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22 Novembre 2024 04:30

La rete estesa di “amici” copriva la latitanza di Graziano Mesina scoperta dal Ros

Sono circa venti le persone accusate di aver aiutato l'esponente di spicco del banditismo sardo, attualmente ristretto in carcere per una condanna per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga

La latitanza di Graziano Mesina, esponente di spicco del banditismo sardo, l’ergastolano di Orgosolo, catturato a Desulo, nel Nuorese, dai Carabinieri del Ros il 18 dicembre 2021, secondo quanto contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Cagliari, Michele Contini, venne agevolata da una vasta rete di fiancheggiatori, non solo in ambito familiare.

Dall’inchiesta della Dda è emerso un inquietante “incrocio” fra “colletti bianchicon contatti con i vertici istituzionali della Regione Sardegna, un’associazione segreta e una presunta associazione di stampo mafioso, della quale alcuni componenti erano impegnati nel traffico di droga. L’indagine è destinata ad allargarsi: durante le perquisizioni condotte nell’operazione “Monte Nuovo”, oltre a stupefacenti e contanti, sono state trovate anche munizioni e armi. I Carabinieri hanno acquisito documenti in diverse sedi istituzionali, compresa l’università di Sassari.

Sono circa venti le persone accusate di aver aiutato Mesina, ai quali viene contestato il favoreggiamento con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. L’aiuto a Mesina era considerato da alcuni indagati “un atto dovuto” come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip. L ‘ergastolano era riuscito a sfuggire alla cattura per circa un anno e mezzo sin dal 2 luglio 2020, senza bisogno di lasciare la Sardegna, nascondendosi nelle campagne “coperto” da amici che addirittura, gli dava del “voi” in segno di rispetto e sottomissione.

Gli indagati

Il gruppo di “fiancheggiatori!, secondo gli inquirenti, ruotava attorno a Tonino Crissantu nipote di Graziano Mesina, e Nicolo’ Cossu (per gli amici Nicola, ma noto anche col nomignolo di “Cioccolato“), entrambi di Orgosolo, con precedenti condanne per sequestro di persona, attualmente detenuti in custodia cautelare in carcere anche per associazione di stampo mafioso. Cossu e’ ritenuto dalla Dda una figura centrale anche per i contatti che intratteneva, spesso tramite incontri conviviali (“spuntini”), con pregiudicati, politici regionali, amministratori locali, figure istituzionali, medici e professionisti. La riunione conviviale del gruppo, è sorprendente soprattutto per i nomi di chi vi partecipava, come ricorda il giudice di Cagliari nell’ordinanza che ha portato a 31 arresti: “Il primario Tomaso Cocco (responsabile della terapia del dolore all’ospedale Binaghi di Cagliari, ndr), il suo collega chirurgo Giovanni GusaiGabriella Murgia (la potente assessora regionale all’Agricoltura, ndr), l’avvocato penalista Rinaldo Lai, la scrittrice Giuliana Adamo, il collaboratore dell’Istituto superiore etnografico della Regione Francesco Muscau e varie persone condannate per gravi reati come Matteo Boe.

Da quanto emerge dall’ordinanza del Gip che ha portato a 31 arresti facevano parte del gruppo dei “fiancheggiatori” anche il primario del reparto di Terapia del dolore dell’ospedale Marino di Cagliari Tomaso Cocco, sospeso dalla massoneria il giorno stesso del suo arresto; Battista Mele, nipote di Cossu; Antonio Michele Pinna; Mario Antonio Floris, accusato di aver trasportato con l’aiuto di Paolo Sale e Tomas Littarru il bandito Graziano Mesina da Bono a Desulo, ; Antonio Fadda e Antonio ‘Tonino’ Marteddu‘, indagato per aver fornito rifugio al latitante in un’azienda agricola di Bono fino al 16 novembre 2021; Raffaele Gioi, parente del capofamiglia che ospito’ Mesina nel suo ultimo rifugio a Desulo, cosi’ come Anna e Salvatore Gioi; Giuseppe Paolo Frongia, nella cui abitazione di Desulo fu portato Mesina prima di essere spostato in casa Gioi; e Marco Lai, accusato di aver favorito quest’ultimo spostamento.

