di REDAZIONE CRONACHE
Una vera e propria catena di montaggio, basata su processi, tempi di azione e competenze tecniche precise, consolidate ed estremamente efficaci. Una complessa filiera di azioni criminali, affidata a diversi sodali, alcuni storicamente legati alla banda per capacità criminali e competenze tecniche, altri occasionali. La banda era in grado di immettere nel mercato clandestino, italiano ed estero, decine di auto rubate al giorno, scadenzando con estrema precisione la sequenza di tutte le operazioni illecite necessarie per la nuova identità del veicolo.
E’ questo il quadro apparso, fin dai primi giorni di indagine, agli investigatori della Polizia di Stato – coordinati dai pm Giuseppe Bontempo e Valerio De Luca della Procura di Latina – che, nelle prime ore del mattino, hanno eseguito, tra Italia e Francia, 11 custodie cautelari in carcere per altrettanti componenti di una pericolosa organizzazione criminale italo-francese. Un quadro investigativo particolarmente complesso a causa di un consolidato sistema criminale frenetico e, a tratti, compulsivo e, proprio per questo altamente redditizio.
I poliziotti della Sezione di Polizia Giudiziaria del Compartimento Polizia Stradale di Roma e del Distaccamento di Aprilia, hanno contestato ai membri dell’associazione criminale, i reati di furto e riciclaggio internazionale di veicoli oltre che alla ricettazione, all’ appropriazione indebita, alla truffa, al falso e all’estorsione. Per alcuni episodi criminali è stata accertata anche l’aggravate della transnazionalità, anche grazie alla collaborazione della Polaria (la Polizia di Frontiera) dell’aeroporto di Ciampino.
Nei sei mesi di indagini effettuate, nell’ambito dell’operazione denominata Marrakech Express, gli investigatori della Polstrada hanno arrestato quattro persone (di cui una in Francia) e ne hanno denunciate altre dieci. Inoltre hanno recuperato e restituito agli aventi diritto, 33 veicoli di ingente valore quantificabile in oltre due milioni di euro. Durante le perquisizioni sono stati rinvenuti soldi contanti e strumenti idonei per l’illecita attività.
L’organizzazione criminale e la divisione dei compiti
Il “capo” indiscusso del gruppo criminale, nota conoscenza delle forze di polizia, era un cittadino italiano di origine marocchina, ben noto nell’ambiente anche per i suoi metodi bruschi ed intimidatori. L’uomo controllava e gestiva tutte le attività effettuate dai complici a cui, di volta in volta, affidava compiti e rigorosi tempi di azione, svolgendo anche una capillare azione di controllo sul loro operato. Era sempre lui a decidere le azioni e i metodi da mettere in campo e a tenere tutti i contatti all’interno dell’ampia rete criminale sia in ambito locale che internazionale grazie alla conoscenza delle lingue italiana, francese e araba. Si era procurato persino in Francia una base logistica da utilizzare come punto di approdo dei veicoli che dovevano entrare nel mercato clandestino internazionale.
I procacciatori di auto, attraverso ripetuti sopralluoghi su vaste aree del territorio, ricercavano i veicoli da rubare e, subito dopo, il momento giusto per farlo. I criminali si impossessavano dei veicoli attraverso diverse dinamiche; in alcuni casi rubavano i veicoli su strada o nelle grandi aree di parcheggio; altre volte li rubavano approfittando di un momento di distrazione dei proprietari (ad esempio mentre erano intenti a fare benzina); oppure li sottraevano dall’interno degli autosaloni, probabilmente grazie anche alla complicità di qualche dipendente infedele. In altri casi, invece, trattenevano indebitamente veicoli regolarmente noleggiati presso attività dislocate in tutta Italia. Le auto rubate, con tempi e cautele consolidate, venivano portate nelle officine per la “trasformazione”.
A quel punto entravano in gioco meccanici e carrozzieri complici, che modificavano il telaio, sostituivano le targhe e riparavano quando era necessario gli eventuali danni causati dall’effrazione. Il primo compito da effettuare, in modo estremante rapido era la bonifica dei mezzi attraverso la disattivazione degli allarmi e dei sistemi di geo-localizzazione installati sul veicolo. La “sterilizzazione” era il compito più rischioso e delicato, in quanto doveva essere effettuato in tempi brevissimi, onde evitare l’intervento delle Forze dell’ordine, e senza provocare danni al veicolo.
Nel frattempo, i falsificatori specializzati, si adoperavano per produrre la documentazione falsa o alterata necessaria a costruire una nuova identità delle auto una volta ripulite. L’ultimo passaggio di questa “catena di montaggio” era affidato ai drivers, conducenti talvolta occasionali, i quali, dopo aver lavato e lucidato i veicoli, li guidavano e trasferivano fino a raggiungere i cosiddetti punti di scambio, in Italia o all’estero. Dunque una procedura strutturata che non consentiva errori o ritardi nella filiera. Se un veicolo era in partenza per l’estero almeno altri tre/quattro dovevano essere in lavorazione.
L’attività investigativa
L’indagine è risultata particolarmente complessa in quanto è stato necessario monitorare contemporaneamente i numerosi siti utilizzati dalla banda per le diverse fasi dell’attività criminali. Tra queste, il maggiore impegno era richiesto nel seguire i viaggi dei drivers che attraversavano l’Italia per trasportare il veicolo oltralpe. Per contrastare queta illecita esportazione è stata indispensabile la collaborazione dei Centri Operativi della Polstrada dislocati sulla rete autostradale che, seguendo le indicazioni degli investigatori, hanno potuto bloccare i drivers dalle pattuglie, recuperando le auto.
Fondamentale per l’esito dell’indagine è stata la sinergia con la Polizia francese, con la quale è stato effettuato un complesso scambio info-investigativo durante l’intera l’attività investigativa. I membri della banda, cauti e dissimulatori, avevano nascosto le basi logistiche nella campagna pontina; le auto venivano spogliate di tutti i dispositivi tecnologici e, durante lo smontaggio, le aree venivano isolate con jammer che azzeravano qualsiasi segnale Gps, telefonico e satellitare.
I componenti della banda non parlavano quasi mai al telefono e, le rare volte in cui erano costretti a comunicare utilizzavano un linguaggio sintetico e codificato. Per proteggere la loro attività acquisivano dai fornitori francesi targhe e documenti falsi che servivano per dotare le auto destinate nel territorio francese.