dorian Gray per potersi vedere più giovane e attraente. Peccato che lo specchio si sia rotto, da una parte e dall’altra.

*editoriale tratto dal quotidiano LA STAMPA

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