di REDAZIONE CRONACHE
Sono 12 le persone fisiche ufficialmente indagate insieme a 5 persone giuridiche (cioè società) in applicazione della legge 231 del 2001. Tra le società compare la Eni Trading & Shipping, una controllata della multinazionale petrolifera statale, e quelle del gruppo Napag . La Procura di Milano ha quindi chiuso ufficialmente le indagini sul cosiddetto «complotto» organizzato per cercare di depistare le indagini dei magistrati milanesi collegate alle presunte tangenti che l’ Eni e la Shell avrebbero versato in Algeria e Nigeria. I reati ipotizzati a vario titolo sono l’associazione per delinquere, l’induzione a rendere false dichiarazioni, la truffa, la frode in commercio, la ricettazione e altri.
Nell’elenco degli indagati compaiono nomi ormai noti negli ultimi anni della società petrolifera statale, a partire dall’ex dirigente Vincenzo Armanna per arrivare all’ex avvocato esterno Piero Amara faccendiere al centro di molte trame che sanno più di fantasie che di mistero misteriose tra le quali la fantomatica Loggia Ungheria, coinvolgendo capo ufficio legale del gruppo (poi licenziato) Massimo Mantovani ed Antonio Vella ex numero due della società quando Paolo Scaroni era l’ amministratore delegato, l’avvocato Michele Bianco e Vincenzo Larocca, “quali dirigenti dell’Ufficio legale dell’Eni”, e poi ancora, tra gli altri Giuseppe Calafiore, socio-collaboratore di Amara.
Come risulta dall’imputazione di associazione per delinquere, Amara, Armanna, Mantovani, Larocca, Bianco e Vella, si sarebbero associati per “commettere più delitti di calunnia, diffamazione, intralcio alla giustizia” e anche di “corruzione tra privati”. Tutto ciò per “inquinare lo svolgimento – scrivono i pm – dei procedimenti in corso avanti all’Autorità giudiziaria milanese nei confronti di Eni spa e di suoi dirigenti ed apicali per fatti di corruzione internazionale relativi ad attività economiche in Algeria e Nigeria”. Nello specifico, avrebbero anche puntato a screditare con le loro ‘manovre’ gli allora “consiglieri indipendenti di Eni Zingales Luigi e Litvack Karina“. E tutto ciò anche attraverso le ormai note denunce anonime su un complotto inesistente contro l’ad Claudio Descalzi presentate alle procure di Trani e Siracusa .
Nel 2019 Amara, Armanna e Calafiore avrebbero detto il falso raccontando “che Granata, su incarico di Descalzi, avrebbe promesso ad Armanna la riassunzione in Eni” e somme per 1,5 milioni all’anno “attraverso la società nigeriana Fenog, affinché l’ex manager “attenuasse le dichiarazioni accusatorie rese nei confronti dell’ad”. Dall’atto spunta un’altra presunta calunnia di Armanna nei confronti di Descalzi e altri basata su una denuncia che l’ex manager depositò a Roma nel 2020, dove parlava di interventi “sulla mia persona” e presunte false minacce per “farmi desistere dal deporre”.
Nell’elenco dell’ avviso di chiusura dell’inchiesta, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, firmato dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dai pm Stefano Civardi e Monia Di Marco che sono entrati nell’indagine solo pochi mesi fa, non compaiono due nomi illustri di questa inchiesta, cioè l’attuale amministratore delegato dell’ ENI Claudio Descalzi ed il capo del personale Claudio Granata, che inizialmente erano stati indagati ma in questo avviso di chiusura delle indagini non sono presenti. Descalzi e Granata, le cui posizioni sono state stralciate in vista di una richiesta di archiviazione, sono “persone offese” in un’imputazione di calunnia contestata all’avvocato Piero Amara e all’ex manager del gruppo Vincenzo Armanna, grande accusatore dei vertici dell’ ENI nel processo sul caso nigeriano conclusosi con 15 assoluzioni, come emerge dall’avviso di chiusura dell’inchiesta sul ‘falso complotto‘.
Imputazione che segue la linea che aveva intrapreso il pm Paolo Storari, ex titolare del fascicolo che voleva arrestare Amara e Armanna e che abbandonò il fascicolo l’indagine a seguito dello scontro avuto con i vertici della Procura milanese, che ha originato le indagini della Procura di Brescia, competente sugli uffici giudiziari milanesi. L’ aggiunto Laura Pedio è indagata a Brescia anche per le modalità con cui avrebbe gestito le loro posizioni. Storari, ha messo a verbale a Brescia che quei due non potevano essere toccati perché “erano utili” per il processo sul caso Nigeria.