di Tonio Attino
Tu quali giornali leggi? “Nessuno. Mi spiega tutto mia nonna. Ha più di ottant’anni, guarda molto la tv: quando torno a casa da scuola ha già visto tutti i tg e me li racconta”.
Su un quadernetto di appunti, sotto il titoletto in maiuscolo “crisi dei giornali”, ho annotato la più simpatica, disarmante e crudele risposta sul futuro della stampa pronunciata da un ragazzo di quindici anni. Le sue parole non fanno statistica, però le statistiche confermano.
Alla metà degli anni Ottanta si vendevano in Italia sei milioni e 300mila copie di giornali quotidiani su una popolazione di 56 milioni di abitanti. Oggi 60 milioni di persone ne acquistano appena due milioni e 200mila. Benché l’Italia sia cresciuta, in poco più di trent’anni i quotidiani hanno perduto per strada i due terzi dei loro acquirenti e guardano al futuro con preoccupazione. Salvo piccoli, episodici segnali di ripresa, l’andamento delle vendite viene disegnato sui grafici con una linea all’ingiù. Solo un italiano su tre sfoglia ormai un quotidiano, li compra soprattutto chi ha più di quarant’anni. I giovani sono altrove, su internet, cioè tra quel 42 per cento che si informa utilizzando il web e armeggia con gli smartphone grazie ai quali siamo connessi costantemente a internet.
Senza alcuna distinzione di dimensione, prestigio e storia, i giornali su carta stanno vivendo una crisi interminabile e perfino i due più grandi quotidiani italiani, il Corriere della Sera e la Repubblica, hanno perso dal 2008 al 2018 l’uno il 58,7 per cento delle copie, l’altro addirittura il 79,6 per cento. La stampa ha dilapidato gran parte del patrimonio di lettori, ridotto il fatturato del 71,3 per cento – mediamente il 10 per cento in meno ogni anno – e sta attraversando i mutamenti tecnologici in uno scenario in cui primeggiano giganti quali Google, Facebook e Amazon.
Se agli inizi degli anni Ottanta la tecnologia fu lo strumento attraverso il quale gli editori riuscirono a risanare i bilanci usando l’informatica nelle redazioni, la successiva rivoluzione tecnologica – il web – li ha stroncati. Inizialmente gli editori utilizzarono il web per esporre in vetrina i loro prodotti. Avevano l’obiettivo di sfruttare la tempesta di internet e prenderne il vento. Ne sono stati travolti.Neppure la vendita delle copie digitali ha attutito la caduta poiché incidono solo per il 14 per cento del venduto e, considerati gli sconti praticati dagli editori, non hanno alcun peso sui bilanci.
La conclusione è paradossale: pure gracile e malaticcia, la carta stampata sorregge le edizioni online anziché poterle considerare un nuovo, moderno pilastro dei conti.
Quale vita avranno allora i vecchi giornali? Potranno sopravvivere al web? E potrebbero sopravvivere senza il web? Sull’argomento si dibatte da un paio di decenni e nei giorni scorsi, sulla Gazzetta del Mezzogiorno, Michele Partipilo ha proposto “ereticamente” una soluzione drastica e in controtendenza: separarsi dalla rete; togliere i giornali da internet; stare alla larga dallo spietato cannibalismo con cui ha già in gran parte divorato i quotidiani; sfuggire così alla pirateria che diffonde illegalmente online i giornali destinati a essere venduti per abbonamento e tramite una rete di distribuzione che nel 2001 contava trentaseimila edicole e ora ne ha più o meno la metà.
L’idea di una rivoluzione in retromarcia dovrebbe servire – secondo Partipilo – a riposizionare la carta stampata in un mercato del tutto autonomo da internet, con un deliberato ritorno al passato. Questo implica ovviamente un ripensamento radicale dei giornali. Se l’informazione su internet è essenziale, scarna, sintetica e i social spesso propongono news ingannevoli, allora chi vuole profondità, reportage, racconti, storie – e ovviamente non intenda rileggere le stesse notizie già cliccate all’infinito sulla Rete il giorno precedente – dovrebbe acquistare un giornale su carta indipendente dal web, non digitalizzato e dunque a prova di pirati, affidando alle edizioni online il compito di essere complementari e non sostitutive delle edizioni stampate. Non solo. Sarebbe opportuno non dare per scontato che un maledetto destino abbia inventato internet per affondare una stampa bellissima e incolpevole.
Nel 2013, in Germania, il professor Michael Haller, direttore dell’Institut für Praktische Journalismus e docente all’università di Lipsia, mise in dubbio il fatto che il web fosse l’unica causa del declino. Ricordò che la discesa dei quotidiani tedeschi era cominciata già prima dell’avvento di internet perché soprattutto i giovani, trovandone poco interessanti i contenuti, se ne erano allontanati. Poi i giornali, per inseguire il web, avevano provveduto con brillante autolesionismo ad allontanare ancora di più i lettori praticando un giornalismo superficiale e ultraleggero.
Ammetteremo mai di avere sbagliato qualcosa?
Suggestiva, interessante e controcorrente, la “linea-Partipilo” si scontra fondamentalmente con le dinamiche di un settore abituato a confrontarsi con il modello di riferimento americano, sempre anticipatore delle tendenze editoriali; e questo modello va esattamente nella direzione opposta. Perciò adesso l’editoria quotidiana italiana spera che l’integrazione tra carta e web produca i primi veri risultati, come appunto sta avvenendo negli Stati Uniti, dove i numeri dicono che il 53 per cento dei lettori paga un abbonamento all’edizione cartacea o a quella digitale di un media tradizionale (anche il 40 per cento degli adulti di età inferiore ai 35 anni). La società editrice del New York Times – riporta il rapporto sull’industria dei quotidiani in Italia dell’Osservatorio Carlo Lombardi – “è tornata a far crescere il fatturato ed a macinare utili proprio grazie al digitale” e “i ricavi da abbonamenti digitali sono cresciuti nel solo 2017 del 46 per cento, raggiungendo i 340 milioni di dollari”.
Sebbene il New York Times sia un gigante con una forza finanziaria enorme, con un mercato planetario e un portafoglio di 2,6 milioni di abbonamenti, questa è una buona notizia per l’informazione, ma forse non per la carta stampata giacché Mark Thompson, amministratore delegato del giornale, ha dichiarato di osservare un orizzonte temporale di dieci anni: “Decideremo esclusivamente sulla base degli indicatori economici: potrebbe arrivare un momento in cui continuare a produrre carta stampata potrebbe non avere più senso per noi”.
In uno scenario in costante mutazione, non si dà per scontato che la carta stampata sopravviverà. Perché quindi insistere puntando al passato? Probabilmente il ragionamento è tutto qua. Qualche altra domanda dovremmo però farci. Il New York Times può essere un modello per tutti? Quale fine faranno i quotidiani che non hanno la forza finanziaria per riconvertirsi e “integrarsi” con il web? Per loro può valere la linea-Partipilo? O è preferibile continuare a giocare una partita già persa contro i giganti e i pirati del web?