di Franco Bechis
Se c’ è qualcuno che faceva un tifo da stadio per lo sgombero di quel palazzo che si affaccia su piazza Indipendenza a Roma erano i bancari pensionati del San Paolo di Torino. Perché i soldi della loro pensione da quattro anni e più si erano volatilizzati insieme all’ occupazione abusiva di 556 persone, in gran parte eritrei ed etiopi, ma anche sudanesi e italiani (15).
La polizia li aveva identificati la sola volta che è riuscita ad entrare in quelle mura – il primo dicembre 2015 – per un controllo straordinario dovuto all’ inizio del Giubileo della misericordia, trovando fra gli occupanti molti richiedenti asilo e profughi, ma anche un certo numero di immigrati clandestini privi di documenti che furono portati via per essere identificati in Questura, fra le urla e le proteste dei loro vicini di stanza.
I bancari in pensione del San Paolo di Torino insieme ad altri pensionati sono proprietari della maggiore parte di quel palazzo di 32 mila metri quadrati su nove piani (più due interrati), acquistato nel 2011 attraverso il Fondo Omega di Idea Fimit. Il palazzo avrebbe dovuto essere affittato prima per farne un centro direzionale, poi un grande albergo di lusso alla società Sea, ma proprio mentre il contratto stava per chiudersi, una sera all’ inizio del 2013 i vigilantes che lo proteggevano furono assaliti e messi un fuga da un gruppo di violenti di alcuni centri sociali e del Movimento per il diritto alla casa che fecero entrare centinaia di stranieri: quei 556 che furono poi censiti.
Con l’ occupazione fu cambiato il contratto di affitto, con l’ intesa che sarebbe entrato in vigore con lo sgombero dell’ edificio. Che però fino al 19 agosto scorso (con la coda finale di ieri in piazza e le polemiche annesse) non è mai avvenuto: non se l’ era sentita di procedere l’ allora sindaco di Roma, Ignazio Marino, né di usare il pugno di ferro l’ allora prefetto della capitale, Giuseppe Pecoraro, che avrebbe lasciato l’ incarico nell’ aprile 2015 all’ attuale capo della polizia, Franco Gabrielli.
Da allora ad oggi i poveri pensionati del San Paolo e di altre aziende private hanno visto andare in fumo almeno 5 milioni di euro, che sarebbero stati la redditività di quell’ investimento fatto con i soldi accantonati per la loro previdenza integrativa. Non solo: le autorità che accettavano quella situazione di illegalità, costrinsero il proprietario (Idea Fimit con i fondi dei pensionati) a non staccare le utenze, continuando a pagare per quegli abusivi la bellezza di 500 mila euro l’ anno di bollette della luce e dell’ acqua. Non quelle del gas, perché l’ immobile non era residenziale e quindi non aveva quel tipo di allacciamento. Non è noto invece chi paghi eventuali abbonamenti tv collegati alle numerose parabole che gli eritrei stessi hanno installato sul tetto del palazzo (da terra se ne vede almeno una decina).
Quel primo di dicembre 2015 nel palazzo insieme alle forze di polizia che procedevano all’ identificazione entrarono anche i vigili del fuoco, per controllarne la sicurezza. Iniziarono l’ ispezione, ma una volta andata via la polizia, gli abusivi che abitavano quelle stanze si schierarono minacciosi davanti ai pompieri, impedendo a loro con violenza la verifica su quasi il 75% dell’ immobile. Quel che avevano visto però bastava ed avanzava ai vigili del fuoco, che fecero partire l’ 11 dicembre successivo un fonogramma diretto al prefetto Gabrielli, al commissario del comune Francesco Paolo Tronca, alla Questura e ai commissariati di polizia.
“Il fabbricato”, scrivevano, “già destinato ad uffici, costituito da due piani interrati e nove piani fuori terra, attualmente occupato da circa 500 immigrati, manifesta una condizione di reale pericolo dovuto alla presenza di decine di bombole di gas gpl distribuite su tutto l’ edificio, si riscontra la presenza di numerose stufe elettriche utilizzate per il riscaldamento degli uffici adibiti ad abitazione. Si accerta l’ assenza di qualunque mezzo di estinzione portatile e la mancanza di funzionalità dell’ impianto idranti e di rilevazione incendi”. Quindi, “considerato l’ elevato rischio di incendio/esplosione e la mancanza di adeguati mezzi di protezione, si ritiene necessario procedere con lo sgombero dell’ edificio e la bonifica dello stesso dalle sostanza infiammabili presenti“.
Sgomberare era dunque una scelta obbligata a protezione dell’ incolumità degli stessi profughi o immigrati. Ma non si è fatto, un po’ per la presenza continua e minacciosa dei movimenti pro casa, uno po’ per la timidezza incomprensibile della politica e delle istituzioni. Tre mesi dopo quei fatti, nel marzo 2016, dopo lunghe indagini della Guardia Costiera, il Tribunale di Roma emetterà un ordine di cattura nei confronti di 17 scafisti eritrei che avevano venduto profughi e migranti.
Cinque di loro vengono arrestati all’ interno di quell’ immobile, e sarà la seconda volta che la polizia italiana vi entrerà. Ma non l’ ultima, perché altri arresti sono stati compiuti in quell’ immobile per spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione (la polizia secondo alcuni informatori, sospettava che all’ ottavo piano si esercitasse pure con una tariffa di 80 euro a notte).
*vicedirettore del quotidiano LIBERO