di REDAZIONE CRONACHE
Nel corso delle indagini delegate dalla Procura di Bari alla Guardia di Finanza sulla bancarotta delle società Fimco e Maiora sono emersi anche i fondi pubblici concessi dalla Regione Puglia alle società del costruttore Vito Fusillo utilizzati per la realizzazione della masseria Il Melograno a Monopoli e del porto turistico Cala Ponte di Polignano a Mare in provincia di Bari.
L’inchiesta in questione ha portato all’interdizione dell’imprenditore Vito Fusillo insieme a Marco Jacobini ex presidente della Banca Popolare di Bari, disposta dal tribunale di Bari lo scorso 29 settembre, con ordinanza di arresti domiciliari dei rispettivi figli, Giacomo Fusillo e Gianluca Jacobini.
La Regione Puglia ha contribuito con fondi pubblici alla costruzione della masseria Il Melograno con un finanziamento a fondo perduto di 1,4 milioni di euro, di di ulteriori 7 milioni di euro per la realizzazione del porto turistico Cala Ponte rispetto ai 25 spesi in totale. Contributi questi a fondo perduto che hanno costituito un importante e fondamentale sostegno economico-finanziario per le attività svolte alle società dell’imprenditore Fusillo che da diversi anni versavano in grosse difficoltà e sofferenze finanziarie.
Difficoltà finanziarie che erano condizionate e conseguenti alle spericolate operazioni concertate con i vertici della Banca Popolare di Bari. Il Nucleo di polizia economico- finanziaria della guardia di finanza di Bari ha ricostruito minuziosamente e dettagliatamente numerose operazioni e giri di milioni di euro da una società all’altra del Gruppo Fusillo, acquisti e vendite di immobili tramite fondi esteri, cessioni di quote, operazioni delle quali Vito Fusillo ha fornito chiarimenti in alcuni interrogatori e nelle diverse memorie consegnate alla Procura .
Nel corso dell’ultimo interrogatorio avvenuto lo scorso 6 ottobre dinnanzi alla Gip Luigia Lambriola , firmataria delle ordinanze cautelari, ed al pm Lanfranco Marazia coordinato dal procuratore facente funzione Roberto Rossi, Vito Fusillo ha parlato a lungo sulla questione dei finanziamenti pubblici.”L’operazione della Regione era a fondo perduto — ha detto il costruttore — e finanziava l’albergo e i servizi del porto: gli uffici, il bar, il deposito“. Per il Melograno, invece la Regione aveva finanziato quasi interamente la sua ristrutturazione.
Più o meno un anno fa qualcuno aveva esercitato delle pressioni su Fusillo affinché lo vendesse, esattamente come era accaduto per l’immobile di via delle Muratte, adiacente alla Fontana di Trevi di Roma, che venne svenduto a un immobiliarista, non a caso finanziato sempre dalla Banca Popolare barese. Per evitare di dover sottostare a queste pressioni che arrivavano dalla Popolare, Fusillo chiese nel maggio 2019 alla nipote di reperirgli la documentazione attestante che la masseria Il Melograno, essendo realizzata in parte con fondi pubblici, non poteva essere alenata mediante una cessione, ma doveva restare di proprietà della Soiget, la società di suo figlio Giacomo Fusillo .
L’imprenditore Vito Fusillo è stato molto preciso e dettagliato nel corso del suo interrogatorio sulla questione finanziamenti pubblici e la relativa documentazione sequestrata dalla Fiamme Gialle nel corso delle perquisizioni è adesso oggetto di verifiche ed accertamenti .
Il consulente informatico nominato dalla Procura di Bari ha iniziato oggi a svolgere tutti gli accertamenti tecnici irripetibili sui telefoni e computer degli otto indagati Marco e Gianluca Jacobini, Vito e Giacomo Fusillo, Nicola Loperfido ex dirigente della Banca Popolare di Bari, Vincenzo Giacovelli, Salvatore Leggiero, Girolamo Stabile , ma anche su alcuni supporti informatici di proprietà di Giulia Bruni e Amalia Alicino (cioè le rispettive mogli di Marco e Gianluca Jacobini), che sarebbero stati utilizzati dai mariti.
La Gip Luigia Lambriola ha respinto la richiesta di incidente probatorio sui dispositivi avanzata dai difensori degli Jacobini, ma tali richiesta hanno comportato che gli atti relativi ai contenuti di telefoni e computer non potessero essere depositati per le udienze del Riesame. Ieri infatti è stata discussa la richiesta di annullamento dell’ordinanza cautelare per l’ex dirigente Loperfido , il “re” dei dirigenti della Popolare di Bari che Gianluca Jacobini chiamava “the King”, per significare il suo potere all’interno dell’istituto, come sostenuto anche dalla procura barese.
Gianluca Jacobini, ex condirettore generale della Banca popolare di Bari, attualmente agli arresti domiciliari per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta difeso dagli avvocati Mario Malcangi e Guido Carlo Alleva, lo scorso 6 ottobre si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia dopo l’arresto subito nell’ambito dell’inchiesta sul crac del gruppo imprenditoriale Fusillo di Noci. Con la stessa accusa è stato sottoposto a interdizione suo padre Marco Jacobini, ex presidente dell’istituto di credito barese.
Secondo le indagini della Guardia di Finanza di Bari, coordinate dal procuratore facente funzione Roberto Rossi , la Banca Popolare di Bari si sarebbe di fatto resa complice del fallimento delle società del gruppo Fusillo, concedendo continui sconfinamenti ingiustificati sui conti correnti e linee di credito così aggravando ulteriormente il passivo delle società, di fatto gestendo buona parte delle sue operazioni finanziarie, comprese cessioni di immobili, che in circa 10 anni ne hanno portato al crac di Fusillo.
Dinanzi alla gip Luigia Lambriola e al pm Lanfranco Marazia, aveva risposto per circa un’ora alle domande Nicola Loperfido, agli arresti domiciliari dal 29 settembre per il reato di “concorso in bancarotta fraudolenta”, nell’ambito dell’indagine della Procura di Bari e difeso dall’avvocato Nicola Quaranta, ex responsabile della Direzione Business della Banca popolare di Bari, all’epoca dei fatti gestore per conto della banca degli affidamenti concessi al gruppo Fusillo spiegando di non avere avuto più contatti con i vertici dell’istituto di credito dopo le proprie dimissioni nel 2018 , che ha cercato di chiarire la propria posizione con riferimento alle esigenze cautelari, riservandosi di sottoporsi ad un nuovo interrogatorio sulle accuse a proprio carico, dover esaminato e studiato i 72 mila atti che compongono l’inchiesta.