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22 Luglio 2024 17:08
22 Luglio 2024 17:08

La strategia del silenzio dei complici di Matteo Messina Denaro

"Non ho ricevuto una educazione culturale ma ho letto centinaia di libri, sono quindi informato sulle cure, vi prego di poter essere trattato con farmaci e terapie migliori". Avrebbe ripetuto più volte, con toni pacati e cordiali, il boss di cosa nostra Matteo Messina Denaro, rinchiuso da dieci giorni nel carcere di massima sicurezza dell'Aquila

Andrea Bonafede il geometra di Campobello di Mazara in carcere per associazione mafiosa, l’uomo d’onore riservato che ha ceduto la propria identità al boss Matteo Messina Denaro, ha acquistato l’appartamento in cui il capomafia si è nascosto nell’ultimo periodo della latitanza e l’ha aiutato a comprare l’auto che utilizzava per i suoi spostamenti, ha deciso per il momento di restare in silenzio davanti al gip. “L’ho trovato in forma, aspettiamo la conclusione delle indagini” ha dichiarato il suo difensore di fiducia al termine dell’udienza dedicata all’interrogatorio di garanziadel geometra.

il vero Andrea Bonafede, uomo di fiducia del boss Messina Denaro

Un evidente cambio di strategia difensiva rispetto alla prima fase d’inchiesta, quando Bonafede, sentito dagli inquirenti dopo il blitz di lunedì, aveva fatto delle parziali ma sostanziali ammissioni. Verità mischiate a menzogne, come sostengono gli investigatori, portati a credere che il “fedelissimo” del padrino abbia ammesso solo quel che non poteva negare: come l’aver dato la carta d’identità a Messina Denaro, l’aver comprato per suo conto, con 15mila euro ricevuti dal boss, la casa di vicolo San Vito in cui il capomafia viveva e di avergli dato una mano ad acquistare la Giulietta.

Sul resto, il geometra di Campobello ha raccontato solo tante frottole. Ha detto, ad esempio, di conoscere fin da ragazzo il capomafia, ma di averlo perso di vista fino a un anno fa e di averlo incontrato, da gennaio del 2022, solo in due occasioni. In entrambe Messina Denaro gli avrebbe chiesto aiuto: per curarsi e per trovare un appartamento.

Bonafede l’avrebbe accontentato dandogli la carta d’identità e il codice fiscale utilizzati per le terapie oncologiche e comprandogli casa. Ma le date non tornano perché agli inquirenti risulta che un Andrea Bonafede, di certo non il geometra e quindi il capomafia con i documenti dell’altro, a dicembre del 2020 si è operato all’ospedale di Mazara del Vallo per un cancro al colon. Circostanza che comprova che il “prestito” di identità risale almeno a un anno prima di quel che il geometra sostiene negli interrogatori. Con il tempo si capirà se Bonafede tradirà il “boss” e racconterà gli ultimi due anni, almeno, della sua latitanza, o se continuerà a tacere.

Proseguono, intanto, le indagini sulla casa del boss, sul bunker nascosto trovato in casa del fratello di un condannato per mafia, Enrico Risalvato, e sull’appartamento di via San Giovanni, sempre a Campobello di Mazara, in cui il padrino avrebbe vissuto prima di trasferirsi nell’ultimo covo. Gli immobili sono stati perquisiti approfonditamente anche con l’uso del georadar che può individuare stanze o locali nascosti. “Smentiamo che l’immobile sia stato un rifugio di Messina Denaro e che in casa ci fosse un bunker. Quello trovato era un ripostiglio in cui venivano conservati oggetti preziosi della famiglia”, sostengono gli avvocati Mattozzi e Stallone difensori di Risalvato.

“Non ho ricevuto una educazione culturale ma ho letto centinaia di libri, sono quindi informato sulle cure, vi prego di poter essere trattato con farmaci e terapie migliori”. Avrebbe ripetuto più volte, con toni pacati e cordiali, il boss di cosa nostra Matteo Messina Denaro, rinchiuso da dieci giorni nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila. Ai medici ed al personale penitenziario, le uniche persone con cui gli è permesso di parlare visto il regime del 41bis, “confessa” che le sue uniche preoccupazioni sono legate alla cura del tumore al colon.

Stamattina è stata perquisita anche la casa di famiglia di Messina Denaro a Castelvetrano. I carabinieri hanno passato al setaccio l’appartamento trovando, oltre a vecchie foto del capomafia, una scatola con i suoi vecchi Ray Ban a goccia, un libro sulla mafia e una bottiglia di champagne. Il padrino, portato dopo l’arresto nel carcere de L’Aquila, continua a rinunciare alle udienze in cui è imputato: la scorsa settimana quella a Caltanissetta del processo d’appello per le stragi mafiose del ’92 e oggi quella davanti al gip nel procedimento contro la mafia agrigentina e trapanese. La sua posizione è stata stralciata da quella degli altri imputati perché era latitante. Con il boss chiuso in carcere, a Campobello di Mazara e Castelvetrano sono stati organizzati altri due cortei contro la mafia, conclusi entrambi a vicolo San Vito, davanti al covo dell’ex super latitante. Tra la gente, anche il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Angelo Giurdanella e il vescovo emerito monsignor Domenico Mogavero.

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