Nelle intercettazioni telefoniche e ambientali dei carabinieri del ROS, durante gli spostamenti da un covo a un altro, Graziano Mesina, veniva indicato in codice come “vino'” per confondere e sviare gli investigatori. Il gruppo di fiancheggiatori aveva adottato ogni tipo precauzione per non essere scoperto: incontri concordati attraverso “triangolazioni”, nonostante le persone intrattenessero legami stretti e quindi non avessero bisogno di intermediari per incontrarsi; telefonini lasciati nelle fioriere fuori da un bar di Orgosolo o sul cofano dell’auto, mentre i proprietari si allontanavano per chiacchierate confidenziali, con controlli effettuati sulle auto affidati a dei “bonificatori” (uno dei quali compare fra gli indagati) per scoprire l’eventuale presenza di “cimici'” poi rinvenute in almeno due casi. Ma nel secondo era ormai troppo tardi.

La seconda microspia scoperta dal “bonificatore”, aveva già indirizzato i carabinieri del Ros nell’aboitrazione di Desulo (Nuoro) dove una coppia del posto ospitava Graziano Mesina; quell’abitazione non era stata la “prima scelta” del gruppo, che aveva ipotizzato un’altra sistemazione, probabilmente un ovile, ma la persona interessata non si era resa disponibile all’ultimo momento . Qualche giorno prima il latitante, era stato trasferito senza neanche conoscere la sua destinazione, in pieno giorno da un’azienda di Bono (Sassari), di proprieta’ di uno degli arrestati, nascosto probabilmente nel bagagliaio di un’auto assieme al suo inseparabile zainetto.

foto dell’ arresto di Mesina tratta da Cronache Nuoresi

L’ultimo covo di Graziano Mesina

Mesina faceva ogni tanto due passi fuori dalla casa e poi rientrava nel covo della famiglia Gioi, i coniugi Antioco Gioi e la moglie Basilia Puddu poco dopo la cattura del latitante hanno patteggiato rispettivamente 3 anni e 20 mesi di condanna. La famiglia che lo ospitava era sempre in ansia, come testimonia una telefonata in cui lo scoppio di un petardo per gioco in strada l’aveva messa in allarme; il rumore avrebbe potuto attirare l’attenzione dei carabinieri sulla casa dove Mesina alloggiava. Le intercettazioni sono proseguite anche dopo la cattura e alcuni degli indagati si sono lasciati andare a dichiarazioni compromettenti, convinti che la sorveglianza su di loro fosse cessata.

I carabinieri del Ros, nonostante la stretta vigilanza del gruppo, hanno assistito ai vari passaggi e sono entrati in azione a colpo sicuro prima che Mesina venisse trasferito di nuovo, dato che gli spostamenti venivano programmati dalla rete di amici. Fra oggi e la prossima settimana gli arrestati – alcuni in carcere, altri ai domiciliari – verranno ascoltati dal gip Contini per l’interrogatorio di garanzia.

 Dalle 407 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Michele Contini, spuntano intercettazioni che sembrano lasciare davvero poco spazio a dubbi. È Tomaso Cocco a confermare, ad agosto 2020, ad una giornalista (non indagata, desiderosa di intervistare “Grazianeddu” Mesina ) che l’ex Primula rossa del banditismo sardo non sta bene. A dargli la notizia era stato Tonino Crissantu, parente di Mesina. Qualche mese dopo, il 18 gennaio 2021, lo stesso Coco si rende disponibile a firmare una perizia medica che attesti l’incompatibilità di Mesina con la vita in carcere: “Come sta Grazianeddu?”, chiede il primario in una delle tante intercettazioni telefoniche. Un aiuto l’ha anche fornito a un altro arrestato, riuscendo ad accorciargli i tempi di attesa di un intervento chirurgico.

In parallelo, al Binaghi, Tomaso Cocco aveva iniziato a dirottare in intramoenia tanti pazienti con il chiaro obbiettivo, stando alle indagini, di fare soldi. Ne parla in più di una intercettazione con la mamma, vantando un aumento dei guadagni e raccontando che aveva anche trovato due infermiere compiacenti “che poi prendono i regali che mi portano i pazienti”.

© CDG1947MEDIAGROUP – RIPRODUZIONE RISERVATA |

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