di REDAZIONE CRONACHE
All’interno dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificato lo scorso 12 gennaio, compare il reato il finanziamento illecito ai partiti, contestato al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, al suo capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (indagato anche in procedimenti di un’altra procura) a Vito Ladisa azionista e comproprietario dell’omonima azienda barese di ristorazione, ed a Giacomo Mescia della società foggiana Margherita, che opera nel settore delle energie rinnovabili.
I due imprenditori Ladisa e Mescia devono rispondere anche di reati fiscali relativi a false fatturazioni. Quindi contrariamente a quanto voleva far capire un servile articolo apparso ieri sulla Gazzetta del Mezzogiorno finanziata ed edita per alcuni mesi dal Gruppo Ladisa, in vista della prossima asta fallimentare. L’inchiesta infatti non è stata archiviata, come Emiliano si illudeva da quando gli atti sono stati inviati per competenza a Torino, ma in qualche modo circoscritta, essendo venuta meno l’iniziale ipotesi accusatoria (mossa dalla Procura di Bari che aveva avviato e svolto le indagini n.d.r) di uno scambio corruttivo tra Emiliano ed i due imprenditori pugliesi, i quali avrebbero pagato alcune fatture per la campagna elettorale delle Primarie Pd del 2017 in cambio di agevolazioni negli appalti.
Nelle dichiarazioni verbalizzate di Pietro Dotti, titolare dell’agenzia di comunicazione Eggers con sede a Torino , c’è la motivazione di come, in pochi mesi, l’inchiesta a carico del presidente della Regione Puglia si sia circoscritta: “Su proposta di Ladisa ho annullato la fattura nei confronti di Michele Emiliano e ho emesso un’altra fattura, dello stesso importo, a nome dell’imprenditore, per il quale ho svolto una prestazione di consulenza ” .
Secondo il pm Giovanni Caspani della Procura di Torino, il capo di gabinetto di Emiliano avrebbe fatto da tramite tra il governatore e i due imprenditori. Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari infatti è riportato che ” Per suo tramite Emiliano riceveva un finanziamento non deliberato dall’organo sociale della Margherita e della Ladisa, non regolarmente iscritti in bilancio“.La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Bari nella sua relazione di indagine alla procura barese sostenne che quei fondi, erano usciti irregolarmente dai conti bancari delle società Margherita e della Ladisa e altrettanto irregolarmente destinati alla campagna elettorale nella primavera 2017 che Michele Emiliano stava conducendo per contendere il ruolo di segretario del Pd a Matteo Renzi e Andrea Orlando venendo sonoramente sconfitto ed umiliato dai due politici nazionali.
Erano due le fatture emesse dalla Eggers di Torino, che vengono considerate illegittime. Per precisione la fattura n. 131 del 18 ottobre 2017, dell’importo di 63mila euro pagata dalla società di Vito Ladisa, e la numero 77 dell’8 giugno dello stesso anno, per 24mila euro pagata dalla società di Mescia. Oltre a queste venne aggiunto persino il pagamento di 4.900 euro di spese legali affrontate dalla Eggers di Torino e versate dalla società Ladisa.
Pietro Dotti titolare della Eggers quando l’inchiesta era ancora gestita dalla procura di Bari. aveva risposto alle domande dei pm fornendo una spiegazione inerente alle posizioni giudiziarie di Ladisa e Mescia, i quali sostengono di avere pagato l’agenzia piemontese per prestazioni effettivamente fornite alle rispettive aziende. “Ho incontrato personalmente Ladisa due volte — ha verbalizzato Dotti — la prima presso la sua sede a Torino e la seconda presso la Eggers. Su sua proposta ho annullato la fattura 89 emessa a giugno nei confronti di Michele Emiliano e ne ho emessa un’altra nei confronti di Ladisa, a fronte di un’attività di consulenza in funzione di una gara d’appalto a cui doveva partecipare in Piemonte“.
Alle domande del magistrato Giorgio Lino Bruno in quel periodo procuratore aggiunto di Bari , che chiedeva come mai l’agenzia Eggers avesse svolto due lavori (per Emiliano e per la Ladisa) ma fosse stata pagata solo per uno ( cioè quello per Emiliano), Dotti aveva risposto: “Il mio interesse era quello di ottenere il pagamento della consulenza effettuata per Emiliano. A me interessava lavorare con Ladisa, perché avevo la volontà di acquisire un nuovo cliente “. Il manager torinese avrebbe quindi sfruttato il caso Emiliano per entrare in contatto con l’imprenditore barese, che vanta grossi appalti anche al Nord, senza preoccuparsi del motivo per cui aveva deciso di pagare la fattura del governatore.
L’iniziale ipotesi investigativa, era che Ladisa e Mescia sarebbero poi andati a battere cassa da Emiliano ma su questa ipotesi investigativa non sono stati trovati documenti di riscontro scontri. Resta in piedi quindi l’ipotesi di un contributo illecito alla campagna elettorale alle primarie nazionali del Pd di Emiliano attraverso le due fatture senza che il presidente della Regione Puglia e la Ladisa dichiarassero il finanziamento politico
Gli indagati hanno ripetutamente contestato le accuse a loro carico ed adesso secondo quanto previsto dal codice di procedura penale potranno cercare provare a convincere la Procura i di Torino presentando memorie o chiedendo di essere sottoposti ad interrogatorio.
La Gazzetta del Mezzogiorno ha cercato di sminuire le accuse contro il loro nuovo “ufficiale pagatore” Ladisa, dimostrando ancora una volta la propensione ad un giornalismo poco libero ed per niente indipendente. Nel frattempo tutto tace dal Consiglio di disciplina dell’ Ordine dei Giornalisti di Puglia, infarcito dal sindacato di giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno. Nell’ aprile 2019 l’Ordine dei Giornalisti pugliese aveva chiesto al procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe se la persona che aveva rivelato il segreto istruttorio su un’indagine a carico del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, fosse un giornalista. e nel rispetto delle leggi e della riservatezza necessaria delle indagini, di conoscerne l’identità e di trasmettere gli atti necessari per avviare un eventuale procedimento disciplinare per accertare la violazione delle regole deontologiche anche in assenza di ipotesi di reato.
Ma tutto tace. Come ben noto ed accaduto in un recente passato i panni sporchi….all’ Ordine dei Giornalisti di Puglia notoriamente si lavano in famiglia….spesso confidando nella prescrizione per salvare i loro “amichetti” protetti dal sindacato. Sino a quando ?.